Nel nostro percorso per conoscere Benedetto XVI (durerà fino all’inizio della Quaresima) vogliamo approfondire la sua terza enciclica: SPE SALVI (Salvati nella speranza).
Angelus del 2 dicembre 2007: Benedetto XVI offre alla Chiesa e al mondo la Spe Salvi
IN COLLOQUIO CON MONS. BRUNO FORTE SULL’ENCICLICA “Spe salvi”
«Spe salvi facti sumus» («Nella speranza siamo stati salvati»). Si apre con questa citazione della Lettera di San Paolo ai romani (8,24) la seconda Enciclica di Benedetto XVI, intitolata appunto «Spe salvi». Il documento, composto da 50 paragrafi e disponibile inizialmente in otto lingue (latino, italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese e polacco), è stato pubblicato oggi (30 novembre), festa di Sant’Andrea apostolo. A quasi due anni dall’Enciclica sull’amore («Deus caritas est»), Benedetto XVI offre alla Chiesa universale l’Enciclica sulla speranza. Più volte il Papa, nei tre anni di pontificato, ha parlato della seconda virtù teologale. Nella recente visita pastorale a Napoli (21 ottobre), ha ricordato, ad esempio, che la “nostra professione di fede è sempre anche professione di speranza, perché la fede è speranza, apre la terra alla forza divina, alla forza del bene… La missione della Chiesa è nutrire sempre la fede e la speranza del popolo cristiano…”. L’Enciclica rappresenta, per la Chiesa italiana, uno stimolo ulteriore a proseguire il cammino intrapreso con il 4° Convegno ecclesiale nazionale (Verona, 16-20 ottobre 2006), anch’esso dedicato al tema della speranza: “Testimoni di Gesù Risorto, Speranza del mondo”. A mons. BRUNO FORTE, arcivescovo di Chieti-Vasto e teologo di fama internazionale, abbiamo rivolto alcune domande sull’Enciclica.
Dopo la carità, la speranza: a quasi due anni dall’Enciclica “Deus caritas est”, il Papa indirizza alla Chiesa una nuova lettera dedicandola alla seconda virtù teologale. Quale il “filo rosso” che unisce i due documenti?
“Il cuore dell’uomo ha bisogno di amare e di essere amato per vivere e per affrontare la morte: è un bisogno non solo personale, ma anche collettivo. Dagli scenari del tempo, come da quelli del cuore, si leva una grande attesa di amore: ad essa ha inteso corrispondere l’Enciclica Deus caritas est . Si tratta di un’attesa: e tutte le esperienze che le corrispondono, restano comunque segnate dalla fragilità della vita, dalla caducità delle opere e dei giorni degli abitatori del tempo. Ecco perché il bisogno di amore si lega indissolubilmente alla speranza: l’attesa di un bene futuro, arduo, ma possibile a conseguirsi. In questo senso, la penuria più grande dell’epoca moderna e post-moderna non è forse tanto quella di amore, perché l’amore viene perfino inflazionato nelle tante forme anche sbagliate in cui è offerto. La vera penuria è quella della speranza di un possibile, impossibile amore che vinca l’ingiustizia e risani le ferite dell’anima. Benedetto XVI, da uomo del nostro tempo e da vigoroso pensatore e testimone di fede, coglie sin dall’inizio della sua Enciclica questo bisogno: «Il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» ( Spe salvi , n. 1). Solo se c’è in te una grande speranza potrai dare senso alla vita ed amare al di là di ogni misura di stanchezza…”.
Quale il significato profondo per i cristiani dell’espressione: “Nella speranza siamo stati salvati”…
“È il Papa stesso a spiegarcelo nell’Enciclica: «Nella speranza siamo stati salvati, dice San Paolo ai Romani e anche a noi ( Rm 8,24). La redenzione, la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente» (n.1). L’opera del Dio fedele nell’amore inizia in noi con la creazione e con la «redenzione», ma il suo compimento sarà nella gloria: nel presente, è la salvezza nella speranza, iniziata ma non ancora definitivamente compiuta, la nostra gioia e la nostra forza”.
Speranza e relativismo etico: Benedetto XVI ha parlato più volte sia dell’una che dell’altro. La speranza può essere considerata la “risposta” al relativismo?
