Finché noi cristiani restiamo spettatori della realtà, non contribuiremo mai a tessere evangelicamente la trama o l’ordito della storia. Buttarci nel quotidiano, sporcandoci anche le mani, è un imperativo che chiede conto alla nostra responsabilità, per evitare di giudicare gli altri come il fariseo nel tempio, mistificando spesso il reale, che è la storia di cui facciamo parte. La consapevolezza di sé all’interno della trama della vita, ci fa cogliere Dio che opera nel qui e ora, soprattutto quando il nostro desiderio ci spinge verso altri lidi, forse più belli, ma che non portano a vedere la presenza di Dio anche nei poveri “cristi”. E qui si gioca la nostra testimonianza: decidere di starci, di esserci, di rimanere in questa storia tanto amata da Dio e coinvolgersi nella società, nella gioia del dono.
In questo tempo non mancano segni positivi che fanno sperare, ma vi sono anche degli elementi che costellano la nostra vita e ci interrogano. Come stiamo vivendo alla presenza di Dio, in piedi davanti a Lui, nella quotidianità? Che cosa favorisce il nostro essere cristiani in un mondo in cui tutti gli argini sembrano rompersi, la difesa delle idee individuali vengono sbandierate a scapito dei valori, la ricerca del funzionalismo passa sulla testa delle persone?
Tante agenzie sembrano distogliere noi cristiani dal nostro impegno quotidiano a vivere il Vangelo laddove siamo collocati, ma spesso non ce ne rendiamo conto. Nel tran tran ordinario, perdendo il riferimento costante a Cristo e al Vangelo, smarriamo il senso della nostra vita e camminiamo sulle sabbie mobili.
La nostra incidenza nella storia e nella società spesso è insignificante, soprattutto perché rincorriamo il nostro pensiero individuale, non sempre evangelico, o ci adeguiamo a quello di chi grida più forte.
Forse è giunto il tempo di incominciare a porci delle domande e a darci delle risposte a partire da Dio, per vivere nella storia con coerenza come Gesù. Molte cose ci attraggono o ci distraggono, il dialogo interno ci spinge a difendere la nostra torre d’avorio, cerchiamo alleanze che non ci scomodano, ma che ci confermano, senza discernere se ciò che scegliamo viene da Dio e se ci aiuta ad essere testimoni di Cristo. Senza fermarci davanti al Signore, rischiamo di adattarci alle situazioni, cercando di accomodarle secondo le nostre idee o i nostri bisogni.
È proprio impossibile per noi cristiani vivere il Vangelo sine glossa? Come fare per capire se il nostro atteggiamento è secondo Dio e se ci rende testimoni credibili del Figlio dell’Altissimo fatto uomo? Basta valutare la nostra modalità relazionale e verificare se restiamo sempre in relazione anche con chi consideriamo nemico o contrario e se siamo disponibili a donare la vita per gli altri, purché sia custodita la comunione, dono dello Spirito.
Non è il portare avanti con veemenza le proprie idee che salverà la storia, ma l’attraversare anche l’esperienza di insuccesso, come Gesù, senza screditare gli altri.
L’individuo oggi è più portato a litigare e non a gestire il conflitto. Chi non sa gestire il conflitto, infatti, mira a far prevalere il proprio punto di vista e litiga; nell’ascolto, invece, ognuno si apre all’accoglienza dell’altro, nella disponibilità a mettere insieme le varie tessere, in vista di creare anche qualcosa di nuovo nella fedeltà al Vangelo. Sembra che in questi ultimi anni sia stato infisso ovunque un manifesto globalizzato e indirizzato a tutti: “uomini e donne della terra entrate con sfida nel mondo del litigio e gridate”. La vita cambia, però, solo quando ognuno smette di far vedere di essere bravo.
Dov’è la cura della profondità spirituale? Ha ancora senso custodire il silenzio abitato, che ci fa cogliere in ogni situazione la presenza di Dio e quella degli uomini e delle donne che incontriamo? Quando il nostro cuore è distante dalla radice della stessa esistenza abitata dal Signore, facciamo spesso delle cose per lui e non in lui. La storia ci interpella, perché la credibilità passa dalla nostra coerenza illuminata costantemente dal senso della vita: Cristo e il Vangelo.
Con il Battesimo ci siamo impegnati con Dio per sempre nella costruzione del Regno che è giustizia, pace e gioia nello Spirito.
Il nostro sì al Signore ci rende persone libere che non si preoccupano della propria apparenza, ma che si donano nella gratuità. Chi, infatti, vive in Cristo sceglie costantemente di modificare la prospettiva o di cambiare il proprio desiderio nella situazione in cui si trova, purché si realizzi non un progetto vagheggiato o un desiderio soffocato, ma il Regno di Dio nella comunione, nella consapevolezza che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8,28).
Finché noi cristiani restiamo spettatori della realtà, non contribuiremo mai a tessere evangelicamente la trama o l’ordito della storia. Buttarci nel quotidiano, sporcandoci anche le mani, è un imperativo che chiede conto alla nostra responsabilità, per evitare di giudicare gli altri come il fariseo nel tempio, mistificando spesso il reale, che è la storia di cui facciamo parte. La consapevolezza di sé all’interno della trama della vita, ci fa cogliere Dio che opera nel qui e ora, soprattutto quando il nostro desiderio ci spinge verso altri lidi, forse più belli, ma che non portano a vedere la presenza di Dio anche nei poveri “cristi”. E qui si gioca la nostra testimonianza: decidere di starci, di esserci, di rimanere in questa storia tanto amata da Dio e coinvolgersi nella società, nella gioia del dono.
Diana Papa
SIR, 11 luglio 2018