Londra insiste: non più del 50% di allievi confessionali. Il governo conferma il limite anti-radicali. La Chiesa protesta.Si potrebbe chiamare un gesto di ingratitudine e, certo, così l’ha vissuto la Conferenza episcopale cattolica inglese che si è trovata, per la prima volta nella storia del Regno Unito, a difendere le sue scuole. Istituti famosi, con una lunga tradizione, gestiti dalla Chiesa e pagati per il 90%, dallo Stato dal 2010 devono fare i conti con la decisione del governo britannico di introdurre un limite al numero di alunni cattolici che possono essere ammessi. Il cosiddetto 50% cap on religious free school admissions, ovvero il limite del 50% di alunni di una certa fede che possono iscriversi a una nuova scuola pubblica di ispirazione religiosa nel caso le domande di iscrizione superino i posti disponibili, ha provocato la prima incrinatura nella lunga e fruttuosa collaborazione tra Stato e Chiesa in materia di istruzione.
La barriera alle ammissioni fu introdotta otto anni fa dal governo di David Cameron e Nick Clegg, ma si applica soltanto alle cosiddette free schools e alle academies, nuovi tipi di scuole che fanno riferimento al Ministero dell’Istruzione anziché alle autorità locali. Benché ve ne sia bisogno, da quando il limite è stato introdotto i vescovi si sono rifiutati di aprire nuove academies perché decisi a non rifiutare più il posto ad alunni cattolici che fanno domanda di ammissione dovendogli preferire allievi di altre religioni o anche privi di qualunque credo. Theresa May, appena nominata primo ministro, ha promesso di rimuovere il cap, facendo poi marcia indietro dopo qualche mese. L’arcivescovo di Liverpool Malcolm McMahon, responsabile del settore istruzione per la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, ha usato parole durissime nei confronti del governo che «ha rotto la sua promessa, abbandonando l’impegno preso con sei milioni di cattolici inglesi». «La Chiesa cattolica – ha dichiarato l’arcivescovo – ha avuto un lungo e positivo rapporto con lo Stato britannico, consideriamo questa decisione un passo indietro». I vescovi hanno anche scritto a tutte le parrocchie di Inghilterra e Galles e 18mila cattolici si sono mobilitati per protestare scrivendo al ministro dell’Istruzione Damian Hinds. «Il governo non l’ha mai ammesso e non lo ammetterà mai, ma il vero motivo per cui il limite del 50% è stato introdotto è la paura dell’islam più radicale», spiega Robert Meakin, avvocato e consulente, profondo conoscitore di diritto canonico e legislazione britannica. «Da anni – aggiunge – il sistema pubblico d’istruzione si presta a essere manipolato dagli estremisti musulmani e, nel 2014, un’inchiesta ha denunciato che, per anni, diverse scuole di Birmingham erano state usate da estremisti islamici per radicalizzare giovani britannici fin dalla più tenera età. Docenti e autorità scolastiche erano diventati vittime di un gruppo di musulmani che erano riusciti a ottenere che nelle classi miste maschi e femmine venissero separati, le celebrazioni religiose cristiane vietate e fosse proibito cantare e ascoltare musica o persino disegnare volti femminili».
