San Giovanni di Dio di cui celebriamo la festa l’8 marzo non è vissuto molto ma ha trascorso una vita intensa nella santità e nella sanità.
La giovinezza
Nacque nel 1495 in Portogallo (a Montemoro Novo) e fu pienamente “figlio della sua epoca”, cioè respirò profondamente le ripercussioni degli eventi del suo tempo, in particolare il clima della riforma e della controriforma per quanto riguarda l’aspetto religioso e le scoperte e le conquiste per quanto riguarda quello sociale.
Restò poco in Portogallo, poichè a circa sette anni fu rapito. La storia spagnola e portoghese è ricca di questi aneddoti; si pensi, ad esempio, ai viandanti che rapivano i bambini per costringerli a chiedere le elemosine.
Nel 1523 si arruolò nell’esercito in un’ epoca di molteplici guerre; ad esempio Vienna stava per essere occupata dai Mori e tutta l’Europa era in subbuglio.
Tornato in Spagna visitò il Santuario di San Giacomo di Compostela, poiché dopo il frastuono della vita militare sentì il desiderio di recarsi in un luogo sacro. Poi in Africa dove soccorreva gli schiavi, a Gibilterra venditore ambulante e a Granada negoziante di libri e di immagini sacre. Non a caso i vincitori del “Premio Bancarella” di Pontremoli, ricevono una statuetta in ceramica raffigurante San Giovanni di Dio.
A San Giovanni di Dio, molto probabilmente è mancato l’affetto dei suoi genitori nell’infanzia, quindi sarà “il ricercatore dell’amore”: amore per chi ne aveva bisogno ma anche per chi riteneva di non averne bisogno ma che manifesta il desiderio di averlo.
La conversione
“Per caso” secondo gli uomini ma non secondo Dio, nel 1539 in una chiesa di Granada incontrò un santo predicatore: San Giovanni d’Avila e, ascoltando una sua omelia, Giovanni di Dio si convertì. Ma la conversione fu per lui talmente destabilizzante che gli provocò un trauma che lo obbligò ad un ricovero in una struttura psichiatrica: l’Ospedale Reale.
San Giovanni di Dio era un ricercatore di Dio, di quel Dio presente in ogni uomo. E, il nostro santo, ci insegna che l’autentica conversione genera la ricerca e ha come conseguenza la testimonianza.
Nell’Ospedale Reale Giovanni di Dio si rivelò più savio dei savi, più dotto dei dottori, più previdente dei provveditori. E lì osservò come venivano curati i malati e trattati duramente, comprendendo così che la sua missione era quella di costituire un ‘ospedale fondato sulla professionalità, sull’amore e sulla carità poichè ogni sofferente era l’immagine del Signore Gesù.
A totale servizio dei sofferenti
Dimesso dall’ospedale si recò pellegrino a Guadalupe, dove oltre esserci un grande santuario mariano, era presente una notevole scuola di assistenza. Prima di compiere la carità, Giovanni di Dio, oltre che pregare la Vergine si fermò ad osservare ed imparare dai monaci per “fare bene il bene”.
Tornato a Granada fonda il suo primo ospedale e ricerca due collaboratori. Questi primi “collaboratori” non erano persone che frequentavano abitualmente la Chiesa, ma due uomini in ricerca: uno cercava giustizia essendogli stato ucciso un fratello, l’altro era il gestore di case di tolleranza. E, queste due persone “in ricerca”, furono i primi compagni del nostro santo.
Nel frattempo, Giovanni di Dio, uomo magro e vestito di saio, incominciò a pellegrinare per le strade di Granada, e qui sorse anche il nome di “Fatebenefratelli” poiché ripeteva a chi incontrava; “fate bene fratelli a voi stessi facendo l’elemosina”.
Con il trascorrere del tempo l’organizzazione del suo ospedale, primo esempio di “ospedale moderno”, cresceva secondo criteri di efficienza intersecata ad un altissimo amore per il prossimo. Fu il primo che diede un letto a ogni malato, che divise i malati per patologia, che curò particolarmente l’igiene… Tutto ciò fu riconosciuto da molti tra cui il medico ateo, antropologo e filosofo, Cesare Lombroso (Cfr. San Giovanni di Dio. L’uomo del genio, Torino 1888, pg. 307). Per comprendere più profondamente Giovanni di Dio, è importante evidenziare che il nostro Santo non volle supplire ad un bisogno sociale, poiché a Granada operavano già cinque strutture ospedaliere, ma volle creare un “nuovo modello assistenziale” che ponesse il malato al centro della struttura; una struttura che doveva esistere solo per curare il sofferente. Come è attuale questa visione, soprattutto oggi, di fronte all’aziendalizzazione della sanità o alla inversione di ruoli: bilanci, operatori, sindacati… poi il malato.
In società
Dopo aver fondato il suo ospedale si reca da re Filippo II per chiedergli aiuto, cioè entra nella società; oggi forse si direbbe: “fa politica”. E qui è opportuno chiarire il concetto. La politica, giustamente intesa, è una grande scienza, e “fare politica”, è un notevole servizio, poiché il termine “politica” deriva dalla parola greca “polis” cioè “città”. Di conseguenza, la politica, è la costruzione della città e della civiltà a favore dell’uomo. Giuseppe Lazzati, famoso rettore dell’Università Cattolica, definiva la politica “la scienza della costrizione della città dell’uomo a misura d’uomo” (Città dell’uomo. Costruire, da cristiani, la città dell’uomo a misura d’uomo, Ave, pg. 41). Giovanni di Dio, aveva intuito già allora, che l’autentica carità non può rinchiudersi in se stessa ma deve aprirsi agli altri, ai bisogni di tutti, alle nuove e continue esigenze della società con la quale serviva continuamente dialogare. Soprattutto con le sue Istituzioni.
Dopo di Lui
Morì nel 1550 e immediatamente sorse “l’Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio” (Fatebenefratelli) che da oltre cinque secoli assiste gli ammalati in tutto il mondo con ospedali sia generali che psichiatrici, cliniche e case di riposo.
Don Gian Maria Comolli