La vita gaja e quel nesso col neoliberismo e col transumanismo

By 9 Agosto 2018Gender

I cattolici di area Family Day hanno esultato per la débâcle del Pd, sconfitto anche in storiche roccaforti della sinistra alle ultime amministrative. Una esultanza comprensibile, oltre che ampiamente prevedibile. Ma il revanscismo, lo mostra inesorabilmente la storia, è una reazione emotiva dal corto respiro. che fa perdere lucidità e rischia, alla lunga, di provocare altri danni. È forte l’impressione che i teorici della “ripresa valoriale” abbiano finito per individuare nel Pd la causa di tutti i mali della società moderna. Da qui a credere che col tramonto di Renzi e del Partito Democratico possano scomparire anche il gender, il poliamore e tutti i falsi miti di progresso, il passo è breve.

Vorrei condividere l’ottimismo dei cattolici “valoriali”. Ma non posso farlo, convinto come sono che l’ideologia dei “diritti civili” sia il sottoprodotto di fenomeni ben più strutturati.

Per spiegarlo bisogna prenderla alla larga.

E che c’è di più largo della manica di “Building a bridge” del gesuita James Martin? Padre Martin, si sa, è uno degli ecclesiastici più in “sintonia” con lo spirito del tempo, impegnato com’è a costruire un ponte tra la Chiesa cattolica e il movimentismo LGBT.

Nel suo libro si incontrano delle curiose espressioni. Prima fra tutte, una sigla: LGBT+.

Che significa? Bisogna sapere che LGBT+ è la sigla impiegata dai movimenti gay per manifestare la propria apertura a ogni genere di orientamento sessuale “diverso” (ad esempio: asessuali, genere non binario, genderqueer, intersessuali, pansessuali, genderfluid ecc.).

Ma il segno dell’addizione non caratterizza soltanto il polimorfismo sessuale. Il segno “più” appare infatti anche nella sigla H+ (che significa “Humanity Plus”). H+ sta ad indicare il transumanesimo, il movimento futuristico che vuole andare, alla lettera, “oltre l’uomo” per costruire una umanità “aumentata” grazie alla tecnologia. Il corpo, per i transumanisti, è un materiale grezzo, aperto a tutti gli usi e gli sviluppi. Inutile dire che i transumanisti sono anche “transgenderisti” e aspirano ad annullare la differenza sessuale in nome di una “libertà morfologica” (la possibilità di modellare ad libitum il corpo umano fino ad arrivare ad ibridarlo con le macchine: uomini e donne cyborg).

Il transumanismo crede in sostanza che la tecnologia e la scienza aiuteranno l’uomo «a trascendere la sua condizione umana per migliorare la sua qualità della vita», spiega l’ideologo transumanista Giuseppe Vatinno. Nel frattempo è importante, afferma sempre Vatinno, «proporre e predisporre un “clima culturale”, un humus fecondo su cui far crescere questa visione futurizzante del mondo».

I transumanisti tuttavia non si limitano a professare la loro fede in una religione tecnologica. Sono anche gli entusiasti supporter di un «turbocapitalismo a innovazione continua» (detto anche «capitalismo esponenziale») che tra i suoi dogmi annovera la crescita infinita. In quest’ottica, soltanto generando valore aggiunto e denaro per gli investimenti sarà possibile avere la forza propulsiva utile a sviluppare una società «in cui la crescita tecnologica diverrà esponenziale ed irreversibile». Per questo motivo Vattino, e con lui i transumanisti, esorta a «migliorare la propria posizione finanziaria, utilizzando al meglio tutte le possibilità che il capitalismo offre».

Il progetto di “superare l’umano” è dunque codificato in una mentalità neoliberale che si sviluppa lungo due direttrici: artificializzazione integrale della vita e mercificazione di ogni aspetto dell’esistenza umana. La trasformazione delle persone in cose viaggia sul doppio binario della tecnologia e del mercato.

È lì a dimostrarlo lo strano interesse per lo stile di vita gay da parte delle oligarchie economiche e finanziarie, il cui sostegno alla causa gay da tempo è sotto gli occhi di tutti. Non è un mistero che storiche banche d’affari come Goldman Sachs e JP Morgan abbiano pubblicamente sostenuto la decisione della Corte Suprema Usa di legalizzare i matrimoni gay, come è noto che Jeff Bezos (Amazon) e Bill Gates (Microsoft) abbiano lautamente finanziato i comitati pro matrimoni gay degli Stati Uniti. E per venire alle faccende di casa nostra, serve ricordare che gli ultimi Pride hanno incassato la sponsorizzazione di celebri brand come Coca Cola e Netflix?

