L’incognita più perfida delle prossime elezioni politiche è l’astensionismo. Per questo, i vari partiti, dovrebbero impegnarsi alacremente in questi ultimi giorni di campagna elettorale a motivare i cittadini a recarsi alle urne. Indiscutibilmente molte formazioni politiche, soprattutto quelle che hanno governato negli ultimi anni, posseggono rilevanti responsabilità di fronte all’astensionismo poiché hanno mantenuto, solo in minima parte, gli impegni assunti nel marzo 2018, o nel corso del tempo, hanno indossato la casacca del trasformismo adeguandosi con “giochini”, neppure tanto velati, al vecchio status quo, scordando le attese e le necessità dei cittadini. E, lo stesso copione, alcuni lo stanno seguendo anche oggi proponendo programmi elettorali, soprattutto a livello economico, fumosi e irrealizzabili, come ricordato dal sito specializzato “Pagella politica”: «il 96 per cento delle promesse nei programmi è senza coperture». Da ultimo, non possiamo scordare l’obbligo di quarantena per i positivi al Covid stabilito dal ministro Speranza, che invece di ricercare con il ministro Lamorgese modalità alternative affinchè tutti possano esercitare un diritto costituzionale fondamentale, ha deciso di escludere dal voto migliaia di italiani che in quei giorni saranno affetti dal virus pandemico.
Convinti, come affermò uno dei martiri della nostra Repubblica, il magistrato Paolo Borsellino, che «il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano e non con l’astensione», nelle scorse settimane abbiamo già indicato alcuni criteri per una scelta responsabile, cioè il votare quei partiti che intendono sostenere alcune colonne portanti di una democrazia: dalla difesa della vita in tutte le sue fasi alla salvaguardia e al sostegno della famiglia tradizionale, dall’aiuto alla natalità alla libertà educativa dei figli, oggi vogliamo aggiungere una altro tassello etico: il Bene Comune. Io vado a votare per diffondere e difendere il Bene Comune.
Cos’è il Bene Comune?
L’origine della nozione di “Bene Comune” la riscontriamo nel racconto della Creazione narrata nei primi capitoli del Libro della Genesi, quando Dio dona all’uomo la terra per dominarla con il suo operare e per poi gioirne dei frutti. Gioirne, però, non da padrone assoluto ma da collaboratore del Creatore. Da ciò comprendiamo che l’uomo non può rivendicare un diritto assoluto all’uso dei beni, seguendo criteri individualisti. Deve invece apprendere che questa fruizione, riferendosi al diritto naturale e al principio della destinazione universale dei beni, abbraccia tutti e supera ogni privilegio o monopolio come affermato da papa Paolo VI nella Enciclica Populorum Progressio: «tutti gli altri diritti, qualunque essi siano, incluso quello di proprietà e al libero mercato, devono essere subordinati alla universale destinazione dei beni» (22).
Nel contesto cattolico la prima formulazione di Bene Comune fu dei Padri della Chiesa, in particolare di Basilio di Cesarea (330-379) nel testo Il buon uso della ricchezza. Qui leggiamo un’eloquente metafora. Il santo invita ad osservare un pozzo. Se attingiamo l’acqua la sorgente la ricrea, perciò la possiamo distribuire a chi la necessita, se invece l’acqua non è prelevata, dopo un po’ di tempo diviene inutilizzabile. Così è per il Bene Comune: deve circolare, cioè produrre opportunità per ciascuno e per tutti contemporaneamente. Con il trascorrere dei secoli, il concetto di Bene Comune fu maggiormente strutturato. Evidenziamo unicamente il contributo del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa che afferma: «il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l’agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l’agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune» (164).
Ebbene, il Bene Comune, può essere conseguito unicamente operando tutti insieme, ognuno esercitando le sue responsabilità e avvalendosi delle opportunità che la vita gli offre, non scordando però che ogni uomo ha il diritto di ottimizzare la propria esistenza e potenziare le proprie doti per affermarsi totalmente e consapevolmente mediante la libertà di parola, di pensiero, di azione e pervenire così a una degna “qualità di vita”.
“Bene Comune”, concetto fuori moda?
La dicitura “bene comune”, pur possedendo un ampio valore, oggi rischia il tramonto sostituita da espressioni che potrebbero apparire simili ma non lo sono. Pensiamo a “bene pubblico”, “beni comuni” (al plurale, che fissa l’attenzione prevalentemente su quelli materiali), “bene collettivo”, “interessi generali”… Queste locuzioni non sono affini al “bene comune” poiché tracciano visioni antropologiche e sociali riferendosi a ideologie divergenti. Il “bene pubblico” è inerente al liberalismo, gli “interessi generali” all’utilitarismo sociale e il “bene collettivo” è un’espressione tipica del socialismo. Inoltre, la modifica del Titolo V della Costituzione italiana (cfr. Legge 3/2001), rivitalizzò il principio di sussidiarietà ma lo puntellò sull’interesse generale e non sul Bene Comune. Invece, il Bene Comune, quello originario e fondante una società, si differenzia dalle prospettive evidenziate poiché si prefigge primariamente la valorizzazione della singolarità e della sacralità di ogni uomo depositario contemporaneamente di diritti e di doveri.
Il “Bene Comune” non è pauperismo
Ricercare il Bene Comune non è pauperismo, ma un processo personale e comunitario che armonizzi «la capacità di vedere il bene altrui come se fosse il proprio» (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa 167). Pur essendo complesso operare per il Bene Comune, oggi è l’unica opportunità per oltrepassare e sconfiggere scenari che da decenni ci logorano e che la pandemia e il conflitto Russo-Ucraino hanno accresciuto. Lungi da essere reputato un’utopia o un’idea astratta, il Bene Comune orienta virtuosamente condotte e comportamenti e atteggiamenti da ricostruire, oltrepassando lo stereotipo che individua, sempre e comunque altrove, le responsabilità di ciò che accade. Comunque, la responsabilità per il Bene Comune, non prescinde dalla ricerca del proprio “ben-essere”, ma postula contemporaneamente l’obbligo di valutare l’appagamento altrui come il proprio, riconoscendo, rispettando e accrescendo i diritti di ogni membro della società.
Educare al “Bene Comune”
Il traguardo del Bene Comune è irraggiungibile senza percorsi educativi, formativi e culturali di cittadinanza attiva e responsabile. Già nel 2001, in La rabbia e l’orgoglio, la giornalista e scrittrice Oriana Fallaci (1929-2006) ammoniva: «da decenni in Italia si parla sempre di diritti e mai di doveri. In Italia si finge di ignorare o si ignora che ogni diritto comporta un dovere».
Ebbene, da decenni, la cultura dominante incita la rivendicazione dei diritti soggettivi o dei “nuovi diritti”, scordandosi però dei doveri dell’ “io personale” verso il “tu comunitario”, cioè del Bene Comune, ritenuto da molti un limite alla libertà individuale.
Anche il recarsi alle urne è un contributo personale al “Bene Comune”!
Don Gian Maria Comolli