Siamo all’inizio di un nuovo anno sociale denso di incognite. La guerra ai confini dell’Europa prosegue e non si intravedono segnali di trattative e di pace. L’inflazione erode il potere d’acquisto e i costi di gas e energia proseguono la loro vertiginosa corsa, e anche per politiche “irragionevoli”, sia a livello nazionale che europeo rischiamo di rimanere sia come famiglie, sia come industrie, privi di queste materie fondamentali. La pandemia non vuole lasciarci, e senz’altro con la stagione fredda esploderà nuovamente; ma quello che più intimorisce sono le misure che verranno adottate, che negli ultimi due anni sono state a volte insensate, causando conseguenze di cui stiamo ancora pagando i costi. Dulcis in fundo: i risultati delle elezioni politiche, che anche a causa dell’irresponsabilità di molti, sto parlando di quelli che hanno avuto la “brillante” idea di formare partiti e partitelli, ben 75, renderanno ostica la formazione di un nuovo governo.
Di fronte a questi e altri mille problemi, qualcheduno dirà: altro che sperare, qui c’è da disperarsi, sfiduciarsi e scoraggiarsi.
Eppure, senza speranza, non ci può essere futuro e non si può fare nulla!
Due sono le “tipologie” di speranza in cui possiamo investire: quella umano-laica e quella cristiana.
La speranza umano-laica
Quella umano-laica, non solo è fallimentare, ma non risponde al desiderio di felicità che ogni cuore cerca, poiché come ammoniva Sant’Agostino: «Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te». Per quanto riguarda l’aspetto societario, ricorda il Salmo 126: «Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella». E, i disastrosi risultati in vari settori soprattutto a livello di valori, di principi e di ideali, degli ultimi decenni sono sotto gli occhi di tutti! Scriveva H. Schlier, esegeta contemporaneo: «Dove la vita umana non è protesa verso Dio, dove non è impegnata al Suo appello, ci si sforza invano di superare la spossatezza, la vacuità, la tristezza che nascono da tale mancanza di speranza. La persona senza speranza soffre e lo manifesta attraverso dei sintomi, quali la loquacità in discorsi vuoti, l’esigere costantemente una discussione, la curiosità insaziabile e sbrigativa, la dispersione nella molteplicità e nell’arruffo, l’inquietudine interiore ed esteriore, le varie forme di nevrosi, l’ instabilità decisionale, il rincorrere nuove sensazioni»(Il tempo della Chiesa. Saggi esegetici, Il Mulino, pg. 42).
Inoltre, anche le relazioni inquadrate in un orizzonte di speranza unicamente umano e laico, entrano in contraddizione, si affievoliscono e generano conflitti come spesso avviene all’uomo post-moderno che, il più delle volte, è proteso alla rincorsa del successo e dei privilegi o alla ricerca dell’agiatezza e delle ricchezze ritenute fonti di sicurezza, scordando che prima o poi la vita termina. Disse un giorno Papa Francesco che nella sua vita aveva assistito a molti funerali ma non aveva mai visto nessun carro funebre seguito da una “ditta di traslocchi”.
La speranza cristiana
La speranza cristiana invece è quella del saggio, di chi è convinto che nell’evolversi degli avvenimenti, determinati dalla libera volontà degli uomini è presente, “qui” e “ora”, Dio. Qualcuno definisce la storia come “laica” o “profana”; in realtà la storia è impregnata e invasa da un ampio e profondo “significato teologico”. Interessante è il capitolo terzo del Vangelo di San Luca che narra l’avvio della predicazione di Giovanni Battista. «Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa…» (vv.1-2). Il menzionare in poche righe molti personaggi stupisce e interroga sull’avvenimento che sta per compiersi. Ma la risposta è semplice: «La Parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto». “Tutto qui”, afferma qualcuno. Tutto qui! Ma un “tutto qui” denso di significati poiché rammenta che la Parola si è incarnata nella storia e anche oggi si rivolge a ogni uomo, ed è la Parola che indirizza il mondo alla salvezza, indicando che “nel tempo” non tutto è fugace, temporaneo e precario poiché in esso si è inserito l’Onnipotente.
Questa è la base della speranza cristiana, ma per comprenderla almeno in parte dobbiamo inquadrarla nel contesto delle virtù. Il vocabolo “virtù” è interpretato in svariati modi. Per la “concezione teologica”, un punto di riferimento è la parte terza del “Catechismo della Chiesa Cattolica” che la presenta nella prospettiva del rapporto tra fede e vita, nella tendenza al bene che si realizza nella professione, nella celebrazione della fede e nella coerenza quotidiana alla vocazione cristiana in Cristo secondo lo Spirito. La virtù, di conseguenza, non è la caratteristica di persone devote o protese al perfezionismo spirituale, quale frutto di una presunta autosufficienza, ma è I’agire e I’operare di colui che è totalmente e responsabilmente radicato nel Signore Gesù.
La “speranza cristiana” è “Ia certezza” che l’esistenza oltrepassa il contingente, essendo in tensione verso I’Assoluto e, di conseguenza, è impossibile disgiungere “vita” e “speranza”. Libera I’uomo dall’angoscia e dalle disperazioni conseguenti alle delusioni dell’esistenza, dalla sofferenza, dall’incapacità di cogliere la realtà nella sua bellezza e nella sua ricchezza. Ebbene, il cristianesimo quando tratta di “speranza” parla del futuro del mondo, dell’umanità, della natura nella cui storia è coinvolta. Allora, l’oggetto della speranza cristiana, è “I’escatologia” che si fonda sulla Paternità di Dio (cfr.: Ef. 2; 1 Cor. 1,9) ma, non è basata sul disinteresse nei confronti della storia, del mondo e del quotidiano bensì su una partecipazione e appartenenza con modalità alternative.
Quindi, la sollecitudine del discepolo del Signore Gesù, deve essere quella di divenire messaggero della speranza cristiana tra i “dis-sperati”, rammentando che l’etimologia “dis-sperato” non è sinonimo di assenza di speranza ma di un alterato significato ad essa attribuito.
Concludendo
Cos’è la “speranza cristiana”?
-“La tensione”, ricca di attesa nel futuro.
-“La fiducia” che il futuro si realizzerà.
-“La pazienza” e “la perseveranza” nell’attenderlo.
Tutto ciò, ovviamente, è un “dono di Dio”, essendo l’origine della speranza presso il Creatore e ponendo le “fondamenta” sulla Sua fedeltà e nell’ “abbandono” nelle sue braccia di Padre. Da quanto affermato deduciamo che il “traguardo” e il “punto di arrivo” della “speranza cristiana” è il Signore Gesù che “di nuovo verrà, nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine” (dal Credo Niceno-Costantinopolitano). Questo consente di accedere alla gloria di “figlio”, accanto al Padre (cfr.: 1 Cor. 4,5) già da questa vita.
Afferma Dio: «”La fede che preferisco è la speranza. La fede non mi stupisce (…). Ma la speranza, ecco quello che mi stupisce”. E sperare è difficile. Quello che è facile è disperare, ed è la grande tentazione (…). Noi, invece, sotto I’influsso dello Spirito, aspettiamo la speranza promessa dallo Spirito» (Ch. Peguy, Il mistero della seconda virtù, Jaka Book, pg: 161).
Buon anno sociale accompagnato dall’ “autentica speranza”.
Don Gian Maria Comolli