La grande regola di comportamento
Il Papa dopo averci parlato delle Beatitudini come percorso di santità le congiunge con il Giudizio Universale, cioè “il protocollo” con cui saremo giudicati al termine della vita. «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt. 25,35-36).
Per fedeltà al Maestro
La Lettera Apostolica per concretizzare il Giudizio Finale prende come riferimento “il povero”, qualunque situazione stia vivendo, di fronte al quale ci possiamo porre con due atteggiamenti. «Quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda, posso sentire che questo fagotto è un imprevisto che mi intralcia, un delinquente ozioso, un ostacolo sul mio cammino, un pungiglione molesto per la mia coscienza, un problema che devono risolvere i politici, e forse anche un’immondizia che sporca lo spazio pubblico. Oppure posso reagire a partire dalla fede e dalla carità e riconoscere in lui un essere umano con la mia stessa dignità, una creatura infinitamente amata dal Padre, un’immagine di Dio, un fratello redento da Cristo» (98). Unicamente facendo nostro il secondo atteggiamento «si rivela il cuore stesso di Cristo, i suoi sentimenti e le sue scelte più profonde, alle quali ogni santo cerca di conformarsi» (97). Da qui un puntuale e accurato invito del Papa: «davanti alla forza di queste richieste di Gesù è mio dovere pregare i cristiani di accettarle e di accoglierle con sincera apertura, “sine glossa”, vale a dire senza commenti, senza elucubrazioni e scuse che tolgano ad esse forza. Il Signore ci ha lasciato ben chiaro che la santità non si può capire né vivere prescindendo da queste sue esigenze, perché la misericordia è il “cuore pulsante del Vangelo”» (97).
Le ideologie che mutilano il cuore del Vangelo
Purtroppo, afferma il Papa, «le ideologie ci portano a due errori nocivi». Il primo: «separare queste esigenze del Vangelo dalla propria relazione personale con il Signore, dall’unione interiore con Lui, dalla grazia. Così si trasforma il cristianesimo in una sorta di ONG, privandolo di quella luminosa spiritualità che così bene hanno vissuto e manifestato san Francesco d’Assisi, san Vincenzo de Paoli, santa Teresa di Calcutta e molti altri» (100). Il secondo: l’errore da diffidare è considerare l’impegno sociale degli altri «qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista» (101). Segue poi una precisazione: «la difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto» (101). Poi, in linea con una priorità che sta contraddistinguendo il suo pontificato, papa Francesco rivolge l’attenzione verso l’immigrazione ribadendo l’errore di coloro che lo ritengono un tema secondario anche a livello bioetico. «Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli» (102). E, ben conscio delle critiche di cui è oggetto, riferendosi ad alcuni brani dell’Antico Testamento e al Signore Gesù che chiede di accogliere Lui stesso in ogni forestiero, chiaramente ribadisce che «non si tratta dell’invenzione di un Papa o di un delirio passeggero» ma di un chiaro indizio di santità. Anche noi, nel contesto attuale, prosegue il Papa, siamo chiamati a vivere il cammino di illuminazione spirituale «che ci presentava il profeta Isaia quando si domandava che cosa è gradito a Dio: “Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora” (58,7-8)”» (103).
Il culto che Lui più gradisce
Al termine del capitolo, il Papa richiama nuovamente, quasi per rafforzare il suo pensiero, alcuni concetti già trattati precedentemente ponendosi la domanda: «potremmo pensare che diamo gloria a Dio solo con il culto e la preghiera, o unicamente osservando alcune norme etiche ma dimentichiamo che il criterio per valutare la nostra vita è anzitutto ciò che abbiamo fatto agli altri?» (104). Ebbene «chi desidera veramente dare gloria a Dio con la propria vita è chiamato a tormentarsi, spendersi e stancarsi cercando di vivere le opere di misericordia» (107).
Don Gian Maria Comollli
(quarta continua)