L’ Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha bocciato un po’ di tempo fa il progetto che la Francia aveva presentato all’ONU, a nome dell’Unione Europea, per la depenalizzazione universale dell’omosessualità. Come mai questa incomprensibile posizione della Chiesa cattolica che dichiara di difende la dignità di ogni uomo? Giovanna.
LA RISPOSTA DEL DON
La depenalizzazione mondiale dell’omosessualità è una buona proposta, ma purtroppo, anche le idee migliori, a volte, sono ideologizzate trasformandosi in negative. Per comprendere la posizione della Santa Sede, dobbiamo evidenziare il secondo atto previsto dal governo francese. Unificare, in un unico testo, la depenalizzazione dell’omosessualità ed una mozione per fissare a livello internazionale alcuni capisaldi sull’orientamento sessuale e sulla identità di genere, da inserire nei diritti umani. L’allora Osservatore Permanente, monsignor Celestino Migliore attualmente Nunzio Apostolico in Francia, intervistato dall’agenzia di stampa francese I. Media affermò: «Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale (…). Il Catechismo della Chiesa Cattolica, dice, e non da oggi, che nei confronti delle persone omosessuali si deve evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione. Ma qui, la questione è un’altra».
Si tentò nuovamente la strategia di introdurre in convenzioni Onu, o in direttive dell’Unione Europea, o in sentenze di Corti di Giustizia sopranazionali, formule che concatenassero le scelte sessuali ai diritti umani, vincolando i singoli Stati a legiferare sull’argomento. In questo caso per abrogare la naturale distinzione del sesso maschile e femminile, sostituendolo con gli orientamenti sessuali, cioè i generi. E questa, non era la prima volta che alcuni organismi internazionali, azzardavano il colpo. Ad esempio, alla Conferenza Onu di Pechino sulla donna, si propose il riconoscimento di cinque generi: maschile, femminile, maschile omosessuale, femminile omosessuale e transessuale. Nel Trattato di Amsterdam e nella Carta Fondamentale dei Diritti Umani dell’Unione Europea non si utilizzò il vocabolo sesso ma orientamenti sessuali, con tutte le conseguenze che ne derivano. Non possiamo scordare, inoltre, il documento: Principi di Yogyakarta del 26 marzo 2007, predisposto da 29 esperti internazionali, che interpretarono i diritti umani in chiave di «identità di genere», e nella prima versione, fecero esplicito riferimento alla mozione sarebbe stata presentata dalla Francia all’Onu.
Distinguiamo i due concetti: «identità sessuale» e «identità di genere», che alcuni vorrebbero farci credere riguardi unicamente un’ «eleganza del linguaggio».
L’ identità sessuale è il riconoscersi appartenenti al sesso biologico maschile o femminile, e questa pertinenza è costituita dalle caratteristiche sessuali e biologiche dell’uomo o della donna iscritte nel Dna di ogni persona.
L’ identità di genere va oltre, sostenendo che non sussistono tra uomini e donne differenze biologiche iscritte nella natura, ma la diversità riguarda l’identificarsi «caratterizzato da una costellazione di aspetti psicologici, interessi, valori e attitudini associati ai sessi in base ad aspettative, valori e norme culturali di riferimento» (V. Zammuner, Identità di genere e ruoli sessuali, in S. Bonino – a cura di, Dizionario di psicologia dello sviluppo, Einaudi 2000, 339). L’identità di genere, dunque, riguarda le modalità di identificazione nel ruolo maschile o femminile che supera l’ordine naturale e le costruzioni sociali indotte. Dunque, dagli anni ’70 del XX secolo, questo concetto per alcune correnti sociologiche americane, descrive il genere o la modalità nella quale la persona si riconosce e con la quale vorrebbe presentarsi alla società, riferendosi alla frase di Simone De Beauvoir «Donne non si nasce, lo si diventa». Si reclama perciò il diritto di ogni persona a manifestarsi in base agli aspetti psicologici del proprio temperamento e comportamento, come uomo o donna, gay o lesbica oppure transessuale, cioè se accogliere l’identificazione tra sesso biologico e genere. E il corpo, non può essere un ostacolo o un limite. L’obiettivo finale di questa aberrante ideologia è l’assoluta indifferenziazione abolendo i segni sessuali della creazione e i vincoli della legge naturale, come richiesto dai Principi di Yogyakarta, che definiscono l’identità di genere come: «la profonda esperienza interna ed individuale di ciascuna persona che può o non può coincidere con il sesso assegnato alla nascita, incluso il senso personale del corpo (che può includere, se liberamente scelto, la modificazione dell’apparenza o delle funzioni attraverso mezzi medici, chirurgici e altro) e altre espressioni di genere, incluso il vestire, il parlare e i modi di comportarsi». Per questo, i «29 saggi» determinarono l’orientamento sessuale come la «capacità di ogni persona per una profonda attrazione emotiva, affettiva e sessuale – e di relazioni intime e sessuali – verso individui di diverso genere o dello stesso genere o di più di un genere».
Questa ideologia, inoltre, identifica nella famiglia l’ostacolo primario alla costituzione di nuovi stili originali di vita, sovverte l’eterna visione della dinamica complementaria uomo-donna che origina la vita, capovolge la realtà sessuale e demolisce i ruoli specifici dei due sessi, mentre il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda: «spetta a ciascuno accettare la propria identità sessuale, riconoscendone l’importanza per tutta la persona, la specificità e la complementarietà» (487).
Da quanto illustrato si comprende che far coincidere i «diritti umani» con l’«identità di genere» è decisamente sviante, poiché unicamente il riconoscimento della propria identità femminile o maschile permette il totale equilibrio alla persona. La Santa Sede, bocciando la Dichiarazione francese riguardante la depenalizzazione universale dell’omosessualità, avvertì che la proposta era il primo passo per imporre a tutti i Paesi la ratifica dei Principi di Yogyakarta.
Don Gian Maria Comolli