La Conferenza episcopale italiana ha preso posizione sull’emergenza migratoria e mandato un messaggio al governo. La Ue dovrebbe stabilire delle quote.
La Conferenza episcopale italiana ha preso posizione sull’emergenza migratoria e mandato un messaggio al governo. “Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto” hanno scritto i vescovi in una Nota. La via della Chiesa è quella di “un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità”.
“La Ue potrebbe coordinarsi nel determinare delle quote annuali di immigrati e rifugiati da accettare attraverso meccanismi legali e concertati sia tra i Paesi dell’Ue che con i Paesi di origine”, dice al Sussidiario monsignor Silvano Maria Tomasi, membro del dicastero vaticano per lo sviluppo umano integrale.
La politica migratoria italiana è sotto accusa per la decisione di chiudere i porti in assenza di una soluzione europea. Come giudica la scelta del governo?
Le migrazioni attuali non mi sembrano una crisi momentanea ma un fatto strutturale che continuerà fin che le cause che spingono la gente a cercare sopravvivenza e lavoro persistono: guerre, desertificazione, mancanza di lavoro, corruzione. La costruzione di muri e altre barriere non ha fermato il movimento di popoli in passato e chiudere i porti creerà ulteriori emergenze e la ricerca di nuove vie per emigrare. D’accordo che l’Italia non può accogliere tutti i richiedenti asilo e i così detti immigrati economici. Può però insistere su una soluzione europea e internazionale, stabilire una quota annuale di immigrati legali e promuovere un Piano Marshall per l’Africa che affronti il problema alla radice a sostegno del diritto di vivere nel proprio paese dignitosamente.
Si possono opporre ragioni a chi si sposta?
Non si può parlare di migrazioni senza prendere in considerazione il diritto di cercare asilo in un paese diverso dal proprio quando c’è minaccia di persecuzione o il rischio che un serio male venga inflitto. Il diritto internazionale e il diritto umanitario sono chiari sull’obbligo del non-refoulement, di non rinviare un richiedente asilo ad una situazione di pericolo per lui.
Il ministro dell’Interno ha opposto un fermo no alle Ong, accusate di essere un anello nella catena del valore illegale nel traffico di migranti. Come giudica questa scelta?
I migranti subiscono le conseguenze di decisioni politiche mancate o sbagliate e le Ong si preoccupano giustamente di aiutare queste vittime senza voce e partecipazione nella formulazione di politiche economiche e di sviluppo. La retorica populista rischia di intorbidire e far deragliare la discussione e rendere più difficile la ricerca di soluzioni pratiche concordate. La grande maggioranza delle Ong sono un segno di speranza e solidarietà per i migranti che non hanno altri su cui appoggiarsi nelle loro difficoltà. Bisognerebbe riflettere spassionatamente su cosa vuol dire responsabilità di proteggere (R2P) in queste situazioni.
Il governo Conte ha chiesto e ottenuto una ripartizione tra diversi Stati europei di 450 arrivi. L’accordo sembra un superamento di fatto del trattato di Dublino e una declinazione dell’esito dell’ultimo Consiglio europeo. Cosa pensa in proposito?
Il fenomeno migratorio evolve e mi sembra prudente che si mantenga una certa flessibilità nel rispondervi. Se questo inizio di partecipazione nell’accoglienza si consolidasse, l’arrivo di migranti diverrà meno traumatico. Tuttavia l’Unione Europea potrebbe coordinarsi nel determinare delle quote annuali di immigrati e rifugiati da accettare attraverso meccanismi legali e concertati sia tra i Paesi dell’Ue che con i Paesi di origine.
Cosa dice la Chiesa davanti a un problema senza precedenti come quello attuale?
Non è la prima volta che la Chiesa si trova ad affrontare migrazioni di massa. La strategia dei santi dell’emigrazione, come per esempio santa Francesca Cabrini e il beato Giovanni Battista Scalabrini che si occuparono degli emigrati italiani quando emigravano a milioni alla fine dell’800 e inizio del ‘900, fu di compassione e solidarietà, di presenza tra gli emigrati e di risposte pragmatiche alle loro necessità attraverso scuole, ospedali, orfanatrofi, aiuto a trovare lavoro, centri religiosi dove si parlava la loro lingua.
E’ questa l’integrazione?
Sì. La strada per sviluppare comunità che hanno arricchito le società di accoglienza e gli immigrati stessi. Oggi in Italia parrocchie, congregazioni religiose, istituzioni legate alla Chiesa, hanno aperto le loro porte e il loro cuore e accolto gli immigrati provvedendo ai loro bisogni immediati, dando assistenza legale, sanitaria, insegnando l’italiano. Rimane viva l’affermazione di Gesù dal Vangelo di Matteo: Ero straniero e mi avete accolto.
Il mondo cattolico è diviso. Che rapporto c’è tra accoglienza e politica?
La paura dell’altro poco conosciuto e la continua domanda di provvedere servizi per i nuovi arrivati hanno un impatto spesso problematico su tutti i cittadini, che abbiano o no un credo religioso. Per il cristiano, la dottrina sociale della Chiesa provvede una prospettiva originale che gli ricorda che siamo tutti membri della stessa famiglia umana, che “noi” e “loro” abbiamo la stessa dignità, che nel programmare e gestire le migrazioni il bene comune è una guida sicura ed equilibrata. Si cammina uniti a sviluppare una cultura dell’incontro.
Cosa dice papa Francesco in proposito?
Papa Francesco è la voce della coscienza, il richiamo a costruire assieme una società dove non ci siano esclusi e dove il rispetto dei diritti di chi riceve e di chi è ricevuto divenga la base della convivenza. Soprattutto articola l’appello alla giustizia perché siano eliminate le cause che provocano tanti esodi dolorosi e prevalga il diritto a non dover emigrare e la compassione per chi non ha alternative a dover lasciare il suo ambiente familiare.
I corridoi umanitari sono una soluzione?
Lo sono, ma occorre allargarli al di là di qualche organizzazione. Come dicevo, un sistema di quote annuali aprirebbe la strada ad una immigrazione più ordinata e meglio rispondente a certi settori del mercato del lavoro dove gli immigrati possono regolarmente inserirsi e dare un apporto costruttivo.
Di cosa deve rimproverarsi l’Europa?
Direi di mancanza di coraggio e visione del futuro. Forse anche questo è segno del suo invecchiamento. Ma più che rimproverare occorre aprire il cuore.
Come deve agire nelle presenti condizioni un paese come l’Italia?
L’immigrazione continuerà, perché ce n’è bisogno e perché l’Italia non può isolarsi in un mondo globalizzato. Meglio allora non dimenticare che milioni di italiani hanno trovato accoglienza in vari paesi del mondo, programmare e prendere coscienza che una compassione generosa servirà bene anche l’interesse nazionale.
Mons. Silvano Maria Tomasi
www.ilsussidiario.net, 20 luglio 2018