Da gennaio a maggio 2018, i fascicoli aperti dall’Anac sono stati 334 mentre in tutto il 2017 erano stati 364, 174 nel 2016 e appena 125 nel 2015. Per Michele Corradino, commissario dell’Anac e magistrato del Consiglio di Stato, “i cittadini devono essere sentinelle, le persone devono essere coinvolte dallo Stato. Quando la gente è chiamata a contrastare la corruzione, reagisce positivamente. Pensiamo al dibattito in merito alla trasparenza nelle Pubbliche amministrazioni: si riteneva che i cittadini si sarebbero interessati soltanto agli stipendi dei dipendenti, invece le sezioni più controllate sono quelle relative agli appalti”.
Oltre due segnalazioni al giorno negli ultimi cinque mesi, circa il doppio rispetto al 2017. Sono i numeri presentati nei giorni scorsi dall’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) nel rapporto sul whistleblowing, ovvero la disciplina che tutela il dipendente che segnala condotte illecite. Da gennaio a maggio 2018, i fascicoli aperti dall’Anac sono stati 334 mentre in tutto il 2017 erano stati 364, 174 nel 2016 e appena 125 nel 2015. Da inizio anno, l’Anac ha già inviato 16 segnalazioni alla competente Procura della Repubblica per fatti di rilievo penale, 10 alla Corte dei conti per danno erariale, 15 all’Ispettorato della Funzione pubblica. Il 42,8% delle segnalazioni sono state effettuate al Sud, il 32,3% al Nord, il 21,8% al Centro, meno dell’1% all’estero. Ne parliamo con Michele Corradino, commissario dell’Anac e magistrato del Consiglio di Stato.
Sono raddoppiate le segnalazioni di whistleblowing negli ultimi cinque mesi rispetto al 2017. Significa che lo strumento inizia a dare i primi frutti?
È molto importante. Sono ancora numeri piccoli, ma il trend è incoraggiante. È un segno di speranza. Si sta uscendo dalla rassegnazione diffusa davanti a episodi di corruzione e malaffare. Sta venendo meno l’assuefazione, questa mentalità non è più considerata normale.
Oltre il 90% delle segnalazioni provengono dal settore pubblico. Perché?
È un dato legato alla struttura della normativa. Il settore pubblico è stato quello interessato dalla legge, fino alla modifica dello scorso anno. Per vedere analoghi risultati nel privato, bisognerà attendere qualche tempo. Fermo restando che ci sono già state numerose segnalazioni da imprese pubbliche di diritto privato, come la Rai.
Se le denunce aumentano, automaticamente la corruzione cala?
L’Ocse ritiene che il modo migliore per contrastare la corruzione sia un controllo sociale diffuso. I cittadini devono essere sentinelle, le persone devono essere coinvolte dallo Stato. Quando la gente è chiamata a contrastare la corruzione, reagisce positivamente. Pensiamo al dibattito in merito alla trasparenza nelle Pubbliche amministrazioni: si riteneva che i cittadini si sarebbero interessati soltanto agli stipendi dei dipendenti, invece le sezioni più controllate sono quelle relative agli appalti.
C’è ancora poca fiducia nell’istituto del whistleblowing? Si teme per la riservatezza della propria identità?
Usciamo da una fase in cui sembrava tutto normale. È stato un lavoro difficile, sostenuto anche da Papa Francesco che ha offerto più contributi in assoluto sul tema della corruzione. Finalmente sembra che le cose stiano cambiando, ma il percorso è in salita. Non riusciamo nemmeno a tradurre la parola whistleblowing. Abbiamo anche indetto un concorso con il Ministero dell’istruzione, ma non ci siamo riusciti. Lo Stato deve dare gli strumenti perché il cittadino possa essere modello. Si potrebbe anche pensare a un potenziamo dell’anonimato, da estendere in caso di processo penale.
Tante le segnalazioni che riguardano casi non di competenza dell’Anac…
Le persone hanno bisogno di un soggetto a cui rivolgersi per raccontare i problemi che vivono. Tante sono vicende private. Ma nella legge si dice chiaramente che le segnalazioni devono essere fatte nell’interesse dell’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato. Dunque, del bene comune.
Riccardo Benotti
SIR, 11 luglio 2018