La piccola Bianchi Porro nacque a Dovadola (Fe) l’8 agosto 1936 e battezzata con i nomi di Benedetta Bianca Maria. A tre mesi si ammalò di poliomielite che gli provocò come conseguenza un’ipotrofia della gamba destra (accorciamento di 7-8 cm) causandogli una fastidiosa zoppia e una rilevante scoliosi. Nei primi anni di vita soffrì di ripetute bronchiti e di otiti purulente bilaterale. Nel diario che racconta dei frammenti della sua esperienza, notiamo una fragilità fisica che non gli acconsentì di trascorrere un’adolescenza spensierata: le «scarpe alte» (i suoi compagni la soprannominarono la «zoppetta»), il busto per la scoliosi e una persistente emicrania l’accompagnavano quotidianamente. Scrisse il 6 giugno 1949: «Sono stanca, tanto stanca! Quante cose ci vogliono per le mie gambe». Ma concluse: «Nella vita voglio essere come gli altri, forse più. Vorrei diventare qualcosa di grande…».
Frequentò le scuole medie e liceo classico presso le suore Orsoline di Brescia, ottenendo positivi risultati scolastici, ma a quindici anni progressivamente perde l’udito. In seconda liceo annota: «Sono stata interrogata in latino; ogni tanto non capivo quello che il professore mi chiedeva, che figura devo fare ogni tanto». Una sordità che le farà affermare alla vigilia dell’esame di maturità, sostenuto un anno in anticipo: «…se non avessi la fede, a volte, avrei voglia di buttarmi dalla finestra».
Si iscrisse, a 17 anni, alla facoltà di Fisica presso l’Università degli Studi di Milano, passando successivamente a quella di Medicina, perché: «Avevo sempre sognato di diventare medico! Voglio lottare e sacrificarmi per tutti gli uomini». Nel primo anno di università è già sorda, cammina con il bastone e deve incaricare un’amica di rispondere in sua vece all’appello. Ma non si arrende, e il 3 giugno 1954 affrontò con successo il primo esame, quello di istologia, poi biologia, fisica, sempre sforzandosi di leggere la domanda sulle labbra del docente. All’esame di anatomia, il professore accortosi della sua sordità, si arrabbiò e la insultò: «Si è mai visto un medico sordo?». Lei, con grande umiltà, rispose: «Mi basterebbe arrivare ad esercitare, anche come l’ultimo dei medici». Nel luglio 1955 fu ricoverata in ospedale per ipotrofia all’arto inferiore destro con conseguente resezione del femore. Sostenne altri esami, ma nel dicembre 1956 una visita oculistica gli diagnosticò una piccola ulcera corneale; successivi approfondimenti diagnostici del 1957 definirono meglio il quadro clinico: neurofibromatosi diffusa, o morbo di Von Recklinghausen. Il 27 giugno 1957 gli fu asportato un neurinoma del nervo acustico per procedere alla decompressione cranica, ma per un errore tecnico le fu reciso il VII nervo facciale sinistro che gli paralizzò l’intero lato facciale. Tentarono di porvi rimedio nel novembre con un intervento di anastomosi spino-facciale che ottenne risultati negativi, anzi, a seguito di questo si paralizzarono gli arti superiori e lo sfintere vescicole, e la sordità fu totale. Benedetta fu costretta ad interrompere momentaneamente gli studi che riprese nell’ottobre 1958
sostenendo gli esami di patologia medica e patologia chirurgica.
Il 7 agosto 1959 fu operata, inutilmente, al midollo spinale; da questo momento rimarrà paralizzata agli arti inferiori.
Le condizioni fisiche si aggravarono ulteriormente, e il 30 novembre 1960, rinunciò agli studi essendo cieca, sorda e intrappolata in un corpo completamente distrutto dalla malattia. In queste condizioni confidò ad un amico: «Quanto a me, faccio la vita di sempre; eppure a me sembra così completa! E’ però vero che la vita in sé e per sé mi sembra un miracolo, con tutte le sue cose! E vorrei innalzare un inno di lode a Chi me l’ha data. Come vorrei far capire a tutti quello che provo. Conosci il Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi? E’ semplicemente sublime». Nel 1962 fece il primo pellegrinaggio a Lourdes, ripetuto nel 1963 quando la sua situazione clinica era disperata; e in quell’occasione affermò: «Il Signore prenderà quel poco che so dargli e cercherà di aiutarmi a spogliarmi di tutte quelle cose che si ribellano al suo volere. Vado a Lourdes ad attingere forza dalla mamma celeste, poiché non so abituarmi come vorrei a vivere felicemente nel buio, nell’attesa di una luce più viva e più calda. Ma Dio mi aiuterà perché sa che esisto. Quando le mie preoccupazioni diventano pungenti, io lo chiamo e lui mi aiuta subito». Subì altri ricoveri ed interventi chirurgici; morì il 23 gennaio 1964.
Ecco la testimonianza di Benedetta: «Io penso che cosa meravigliosa è la vita anche nei suoi aspetti più terribili; e la mia anima è piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo».
(Per conoscere Benedetta: www.benedetta.it).
E’ stata dichiarata venerabile dalla Chiesa cattolica, per il comportamento e la fede mantenuti in vita nonostante le sofferenze, e in seguito beatificata il 14 settembre 2019.