Il governo guidato da Giorgia Meloni ha come obiettivo di giungere a dichiarare l’utero in affitto, non solo in Italia ma in tutta Europa, un “crimine universale”. Questa proposta di legge ci offre l’occasione per riflettere su una delle schiavitù del XXI secolo di cui la donna è vittima: il fenomeno appunto definito dell’ “Utero in affitto”, o della “Maternità sostitutiva”, o della “Maternità surrogata”, in espansione in tutto il mondo con implicazioni mediche, giuridiche, etiche e psicologiche. Consiste nell’ impegno di una donna a farsi fecondare rendendo poi disponibile “a pagamento” il proprio utero per il corso di una gravidanza con l’impegno di consegnare ai committenti il bambino dopo la nascita. E’ un fenomeno in crescita con l’ampliarsi delle normative riguardanti le unioni civili di persone delle stesso sesso che reclamano il “diritto al figlio”.
La situazione a livello mondiale
La maternità su commissione di cui non conosciamo i numeri è regolamentata con modalità difformi nei vari Stati.
Vietata in Austria, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Islanda, Italia, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera.
Tollerata in Belgio, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Romania.
Legale in Australia, Brasile, Canada, Danimarca, Gran Bretagna, Grecia, India, Messico, Russia, Stati Uniti, Tailandia, Ucraina.
In Italia, la pratica è “illegale”, come ribadito dalla legge 40/04 all’articolo 5, dall’articolo 269 del Codice civile (secondo cui madre è colei che partorisce) e dall’articolo 567 del Codice penale (che sotto il titolo di “alterazione di stato di minore” sanziona chi dichiara all’anagrafe come proprio un figlio altrui). Però, negli ultimi anni, si è avviato un “turismo procreativo”, e alcuni nostri concittadini, prevalentemente omosessuali, ritornano in patria con bambini nati con questa prassi all’estero, bypassando il divieto. E, spesso, “la fanno franca”. Inoltre, non possiamo dimenticare la “giurisprudenza creativa” di alcuni tribunali e la tolleranza di vari comuni.
Per questo, è urgente, la regolamentazione del fenomeno a livello mondiale.
Criticità dell’utero in affitto
In un periodo storico che continuamente dibatte la “tutela della donna”, il diffondersi di questo mostruoso fenomeno è un evidente “schiaffo sociale” alla rispettabilità e alla dignità del sesso femminile come pure ai diritti del nascituro.
Dalla parte della donna
Le donne che accettano di “affittare il proprio utero” sono prevalentemente indiane, quindi spesso analfabete e molto povere, ma anche russe e ucraine dove la ristrettezza economica è diffusa, e per ricavare un minimo profitto tollerano vincoli gravosi, umiliano il loro corpo e ignorano i loro diritti. “Il diritto” di ogni donna alla gravidanza, facendo crescere in sé il dono maggiore che possiede e successivamente accudire il bimbo partorito, si iscrive tra i “diritti fondamentali dell’uomo”. Non possiamo inoltre tralasciare le sofferenze della madre su commissione nel separarsi dal feto che ha accudito per nove mesi costituendo con lui un profondissimo legame biologico, psicologico e relazionale come ricordato dallo psichiatra Paolo Crepet. «Trovo che sia mostruoso strappare a una donna il figlio che ha avuto in grembo per nove mesi in quanto esistono biblioteche intere che dimostrano che durante la gravidanza si stabiliscono relazioni emotive e affettive tra la madre e il feto» (Intervista: “L’utero in affitto ricorda l’orrore nazista”, Zenit.org, 22 gennaio 2022). Ebbene, la gravidanza, non è unicamente un periodo trascorso in un contenitore intercambiabile, ma è il tempo in cui nasce una storia tra due entità e imposta il successivo sviluppo psichico sia della madre che del feto che memorizza tutto e invia messaggi. Quindi, se con la nascita, il bimbo fa il suo ingresso nel mondo, la sua comunicazione con la madre è già attiva nella gravidanza. E, come scrive il filosofo indiano Osho Rajneesh, «nel momento in cui nasce un bambino nasce anche la madre. Lei non è mai esistita prima: esisteva la donna, ma la madre mai. Una madre è qualcosa di assolutamente nuovo» (Il mistero femminile, Mondadori, pg. 81).
Le madri su commissione, inoltre, sono soggette a innumerevoli i rischi riconosciuti dalla letteratura scientifica internazionale.
Dalla parte del nascituro
Non meno preoccupanti sono le sofferenze dei nascituri che hanno il diritto a conoscere la madre e il padre. Spesso, il bambino prodotto di un accordo tra le parti, vive il dramma dell’essere privo di storia, di radici genetiche e affettive e di una reale cittadinanza.
Ovviamente, il bambino deve essere “perfetto”, poiché un destino incerto lo attenderebbe se fosse portatore di imperfezioni, poiché i “genitori committenti” potrebbero rifiutarlo ed egli sarebbe condannato, molto probabilmente, a essere abortito o abbandonato. Famosa, tra i molti, fu la vicenda di una coppia australiana che nel 2013 “commissionò” un figlio a una donna indiana che partorì due gemellini, un maschio e una femmina. Ma i genitori committenti avevano già un figlio, quindi accettarono la neonata abbandonando in India il fratellino. Oppure, in Thailandia nel 2014 nacquero due gemellini; uno era down. I committenti presero unicamente quello in buona salute.
Un’altra criticità concerne i “legami biologici” fra il bimbo e chi ha cooperato alla sua nascita.
Conclusione
Il fenomeno dell’Utero in affitto è una spregevole commercializzazione dell’essere umano e un accecato desiderio egoistico degli adulti; chi lo presenta in un’ ottica “altruistica” o “filantropica” è un menzognero. Di questo dovrebbero convincersi anche le persone omosessuali, soprattutto le coppie maschili, sterili per natura. Pure in un’epoca che escogita diritti di ogni genere non regge il “diritto al figlio” poiché questo nasconde strazi altrui oltre che scandalosi business.
Don Gian Maria Comolli