Attenzione, però. L’endorsement dei giganti economici alla causa gay non è, banalmente, il frutto di un oscuro complotto, ma nasce dal cuore stesso del progetto neoliberale, con la sua elevazione del binomio innovazione tecnologica + mercato a parametro esclusivo della vita sociale.

Il sociologo e attivista della causa omosessuale Michael Pollak, riflettendo sullo sguardo indulgente con cui la società aveva cominciato a guardare all’omosessualità dopo gli sconvolgimenti del post ’68, era convinto che lo stile di vita gay fosse il battistrada di una più generale liberalizzazione dei costumi sessuali nella società, basata sulla separazione “razionale” tra sesso, procreazione e affettività e su una specie di traduzione erotica delle logiche di mercato.

Sulla stessa scia si è posizionato Philippe Ariès. Sul punto lo storico francese concorda con Pollak: l’omosessualità è potuta diventare «una sessualità allo stato puro», e di conseguenza «una sessualità pilota», in virtù del suo carattere liquido e naturalmente estraneo alla procreazione. In altre parole, la cultura gay ha offerto il modello di una sessualità fluida, dai ruoli intercambiabili, separata dalla procreazione e dalle tendenze affettive, al di fuori dei vincoli di relazioni stabili e durature.

Basti pensare al “battuage”, un fenomeno nato all’interno della cultura gay. Il battuage è quell’attività che consiste nel battere alcuni luoghi pubblici della città alla ricerca di sesso occasionale, impersonale, privo di ogni coinvolgimento affettivo. I luoghi di elezione del battuage sono posti come strade, giardini, parchi, parcheggi, aree di servizio, bar, saune, gabinetti pubblici, cinema. Si tratta di luoghi che devono garantire una facile accessibilità ma anche consentire l’anonimato.

Le origini del battuage risalgono al periodo in cui i rapporti omosessuali erano stigmatizzati e considerati reato in molti paesi. Il battuage si sviluppa perciò nel contesto di una sessualità marginale, relegata nella semi-clandestinità. È una pratica nata dalla necessità di difendersi da leggi repressive e proteggersi da possibili attacchi, anche violenti, provenienti dall’esterno. Da qui la necessità di incontrarsi in zone a un tempo isolate e accessibili della città e, soprattutto, di servirsi del calcolo razionale.

Perché il calcolo? Le ragioni sono presto dette. Ogni attività clandestina si vede costretta a organizzarsi in maniera da minimizzare i rischi e, contemporaneamente, massimizzare l’efficacia. È così che attorno alla pratica del battuage si è sviluppato un codice, un linguaggio comunicativo idoneo a permettere, con pochi cenni, di stabilire un contatto e comunicare ai potenziali partner le proprie preferenze sessuali. Ad esempio: le chiavi portate sopra la tasca posteriore dei jeans indicano la preferenza per un ruolo attivo, a destra per un ruolo passivo; anche il colore del fazzoletto simboleggia le attività richieste: celeste per il rapporto orale, blu per il rapporto anale, ecc.

In altri termini, il battuage soddisfa appieno le condizioni dell’amore “liquido” di cui tanto si parla e si scrive. La prima di queste condizioni è la separazione («soddisfatta dalla definizione stessa di omosessualità», scrive Pollak) tra sesso e procreazione. La seconda è la separazione tra sesso e affettività, col sesso ridotto a esercizio della genitalità. Il sesso si trasforma così in un “interesse” oggetto di scambio economico-razionale, dove si tratta di massimizzare la propria utilità e minimizzare i costi. Le pratiche sessuali diventano misurabili, quantificabili da calcoli razionali, e si fondano, afferma sempre Pollak, «su una contabilità del piacere che ha l’orgasmo come unità di computo».

