Papa Francesco, in questo cammino quaresimale verso la santità, dopo averci illustrato nelle “beatitudini” (cfr. Mt. 5,1-12) definendole “la carta d’identità” del cristiano, nel capitolo quarto dell’Esortazione Apostolica “Gaudete et exultate” ci suggerisce alcuni comportamenti da assumere nella quotidianità.
1.Sopportazione, pazienza e mitezza
Il primo comportamento è la sopportazione delle contrarietà della vita, delle aggressioni, delle infedeltà e dei difetti degli altri. «Il santo – afferma il Papa – non spreca le sue energie lamentandosi degli errori altrui, è capace di fare silenzio davanti ai difetti dei fratelli ed evita la violenza verbale che distrugge e maltratta, poiché non si ritiene degno di essere duro con gli altri, ma piuttosto li considera “superiori a se stesso”» (116). Contemporaneamente, la santità, esige di «lottare e stare in guardia davanti alle nostre inclinazioni aggressive ed egocentriche per non permettere che mettano radici» (114). Ciò avviene anche quando osserviamo gli altri «dall’alto in basso, assumendo il ruolo di giudici spietati, considerando gli altri come indegni e pretendendo continuamente di dare lezioni» (117). Il Pontefice, concretizzando il discorso, fa riferimento al mondo della comunicazione, in particolare al web. «Anche i cristiani possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale. Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia, e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui. Così si verifica un pericoloso dualismo, perché in queste reti si dicono cose che non sarebbero tollerabili nella vita pubblica, e si cerca di compensare le proprie insoddisfazioni scaricando con rabbia i desideri di vendetta. È indicativo che a volte, volendo salvaguardare altri comandamenti, si passi sopra completamente all’ottavo: “Non dire falsa testimonianza”, e si distrugga l’immagine altrui senza pietà”» (115). È purtroppo quello che sperimentiamo ormai da tempo di fronte a vari eventi, dove ci si compiace delle disavventure di un presunto nemico, o si ha l’impressione che chi “sbraita di più” con forme estreme di volgarità, nascondendosi nell’anonimato, attiri attenzione e condivisione. Il santo «evita la violenza verbale» (116) seguendo l’ammonimento di San Paolo «che invitava i cristiani di Roma a non rendere “a nessuno male per male” (Rm. 12,17), a non farsi giustizia da sé (cfr. v. 19), a non lasciarsi sopraffare dal male, ma a vincere il male con il bene (cfr. v. 21)» (113). «Questo atteggiamento – ribadisce Francesco – non è segno di debolezza ma della vera forza, perché Dio stesso “è lento all’ira, ma grande nella potenza” (Na. 1,3). E, la Parola di Dio, ci ammonisce: “Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità” (Ef. 4,31)» (113). Conseguenti alle “sopportazioni” sono la pazienza e la mitezza che si esprimono nell’ umiltà che «può radicarsi nel cuore solamente attraverso le umiliazioni» (118). Umiltà, dunque, nella quotidianità che significa sopportazione delle umiliazioni per salvare la propria famiglia, nel lodare gli altri più che se stessi, nell’accettare incarichi meno prestigiosi… Ovviamente, chiarisce papa Francesco, «le umiliazioni non solo qualche cosa di gradevole, perché questo sarebbe masochismo» (120). Ma, il santo le accetta, «essendo una via per imitare Gesù e crescere nell’unione con Lui» (120) anche se «non è comprensibile sul piano naturale e il mondo le ridicolizza» (120). È «una grazia che abbiamo bisogno di chiedere» (120) poiché assicura la pace interiore e il perseverare nel bene come ricorda il salmo 27: «Il Signore è mia luce e mia salvezza di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita di chi avrò timore? Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme; se contro di me divampa la battaglia, anche allora ho fiducia» (vv. 1 e 3). Un’avvertenza del Papa. «Umiltà, non è camminare a capo chino, parlare poco o sfuggire dalla società. A volte, proprio perché è libero dall’egocentrismo, qualcuno può avere il coraggio di discutere amabilmente, di reclamare giustizia o di difendere i deboli davanti ai potenti, benché questo gli procuri conseguenze negative per la sua immagine» (119).