“Benedetto XVI offre in questa Enciclica un’analisi storica di grande spessore, espressa in un linguaggio semplice, anche se con passaggi necessariamente complessi, e con tanti riferimenti a esempi vissuti: è la storia del concetto di speranza. In particolare, il Papa mette in luce come la buona novella della speranza, come dono che viene da Dio e inizia in noi la vita eterna, sia stata trasformata nell’epoca moderna in una sorta di sconfinata fiducia nelle possibilità dell’uomo: la «redenzione» come dono di Dio è stata convertita in «emancipazione», opera dell’uomo che agisce da solo. Questo programma, però, si è rivelato fallace: i grandi racconti emancipatori, e cioè le ideologie moderne, hanno prodotto un cumulo enorme di violenza e di dolore. Proprio perché abbiamo attraversato la modernità, due convinzioni sono radicate in chiunque di noi accetti la sfida di pensare a fondo il nostro tempo, come fa Benedetto XVI: la prima è che non si può vivere senza un grande orizzonte di senso e di speranza, che motivi l’impegno e sostenga la fiducia; la seconda è che questo orizzonte non ce lo diamo da soli, ma ci viene donato. La sorgente del dono è Dio: è Lui il fondamento della speranza che non delude. Non sarà la debolezza di riferimenti del «relativismo etico» a salvare l’uomo, ma la speranza accolta come dono dall’alto e tradotta quotidianamente in gesti d’amore e di fede, di solidarietà verso il prossimo e di fiducia nella fedeltà di Dio. Preghiera, amore generoso e capace di soffrire per gli altri, giudizio di verità e di giustizia, sono i volti concreti della speranza così intesa, come l’Enciclica ce li presenta”.
Il Papa traccia un vero e proprio identikit della speranza cristiana: quali le principali caratteristiche?
“La parola del Papa è chiarissima: «Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore» (n.26). La speranza, fondata nelle sole possibilità dell’uomo, prima o poi delude. Solo la speranza che ci viene donata, quella che viene a noi dall’Altro che ci ama, è la speranza cristiana: «In questo senso è vero che chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita (cfr Ef 2,12). La vera, grande speranza dell’uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio – il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora sino alla fine, fino al pieno compimento» (n.27). Qui, la forza dell’argomentazione non è solo speculativa, ma anche storico-pratica: è la lettura dei processi storici della modernità che ci convince come le sole forze umane non possano fondare una vera speranza. L’emancipazione senza dono dall’alto, senza orizzonte ultimo, in una parola senza «redenzione», è alienazione e non libertà, violenza e non pace, morte e sopraffazione e non giustizia”.
“Spe salvi” è, per la Chiesa italiana, uno stimolo ulteriore a “camminare” nelle linee tracciate dal Convegno di Verona, anch’esso dedicato al tema della speranza…
“Certo: c’è una profonda continuità fra quanto il Papa ha detto a Verona circa il sì di Dio pronunciato in Cristo, come sorgente e contenuto della speranza che abbiamo da dare al mondo, e quanto afferma nell’Enciclica. In questo senso, si coglie ancor meglio quanto grande sia il potenziale pastorale di questo testo. Esso ci invita a riflettere su un contenuto centrale, di cui il nostro tempo e la nostra società complessa hanno più che mai bisogno: la speranza”.
C’è un filo ulteriore che lega l’Enciclica e il Convegno di Verona: il Papa, nel documento, parla di “luoghi di apprendimento della speranza”; a Verona, ci si è confrontati su “cinque ambiti della testimonianza”…
“La preghiera, la sofferenza, il riferimento al giudizio ultimo di verità e d’amore, che motiva l’impegno di rettitudine e di giustizia solidale – temi su cui si sofferma l’Enciclica – trovano in realtà applicazione negli ambiti di Verona: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità, tradizione e cittadinanza, sono altrettanti campi concreti della vita personale e di quella comunitaria e sociale in cui esercitare le tre attitudini fondamentali richiamate dal Papa. In ognuno degli ambiti sottolineati da Verona è la preghiera che nutre la speranza nell’incontro con la sua sorgente, il Dio vicino, l’Amato; è la sofferenza, offerta per amore, che sostiene ed esprime la fedeltà e testimonia nel tempo la speranza più grande; ed è il giudizio maturato sotto lo sguardo del Dio che viene che libera da inganni e manipolazioni. Se Verona insiste sugli ambiti, il Papa ha messo l’accento sulle attitudini necessarie per vivere in essi la speranza della fede”.
Un’ultima riflessione sulla scelta della data: l’Enciclica è stata pubblicata in occasione della festa di Sant’Andrea, patrono della Chiesa di Costantinopoli. Una scelta che conferma l’attenzione ecumenica del Papa?
“La data del 30 novembre certamente è espressiva: anzitutto, in positivo per la vicinanza alla devozione che i cristiani d’Oriente hanno per questo apostolo. Il Papa conferma anche così la sua attenzione ecumenica, convinta e perseverante. Poi, come per ogni apostolo, la figura di Andrea ci richiama il compito di portare a tutti la buona novella: e la speranza è il Vangelo di cui il mondo uscito dalla crisi dei totalitarismi e delle ideologie, e malato del debolismo rinunciatario di una certa post-modernità, ha più che mai bisogno. Infine, il riferimento all’apostolo evidenzia come la speranza non sia virtù individualistica, ma sia generata in noi dalla comunione con Cristo e con la Chiesa e si estenda ad abbracciare non solo il destino personale, ma l’intera avventura umana e il cammino concreto della comunità degli uomini e della Chiesa nel tempo”.
(a cura di Vincenzo Corrado https://www.toscanaoggi.it/Dossier/Speciali/Benedetto-XVI/Enciclica-Spe-salvi/L-enciclica-sulla-speranza)
IL TESTO DELL’ENCICLICA