Appare evidente che la fluidità relazionale di pratiche come il battuage risponde alla perfezione a quel “clima culturale” propizio, secondo gli ideologi del transumanismo e del neoliberalismo, a una nuova visione del mondo. È altrettanto evidente che le condizioni del battuage escludono i tratti essenziali dell’amore-impegno proprio della famiglia fondata sul matrimonio monogamico e imperniata sulla fedeltà sessuale. E se ne comprendono le ragioni. L’amore-impegno si sviluppa attorno a una cultura del dono, non a quella dell’interesse. La famiglia, da sempre, è il luogo fondamentale del dono nella società, non il luogo di uno scambio utilitaristico. La famiglia è la sede dell’amore incondizionato, del legame che sopravvive alla prova del tempo. La programmata fugacità dell’incontro clandestino ne erode le basi stesse.

La liquidazione dell’amore-impegno si avvale, in quello stesso periodo a cavallo degli anni ’60 e ’70, anche dell’innovazione farmacologica. Con la pillola contraccettiva la separazione tra sesso, procreazione e affettività viene estesa alla società tutta con una radicalità mai vista prima. La tecnologia finisce per fare il gioco del capitale. Come ha ben visto Thérèse Hargot, l’effetto della “menopausa artificiale” indotta dalla pillola è di permettere alle donne di poter lavorare “come degli uomini”.

Si noterà che anche la teoria del gender concorre a rendere interscambiabili le due metà del cielo. Un “genere” neutro è il presupposto dell’esistenza di una economia neutra, la quale, come ha scritto Ivan Illich, «non può esistere se non impone certi presupposti unisex: il presupposto che entrambi i sessi sono fatti per lo stesso lavoro, percepiscono la stessa realtà e abbiano, a parte qualche trascurabile variante esteriore, gli stessi bisogni».

Emerge, di nuovo, l’impianto ideologico del mix tra transumanesimo, liberalismo economico, capitalismo dalla crescita illimitata, “distruzione creativa” (cioè estensione della logica del mercato a tutti gli aspetti della vita), artificializzazione integrale dell’esistenza per mezzo della tecnologia.

Nel suo ultimo saggio, dedicato all’analisi critica del neoliberalismo, il filosofo Massimo De Carolis ha indicato la radice di tutti questi processi nella “dinamizzazione dell’ordine sociale”. Per capire il significato di una tale espressione bisogna riallacciarsi a un concetto chiave della filosofia greca: la dynamis, ovvero la “potenza” o la “possibilità”.

Una società “dinamizzata” è una società “tecnicizzata”, sottoposta a un processo di inesausta trasformazione. Nell’Etica Nicomachea Aristotele assegna alla tecnica (techne) il dominio della sfera del possibile: il campo di ciò che è contingente e che può, dunque, essere modificato ad arte. Con la tecnicizzazione dell’esistenza non si guarda tanto ai “fatti”, ovvero alla realtà delle cose. Con la tecnica si guarda piuttosto alle “possibilità”, alle virtualità presenti nella materia.

In una società che si affida ciecamente alla tecnica tutto diventa possibile. È il cruccio dominante della letteratura della crisi, da Nietzsche a Dostoevskij. In questo orizzonte a un tempo culturale, politico ed economico l’idea che la biologia non incida affatto nella determinazione dell’identità sessuale è un dato scontato.

La dinamizzazione dell’ordine sociale discende da una mentalità materialistica condivisa anche dalle ideologie rivoluzionarie (ciò spiega lo zelo con cui gli ex comunisti si sono convertiti all’agenda neoliberal-transumanista). Ribadire il dato di realtà non basta a convincere chi vuole sovvertire la realtà. La logica realistica non vale per chi abbraccia una posizione rivoluzionaria. Un rivoluzionario sa benissimo “come stanno le cose”. Conosce la fisiologia umana e le sue leggi. Ma non per questo si rassegna a seguire la direzione di marcia prestabilita. Lo spirito rivoluzionario rigetta radicalmente l’idea che vi siano realtà immodificabili (lo “stato delle cose”) dalla volontà umana. Il rivoluzionario conosce la “realtà delle cose” ma rifiuta di abbracciare la “verità delle cose”. Il “realismo” del rivoluzionario consiste nel “chiedere l’impossibile” alle opere dell’uomo (per un rivoluzionario l’uomo non è altro che “materiale umano” da trasformare e plasmare secondo una nuova forma). Oggi non sarà ancora possibile sovvertire le funzioni fisiologiche del corpo umano. Ma un domani potrà dirsi lo stesso, quando l’uomo sarà arrivato a fondersi con le macchine sotto forma di cyborg?…