Secondo Meakin, inoltre, «i ministri temono di essere accusati di discriminazione nei confronti dell’islam e hanno preferito intervenire su tutti gli istituti pubblici di ispirazione religiosa, la maggioranza dei quali sono cristiani». Non solo: «Con le restrizioni del 2010 si è anche voluto accontentare le associazioni che credono solo nella scienza e vogliono bandire la religione dalla società, come ‘Humanist Uk’, la ‘National Secular Society’ o la ‘Good Thinking Society’. Da anni queste realtà, sostenute anche dai media, attaccano le scuole cristiane dicendo che sono per ricchi e dividono la società, mentre le statistiche provano il contrario». Negli istituti scolastici gestiti dalla Chiesa infatti la proporzione di alunni non cattolici raggiunge anche il 68% e il 39% appartiene a minoranze etniche. Per non parlare delle scuole dove le classi sono nella quasi totalità occupate da musulmani. E cosa dire dei pasti caldi gratis, da sempre la misura della capacità di una scuola di accogliere gli allievi più poveri, che sono molto più frequenti quando elementari e superiori sono gestite dalla Chiesa? Il 19% di alunni nelle scuole elementari e il 17% in quelle superiori abitano nei quartieri più poveri del Regno Unito. «Il governo – spiega lo studioso – sa che se dovesse tornare sui suoi passi queste associazioni, che vogliono una società secolarizzata e priva di qualunque religione, lo trascinerebbero in tribunale sostenendo che sta discriminando un certo gruppo di cittadini nei confronti di un altro, e ha paura. Ci troviamo in un bel pasticcio, peggiorato dal fatto che il limite del 50% viene applicato soltanto alle nuove scuole e non a quelle che esistono da più tempo. Il governo infatti ha voluto in qualche modo compensare il cap, che impedisce ai vescovi di aprire nuove scuole cattoliche, non applicandolo agli istituti voluntary aided, quelli con più storia alle spalle».
Un portavoce del ministro dell’Istruzione Damian Hinds, contattato da Avvenire, difende le ragioni del governo affermando che «è importante che i nuovi istituti religiosi pubblici rimangano aperti e disponibili ad alunni di altre fedi o anche senza religione così che tutti possano beneficiare dei nuovi posti che sono in grado di offrire. Ecco perché abbiamo deciso in maggio di mantenere il limite del 50%». Il Ministero parla di «inclusione», della necessità di «essere aperti alla comunità locale in senso più ampio» e fa del limite introdotto una questione di integrazione. I vescovi cattolici rispondono dicendo di non volere che il governo imputi alla religione una cattiva integrazione della società britannica. «Ci opponiamo all’idea che la religione divida le persone anziché unirle – chiarisce Paul Barber, direttore del Dipartimento istruzione della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles –. Dove esistono tensioni tra diversi gruppi spesso le ragioni sono da cercare negli alti livelli di povertà e nella mancanza di istruzione nella popolazione femminile. Nulla a che vedere con la fede. Proprio come quando, nel 1920 e nel 1930, la forte migrazione irlandese ha fatto sì che intere zone di alcune città diventassero cattoliche benché le ragioni fossero sociali ed economiche, e non certo religiose». In questo Paese protestante, dove la riforma di Enrico VIII rese i fedeli a Roma una minoranza, perseguitata fino al 1829, le scuole hanno voluto dire per i cattolici la sopravvivenza della loro stessa identità. Fu lo Stato, che oggi rende la vita difficile a questi istituti, a volerle a tutti i costi, quando il bisogno di istruire la popolazione era diventato un’emergenza. Come ricorda Luke Coppen, direttore del settimanale Catholic Herald, «il governo britannico supplicò la Chiesa di aprire nuove scuole, e questa si diede da fare», tanto da decidere di dare la priorità alle scuole rispetto alle chiese. Nel 1944 l’istruzione pubblica divenne obbligatoria dai 4 ai 16 anni e lo Stato volle assorbire quegli istituti lasciando alla Chiesa la proprietà di edifici e terreni. Oggi, in Inghilterra, vi sono circa 7.000 faith schools, come vengono definite. Il 65% appartiene alla Chiesa d’Inghilterra (gli anglicani), il 33% a quella cattolica, l’1% alle comunità ebraiche mentre lo 0,7% sono musulmane, lo 0,2% sikh e lo 0,1% indù. Quelle cattoliche sono scuole pubbliche a tutti gli effetti, l’insegnamento della religione occupa una parte significativa della giornata, con preghiere recitate ogni giorno. Un progetto educativo di estrazione religiosa pensato per 825.840 alunni distribuiti in 2.134 scuole dalle elementari alle superiori, tra i 4 e i 18 anni. Un patrimonio importante, di civiltà e di spiritualità, che va protetto e conservato per il bene di tutti i cittadini britannici.
Silvia Guzzetti
Avvenire.it, 7 agosto 2018