2.Gioia e senso dell’umorismo
Quanto affermato in precedenza, chiarisce il Papa, non implica come potrebbe apparire a una lettura superficiale, «uno spirito inibito, triste, acido, malinconico, o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza» (122). Dunque una «gioia che si vive in comunione, che si condivide e si partecipa» (128), che non è senz’altro quella «consumista e individualista così presente in alcune esperienze culturali di oggi. Il consumismo, infatti, non fa che appesantire il cuore; può offrire piaceri occasionali e passeggeri, ma non gioia» (128), poiché la gioia «nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto» (125). Di conseguenza, il malumore, «non è un segno di santità» (126) anche se nell’esistenza viviamo periodi pesanti e tempi con molte croci. E per insegnare la gioia che si concretizza nell’allegria e nell’umorismo, Papa Francesco, fa riferimento ad alcuni santi, particolarmente a san Tommaso Moro, uomo politico inglese che rifiutando la rivendicazione del re Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d’Inghilterra, fu condannato a morte con l’accusa di tradimento. Da ultimo, un consiglio molto realista è offerto dal Libro di Qoelet che afferma: «Dio ha creato gli esseri umani retti, ma essi vanno in cerca di infinite complicazioni» (7,14.29). Ed è vero; quanti problemi inesistenti, quante preoccupazioni fasulle, quanti falsi assilli ci inventiamo ogni giorno per turbarci l’esistenza. No, afferma il saggio autore: «Caccia la malinconia dal tuo cuore» (Qo. 11,10) e vivrai meglio, più tranquillo, più sereno e più sorridente.
3.Audacia e fervore
Possiamo riassumere l’audacia nel “parlare con libertà” e il fervore apostolico con il vocabolo “parresia”, «il termine con cui la Bibbia esprime anche la libertà di un’esistenza aperta essendo disponibile per Dio e per i fratelli (cfr. At. 4,29; 9,28; 28,31; 2 Cor. 3,12; Ef. 3,12; Eb. 3,6; 10,19)» (129). La parresia, prosegue il Papa, «è sigillo dello Spirito, testimonianza dell’autenticità dell’annuncio. È felice sicurezza che ci porta a gloriarci del Vangelo che annunciamo, è fiducia irremovibile nella fedeltà del Testimone fedele, che ci dà la certezza che nulla “potrà mai separarci dall’amore di Dio” (Rm. 8,39)» (132). Offuscando questi atteggiamenti, ammoniva Paolo VI nell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi (cfr. 80), l’evangelizzazione è carente. Illuminante è l’esempio del Signore Gesù: «la sua compassione profonda lo spingeva a uscire da sé con forza per annunciare, per inviare in missione, per inviare a guarire e a liberare» (131). Ciò significa, per il Papa, che è indispensabile superare la tentazione di «fuggire in un luogo sicuro che può avere molti nomi: individualismo, spiritualismo, chiusura in piccoli mondi, dipendenza, sistemazione, ripetizione di schemi prefissati, dogmatismo, nostalgia, pessimismo, rifugio nelle norme» (134). Inoltre, ricorda Francesco, tra le caratteristiche di Dio, notiamo la novità: «Dio è sempre novità che ci spinge continuamente a ripartire e a cambiare posto per andare oltre il conosciuto, verso le periferie e le frontiere (…). Là lo troveremo: Lui sarà già lì» (135). È l’esempio che ci donano tanti preti, religiosi/e e laici «che si dedicano ad annunciare e servire con grande fedeltà il Vangelo, molte volte rischiando la vita. La loro testimonianza ci ricorda che la Chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita. I santi sorprendono, spiazzano, perché la loro vita ci chiama a uscire dalla mediocrità tranquilla e anestetizzante» (138).
4.In comunità
La santità, prosegue il Papa, deve crescere giorno dopo giorno «lottando contro la propria concupiscenza e contro le insidie e tentazioni del demonio e del mondo egoista» (140). E, due strumenti importanti in questa battaglia, sono la vita comunitaria e l’attenzione ai particolari.
