La questione migratoria ha poco che vedere con le ondate emigratorie storiche a noi note. E la via per concedere diritti non è quella dell’immigrazione incontrollata.
La questione immigratoria sta oramai deflagrando perché ha poco o nulla a che vedere con le ondate emigratorie storiche alle quali, erroneamente, viene ricondotta. Qualsiasi paragone con le emigrazioni europee ed italiane verso gli Stati Uniti o l’Australia che tanto hanno caratterizzato il Novecento è qui del tutto fuori luogo, quando non addirittura in cattiva fede. Le attuali ondate emigratorie che dall’Africa e dall’Asia arrivano in Europa, pur avendo alla base ragioni di miseria economica grave, sono apertamente sollecitate ed organizzate da una serie micidiale di agenzie che vi hanno trovato un’occasione di guadagno economico o politico.
In testa a questa triste lista ci sono certamente i governi dei paesi d’origine. Costoro si guardano bene dal vedere nella loro migliore gioventù che va via la prova solare della loro incapacità politica e di governo, ma al contrario la colgono come una provvidenziale diminuzione della pressione interna, quando non addirittura come un’occasione preziosa di ricatto politico verso l’Occidente (come sembra fare la Turchia di Erdogan). Al secondo posto ci sono le reti della criminalità organizzata che hanno scoperto nel traffico dei clandestini una nuova fonte di guadagno e che vi traggono un’occasione per estendersi e rinforzarsi. Infine ci sono alcune Ong (l’inchiesta della Procura della Repubblica di Catania è in corso) che, facilitando il passaggio in mare, non fanno che alimentare ancora di più il fenomeno e costituiscono così — che lo riconoscano o meno — l’anello finale della catena. Se non si riconosce questa realtà il dibattito “accoglienza sì/accoglienza no” continuerà ad avvitarsi su se stesso, quando non addirittura a fare danni, se non altro per la spaccatura che sta provocando dentro l’opinione pubblica e dentro lo stesso universo dei cattolici.
Le recenti parole di Papa Francesco danno la possibilità di aggiungere a queste verità appena esposte, una seconda verità non meno importante che è, al tempo stesso, evidente quanto illuminante. Accogliere, non può significare immagazzinare decine di migliaia di rifugiati (veri o presunti, ma comunque profughi disperati) in centri di accoglienza dove, ridotti a semplici assistiti, ricevono vitto e alloggio senza una serie di progetti di accoglienza che mirino all’integrazione. I risultati di una simile politica semplicistica — anche se l’unica realizzabile — sono sotto i nostri occhi. Di fatto e in pochi anni, abbiamo creato un nuovo sottoproletariato che vive in una situazione di precarietà permanente, in una sospensione della vita che, prima ancora di essere disumana, è inaccettabile. Tra di loro stanno nascendo aree a rischio, dove la clandestinità diventa l’anticamera per una vita infernale e, per una parte (piccola quanto si vuole ma non per questo irrilevante) degli immigrati costituisce l’ingresso nelle reti della prostituzione o dello spaccio di droga.
In pratica, che lo vogliamo o no, stiamo ponendo tutte le premesse per un disastro morale e sociale che, dopo avere appena evitato la tragedia umana della perdita della vita in mare, crea le premesse per una vita disperata sulla terra.
Il problema principale, se mi è possibile dirlo, non è allora quello dell’identità (fa più danni all’identità nazionale l’attitudine irresponsabile del nostro ministero dell’Istruzione a infarcire di termini in inglese le disposizioni per gli insegnanti, che centomila immigrati sparsi tra Cologno Monzese e Borgo Panigale). E probabilmente il problema non è nemmeno quello della criminalità (tra mafia, camorra, ndrangheta e reti di spacciatori autonomi ce ne abbiamo già così tanta che ci accorgiamo ben poco delle nuove leve). In realtà il vero e drammatico problema è vedere sorgere una nuova area di poveri (o poverissimi) che vivranno inevitabilmente ai margini di tutto e dei quali solo pochi (veramente pochi) riusciranno ad uscirne fuori per un inserimento accettabile. Ed è veramente terribile assistere al progressivo manifestarsi di questa nuova area di marginalità sociale facendo finta di nulla, poiché sappiamo perfettamente come lo stesso statuto di clandestino finisce con il produrla inevitabilmente: perché è proprio il restare nell’ombra, il non avere identità né visibilità a costituire il brodo di coltura nel quale maturano la devianza sociale e la criminalità diffusa. Stiamo ponendo tutte le migliori premesse per assicurarci il disastro dei prossimi vent’anni: quello di una nuova area di marginalità sociale estrema che, insieme al debito pubblico, lasceremo in eredità ai nostri figli.
Ed è per questi motivi che se da un lato occorre iniziare una nuova fase di accoglienza, per la quale parole come relazione, dialogo e integrazione abbiano un senso, dall’altro occorre immediatamente porre fine ai barconi pieni di giovani che raccogliamo per poi distribuire sul territorio nazionale senza il benché minimo progetto reale, ma collocandoli dentro una nuova gabbia, una prigione senza sbarre e senza confini, fatta di un mercato del lavoro che è indecente prima ancora di essere illegale, per i pochi che riescono a raggiungerlo una volta transitati per la mendicità pilotata dinanzi ai centri commerciali.
Non voler vedere questa realtà è da irresponsabili ed in politica l’irresponsabilità fa danni altrettanto gravi quanto quelli prodotti dalla corruzione.
Da qui la necessità di creare centri di accoglienza sulle coste dell’Africa, controllati collegialmente da un team dove alle autorità locali si affianchino rappresentati di organismi internazionalmente riconosciuti come la Croce Rossa. Centri dove si possa vivere decentemente e possibilmente non essere disinfestati con la pompa a distanza (come è accaduto di vedere nel caso di un centro di accoglienza a Lampedusa cinque anni fa). Un filtro di questo tipo impedirebbe a questi disperati, risultato di governi irresponsabili, di pagare 5000 dollari per un pericoloso passaggio in mare. L’accoglienza in Italia avverrebbe infatti per i normali canali e non certo attraverso gli scafisti. Una volta in Italia, anziché abbandonati a loro stessi ed essere preda delle organizzazioni criminali, sarebbe certamente possibile recuperare la parte migliore degli attuali centri di accoglienza per realizzare qualcosa di completamente diverso dal semplice vitto e alloggio. Si potrebbe infatti incrementare ancora di più quel percorso di apprendimenti di base che già in parte esiste. Non mancherebbero le associazioni di volontariato laico, gli ordini religiosi, gli uomini e le donne di buona volontà che si alternerebbero volentieri per fornire gratuitamente tutte quelle conoscenze fondamentali che consentono l’inserimento nella società italiana, a cominciare da quella della lingua e delle leggi dello Stato. Ci sono tante ottime maestre in pensione che sarebbero pronte ad un simile impegno in cambio di un semplice gesto pubblico di riconoscenza. Immigrato non sarebbe più sinonimo di clandestino e tutti i diritti politici, ma veramente tutti, potrebbero essere concessi.
Salvatore Abbruzzese
www.ilsussidiario.net, 24 giugno 2018