Con un coraggioso messaggio Philip Egan, vescovo di Portsmouth, lancia un allarme a clero e laici dopo il caso Alfie Evans: «Abbiamo urgente bisogno di rivedere l’assistenza per anziani e fine vita».
«Miei cari amici, sono certo che anche voi, come me, siete rimasti scioccati e rattristati dopo aver letto il rapporto della scorsa settimana sulla morte di centinaia di anziani al Gosport Memorial Hospital nel periodo 1989-2000, causato dalla prescrizione inappropriata di oppiacei e antidolorifici. È una terribile tragedia».
IL MESSAGGIO. Inizia così il messaggio pastorale che monsignor Philip Egan, vescovo cattolico di Portsmouth, ha diramato lo scorso 29 giugno dopo aver letto il rapporto indipendente commissionato dal vescovo emerito di Liverpool James Jones sull’ospedale dell’Hampshire, dove sarebbero deceduti almeno 456 pazienti in 11 anni in seguito a somministrazione di farmaci, soprattutto analgesici oppioidi, senza adeguata giustificazione medica. «Queste morti sono avvenute nella nostra diocesi», spiega Egan, e le lezioni da trarre in questo caso «saranno molte, sembra chiaro che come società abbiamo bisogno urgentemente di rivedere la nostra assistenza agli anziani e la nostra assistenza per il fine vita».
DOPO ALFIE EVANS. La recente campagna a Guernsey (l’isoletta nel canale della Manica che si candida a diventare meta per i turisti britannici della “dolce morte” legalizzando l’eutanasia) e poi il caso del piccolo Alfie Evans, «ci dicono che non possiamo più lasciare decisioni scomode solo ai tribunali. Dobbiamo recuperare i nostri valori fondamentali», scrive Egan attaccando il concetto di “qualità” «che sembra investire esperti e giudici di un potere di vita e di morte sull’individuo. Preferisco il termine “dignità della vita”, che ci ricorda il bene assoluto della persona e il suo valore infinito».
VIGILATE SUL SISTEMA SANITARIO. Il vescovo coraggioso usa parole inequivocabili per parlare del sistema sanitario inglese: «L’Nhs è una enorme benedizione, ma dobbiamo sempre vigilare sulle politiche, i valori, le priorità e le procedure che operano al suo interno». Il vescovo racconta l’inganno del Liverpool Care Pathway (Lcp) in voga dagli anni Novanta e abbandonato nel 2013: a quel tempo scrive di avere riconosciuto al protocollo un certo intento nobile, la cura dignitosa del morente, l’alleviamento della sofferenza e del dolore, e la cessazione di trattamenti invasivi e procedure non necessarie. Ma «ho anche espresso grande preoccupazione per l’uso sempre più frequente nei nostri ospedali, dove la pressione per risparmiare denaro e per utilizzare i letti, insieme all’emotività con cui si guardava a chi soffre, avrebbe potuto suggerire la necessità di accelerarne la morte». All’epoca i media raccontavano di pazienti a cui veniva applicato il protocollo senza che le famiglie fossero consultate, «e ho espresso riserve sull’Lcp stesso: a quei dottori veniva chiesto di dare una sentenza definitiva sulla morte del paziente e il ritiro sommario di idratazione e nutrizione».
TORNATE ALLE ORIGINI. Dobbiamo tornare alle origini, scrive Egan, al clero e ai laici della diocesi, ricordando che essere cattolici significa credere che la vita dal concepimento alla morte naturale è un dono di Dio, sacro e inviolabile, «la fragilità, il dolore e l’infermità sono sempre una prova difficile» e «dobbiamo ringraziare Dio per gli incredibili progressi nella moderna assistenza sanitaria, e non da ultimo nelle cure palliative e nella gestione del dolore fino alla fine della vita».
PREGATE PER I MEDICI. La lettera si conclude con una potente esortazione alla responsabilità su tre precisissime questioni. La prima, pregare per i medici, infermieri e operatori sanitari, chiedendo a Dio di benedire e guidare il meraviglioso e generoso lavoro che fanno, e per i malati, i morenti, quelli in ospedale e chiunque soffra di dolore mentale, emotivo o fisico, e «se un cattolico è gravemente malato, a casa, in ospedale, in una casa di cura o ovunque si trovi, per favore chiamate un sacerdote per amministrargli i sacramenti».
CHIEDETE DI MORIRE A CASA. La seconda, «se voi o una persona cara siete malati terminali, considerate la possibilità di morire a casa. Chiedete se è possibile usare farmaci che non facciano perdere la coscienza e la possibilità di pregare e comunicare con la famiglia e gli amici. Come parente prossimo, insistete per essere coinvolti nelle decisioni. Potrebbe essere opportuno chiedere al personale una seconda opinione o una nuova valutazione del trattamento. La vita, naturalmente, non può essere prolungata indefinitamente, ma non è moralmente ammissibile fino all’ultimo ritirare alimentazione e idratazione. Se il team medico sostiene che non si può fare più nulla, questo è il momento, se non già fatto, di chiamare il sacerdote per amministrare i sacramenti».
LA MORTE CHE DIO HA PREPARATO PER NOI. In terzo luogo, «pregate ogni giorno voi stessi per una morte felice, cioè per morire in uno stato di grazia, aiutato dalla cura sacramentale della Madre Chiesa e sostenuto, come lo fu il Signore Gesù stesso, dalla famiglia e dagli amici. Accettiamo la morte che il Signore ha preparato per noi».
Caterina Giojelli
Tempi.it, 5 luglio 2018