Che la democrazia sia un modello politico in crisi a livello globale pare un fatto assodato: fior di commentatori e analisti si sono sforzati di spiegarci il perché e il come. Adesso c’è una conferma autorevole, con un focus sulla situazione italiana, basata su dati statistici raccolti da Eurobarometro ed elaborati dall’Istituto Cattaneo di Bologna. Viene fuori che sì, purtroppo la democrazia non gode di grande fiducia nel nostro Paese (ma va perfino peggio negli Usa, in Canada, in Spagna e in Grecia), dove il tasso di soddisfazione per il suo funzionamento è calato di 5 punti percentuali in dieci anni, tra il 2007 e il 2017, passando dal 41% al 36%. Attenzione, però, non è tutto oro ciò che luccica: il grado di soddisfazione per la democrazia è in aumento in diverse nazioni europee, ma tra queste spiccano quelle del gruppo di Visegrad. In particolare, in Ungheria il balzo in avanti è stato del 20% circa. Seguono, sempre con tendenza positiva, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Insomma, osserva il curatore dello studio Marco Valbruzzi, «l’aspetto peculiare è che il gradimento dei cittadini per la democrazia aumenta proprio nel momento in cui la democrazia in queste nazioni assume altre sembianze, sempre meno liberali rispetto a quelle osservate in passato».
E in Italia? Qui da noi, secondo il Cattaneo, la «democrisi » è una po’ più complessa da spiegare di quanto pensi Beppe Grillo, che pure questo termine ha coniato. Innanzi tutto perché, prendendo in considerazione anche un arco temporale più vasto del decennio 2007-2017 ed esaminando una sequenza lunga quasi 45 anni (1973-marzo 2018) si può osservare che soltanto nel 2006 la percentuale dei soddisfatti della nostra democrazia ha superato quella degli insoddisfatti. La causa dell’impopolarità delle nostre istituzioni, dunque, non può essere ricercata soltanto nei 10 lunghi lunghi anni di crisi economica che hanno fiaccato anche gli animi dei più ottimisti. Il problema è a monte, si sarebbe detto una volta.
E l’insoddisfazione sembra quasi imporsi come un carattere nazionale. Ma se si vuole essere più precisi occorre prendere in considerazione alcune variabili di natura socio-demografica. La prima riguarda l’età degli intervistati. La fascia più critica nei confronti della democrazia è quella degli italiani che hanno più di 55 anni: tra loro la percentuale di soddisfazione è scesa dal 36,6% del 2007 al 30,4% del 2017. Ma i soddisfatti sono diminuiti anche tra i giovani, ovvero i cittadini con meno di 24 anni, dal 47,5% al 42,7%. La sola fascia di età in controtendenza è quella 25-39 anni, il cui gradimento per il funzionamento del sistema politico è cresciuto di circa due punti percentuali. Altra variabile presa in esame è il grado d’istruzione: «Emerge chiaramente una relazione negativa tra il livello d’istruzione e la variazione nel grado di soddisfazione per la democrazia – si legge nella ricerca del Cattaneo –. Infatti, sono soprattutto le persone con un minor livello d’istruzione quelle che sono diventate più critiche verso il funzionamento dell’assetto democratico: in questa categoria, chi si dichiarava soddisfatto era il 34,1% nel 2007, mentre nel 2017 quella percentuale è scesa al 23,9%».
Al contrario, tra coloro che hanno svolto studi universitari la quota di soddisfatti è salita dal 49,3% al 52%. È ovvio, tuttavia, che un rilevamento del genere risente delle opinioni politiche degli intervistati. Ebbene, risulta che i più insoddisfatti dello stato della democrazia italiana siano gli elettori di destra e di centrodestra: tra i primi la fiducia è scesa di circa 11 punti, tra i secondi di quasi 9. In discesa tra i 4 e i 5 punti, comunque, anche la soddisfazione degli elettori di centrosinistra e di sinistra. Più stabili gli elettori di centro. Interessante, infine, l’incidenza dell’appartenenza territoriale, perché se l’insoddisfazione resta più elevata al Sud, sono le regioni del Nord-Ovest e quelle del Centro a far registrare i cali più vistosi (meno 11% e meno 9%). «Si nota una sorta di ‘meridionalizzazione’ dello scontento democratico – osserva il curatore della ricerca – e cioè un progressivo avvicinamento delle altre zone d’Italia ai livelli di (in)soddisfazione per la democrazia mostrati dalle regioni del Sud». Più in generale, oggi gli elettori maggiormente critici sono quelli residenti nelle aree rurali e nei piccoli paesi lontani dalle grandi città, che invece nel 2007 erano tra i più soddisfatti: un vero crollo, di oltre il 20%. In definitiva, la «democrisi» nasce in periferia ma rischia di conquistare il centro.
Danilo Paolini
Avvenire.it, 1 agosto 2018