La promozione dello stile di vita gay non è certo mosso dalla volontà di integrare nella società minoranze escluse, emarginate, rinchiuse nel ghetto. A interessare le élites è un certo stile relazionale, non le persone e i loro drammi. Più semplicemente, il battuage funge da modello generale di un nuovo tipo di relazioni sociali, icona di una rappresentazione fluida e dinamica della società, delle identità sessuali, dei ruoli professionali e famigliari, dove alla cultura del dono si sostituisce il nudo interesse e la natura è superata dall’artificio.

Ne abbiamo avuto una rappresentazione plastica con la legge sulle unioni civili. Ricordiamo un semplice fatto. Il 25 gennaio 2016, in concomitanza con l’approvazione del maxiemendamento che introduceva l’istituto dell’unione civile in Italia – seppure stralciato della stepchild adoption e dell’obbligo di fedeltà per le unioni dello stesso sesso – veniva depositato in Senato un altro ddl a firma di Laura Cantini (tra i cofirmatari apparivano gli immancabili Monica Cirinnà e Sergio Lo Giudice), che mirava a sopprimere l’obbligo di reciproca fedeltà coniugale sancito dall’articolo 143 del Codice Civile.

La ratio del disegno di legge è stata bene illustrata dalla sua prima firmataria, che a “Repubblica” ha dichiarato di considerare il vincolo di fedeltà del matrimonio come il «retaggio di una visione superata e vetusta», definitivamente superata dall’impianto dell’unione civile che «recepisce un modello molto più avanzato, che dovrà essere recepito dal codice civile».

Cosa ci sia dietro la volontà di rottamare la fedeltà coniugale non è sfuggito nemmeno all’Huffington Post, che si è chiesto con Antonio Grizzuti: «Cosa rimane al matrimonio spogliato della fedeltà?». La risposta è evidente a chiunque: «Ovvio: solo l’interesse economico. Una volta che questo verrà meno “liberi tutti”, anche – perché no – di tenere in piedi una relazione poliamorosa. Mazziati lo siamo già, di questo passo cornuti lo diventeremo ben presto senza possibilità nemmeno di appellarci alla legge. È la modernità, baby».

La filosofia LGBT+ è funzionale a questo ideale di “modernità”. Come ha scritto sul suo blog il giornalista Patrice de Plunkett, «la filosofia generale della lobby LGBT è la dissoluzione di tutti i punti di riferimento e di tutti i legami sociali: nato dal neoliberalismo (marketing dei costumi + liquefazione sociale), questo progetto è coerente con l’epoca e le tappe del suo “processo incrementale”, come dicono quelli di En Marche». Morto un Renzi, si farà un Macron. Il gender, il gay pride, il ddl Cirinnà e tutto il campionario delle “conquiste civili” sono sintomi, non la causa.

Il liberalismo sessuale va di pari passo col liberalismo economico. Con l’acume che gli è proprio, Michel Houellebecq ha colto alla perfezione il nesso tra liberalismo economico e liberalismo sessuale, accomunati dall’«estensione del dominio della lotta» a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Alla pari del liberalismo economico, anche il liberalismo sessuale crea una classe di vincitori e una classe di vinti. Da una parte i belli, i forti, i sani, gli intraprendenti che possono accedere a una vita erotica ricca di varietà eccitanti. Dall’altra i brutti, i deboli, i malsani, gli impacciati condannati alla solitudine e alla frustrazione. I romanzi di Houellebecq abbondano di simili “minores”, vittime sacrificali di un darwinismo sessuale che premia gli adatti e punisce gli inadatti. La liquefazione del quadro sentimentale, ridotto a competizione erotica, impedisce la formazione degli affetti forti e leali della famiglia e condanna i “vinti” a esistenze grigie e solitarie che nei racconti di Houellebecq si concludono regolarmente col suicidio.

L’opposizione ai falsi miti di progresso non potrà nascere se non dalla solidarietà con gli ultimi della terra. Perché il grado di civiltà non si misura dalla potenza tecnoeconomica, ma dalla pietà con cui una società sa guardare ai “vinti”.

di Emiliano Fumaneri

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