Dunque, la vita comunitaria in famiglia, in parrocchia, nella comunità religiosa, poiché ricordava san Giovanni della Croce, «ti lavorano e ti esercitano nella virtù» (cfr. 141-142). Per Francesco sono innumerevoli gli esempi: «molte coppie di sposi sante, in cui ognuno dei coniugi è stato strumento per la santificazione dell’altro» (141), oppure santi che in comunità hanno vissuto autentiche esperienze mistiche: da san Benedetto a santa Scolastica, da santa Monica a sant’Agostino (cfr.142). Solo così, si risponderà positivamente al comando del Signore Gesù: «che tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te» (Gv. 17,21). Il Papa, inoltre, invita a osservare i «tanti piccoli dettagli quotidiani» (143) seguendo le indicazioni del Cristo che educò all’osservazione i suoi discepoli: «il piccolo particolare che si stava esaurendo il vino in una festa. Il piccolo particolare che mancava una pecora. Il piccolo particolare della vedova che offrì le sue due monetine. Il piccolo particolare di avere olio di riserva per le lampade se lo sposo ritarda. Il piccolo particolare di chiedere ai discepoli di verificare quanti pani possedevano. Il piccolo particolare di avere un fuocherello pronto e del pesce sulla griglia mentre aspettava i discepoli all’alba» (144). Ebbene, «la comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre» (145).
5.In preghiera costante
Il capitolo termina con una riflessione sulla preghiera, poiché «la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione» (147), essendo «il santo una persona dallo spirito orante, che ha bisogno di comunicare con Dio» (150), per cui è impossibile una santità senza orazione. «Per ogni discepolo – chiarisce Francesco – è indispensabile stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui, imparare sempre. Se non ascoltiamo, tutte le nostre parole saranno unicamente rumori che non servono a niente» (150). Una preghiera che deve essere “continua”; in altre parole tutto deve trasformarsi in preghiera. Concetto spiegato riferendosi a san Giovanni della Croce: «sia assiduo all’orazione senza tralasciarla neppure in mezzo alle occupazioni esteriori. Sia che mangi o beva, sia che parli o tratti con i secolari o faccia qualche altra cosa, desideri sempre Dio tenendo in Lui l’affetto del cuore». Dunque, conclude il santo: «procurare di stare sempre alla presenza di Dio, sia essa reale o immaginaria o unitiva, per quanto lo comporti l’attività» (Gradi di perfezione, 2: Opere, 1079). Ma, accanto alla “preghiera continua”, il Papa indica l’importanza di «momenti in cui ti poni alla sua presenza in silenzio, rimani con Lui senza fretta e ti lasci guardare da Lui» (151), poiché «se non permetti che Lui alimenti in te il calore dell’amore e della tenerezza, non avrai fuoco, e così come potrai infiammare il cuore degli altri con la tua testimonianza e le tue parole?» (151). Il silenzio orante, precisa il Pontefice, non è «un’evasione che nega il mondo intorno a noi» (152) e neppure la «storia che scompare» (153). Un esempio è il “pellegrino russo” che «camminava in preghiera continua e racconta che quella preghiera non lo separava dalla realtà esterna: «Se mi capitava di incontrare qualcuno, tutte quelle persone senza distinzione mi parevano altrettanto amabili come che se fossero state della mia famiglia. Non solo sentivo questa luce dentro la mia anima, ma anche il mondo esterno mi appariva bellissimo e incantevole» (152). Ebbene, dunque, a fianco alla preghiera che accompagna tutta la giornata e alle molteplici azioni che si compiono sono indispensabili anche specifici “atti di preghiera”. La preghiera di supplica: «espressione del cuore che confida in Dio, che sa che non può farcela da solo» (154); di domanda «che ci rasserena il cuore e ci aiuta ad andare avanti lottando con speranza» (154); di lode e di adorazione, senza scordare la riflessione sulla Parola di Dio che «ci permette di rimanere in ascolto del Maestro affinché sia lampada per i nostri passi, luce sul nostro cammino» (156). «L’incontro con Gesù nelle Scritture ci conduce all’Eucaristia – vertice della preghiera cristiana – dove la stessa Parola raggiunge la sua massima efficacia, perché è presenza reale di Colui che è Parola vivente» (157).
Don Gian Maria Comolli
(quinta parte)