387 ragazzi “invisibili” avvicinati, dall’inizio dell’anno, nell’ambito del progetto avviato dai Salesiani in quattro grandi città italiane. Educatori di strada, psicologi e volontari garantiscono a ciascun minore immediato sostegno e poi opportunità scolastiche e di formazione professionale. “Sono stato rinchiuso in un mese in una casa con altre 120 persone con poca acqua e cibo. Non potevo uscire. Si poteva andare in bagno una sola volta al giorno, pidocchi e zecche non ci facevano dormire e degli uomini armati ci controllavano. Il 23 di giugno alle 2.30 del mattino ci hanno presi e fatti salire su un gommone”. A.S, nigeriano appena maggiorenne, arrivato in Italia a 15 anni, ricorda così l’ultima tappa in Libia del suo viaggio al di là del Mediterraneo, nel 2015. Dopo i primi anni passati in comunità, oggi vive per strada a Catania seguito dai servizi di “bassa soglia” messi in atto dai Salesiani nell’ambito del progetto “M’interesso di te”.
Il progetto dei Salesiani per “gli ultimi”
Da due anni prima a Roma e poi a Torino, Napoli e Catania, l’associazione Salesiani per il Sociale, Federazione Scs/Cnos (Servizi Civili e Sociali – Centro Nazionale Opere Salesiane), uno strumento a sostegno della pastorale del disagio e della povertà educativa che s’ ispira a San Giovanni Bosco, è impegnata a fianco dei minori migranti non accompagnati presenti in Italia e fuori dai circuiti dell’accoglienza messa in campo dallo Stato.
“I ragazzi che contattiamo – racconta ai nostri microfoni don Giovanni D’Andrea, presidente dell’associazione salesiana – li abbiamo definiti ‘gli ultimi degli ultimi’: sono quelli che escono fuori dal percorso ordinario delle casa-famiglia, e che vagano per la strada, dormono fuori e hanno mille avventure, anche drammatiche, tragiche. Perché il mondo della strada è molto crudo, non guarda in faccia a nessuno: dormono anche in luoghi non buoni, e non soltanto da un punto di vista ambientale ma proprio per le persone che lì possono incontrare. C’è molta violenza, ci sono codici comportamentali particolari…”)
Il primo passo: stabilire un rapporto di fiducia
387 i minori “invisibili” contattati dal progetto nel primo semestre di quest’anno. “ Sono ragazzi molto semplici – ci dice ancora don D’Andrea -. Purtroppo la vita, per quello che hanno subito, fa dubitare loro di tutti, quindi non si fidano subito. Mi diceva una volta Mario, un ragazzo: ‘Io ho avuto tanti sorrisi da tante persone, però dietro ad ogni sorriso poi c’è stata sempre una pugnalata’. Quindi, all’inizio è normale che siano così, però si deve avere pazienza, dialogare con loro a partire dalle cose che possono sembrare più banali”.
Dietro l’angolo il rischio dello sfruttamento
Secondo Save the Children, nel 2017 sono arrivati in Italia 17.337 minori, di questi 15.779 non accompagnati. Circa 5.000 quelli che gravitano attorno alle stazioni centrali delle aree metropolitane e che ogni giorno rischiano di essere coinvolti in attività criminali o in circuiti di sfruttamento sessuale. Una situazione molto lontana da quella che si immaginavano prima di arrivare. “Questo perché – spiega il presidente di Salesiani per il sociale – molti di questi ragazzi arrivano da noi con la convinzione che devono subito lavorare, fare soldi, mandarli a casa, perché da casa hanno pagato una quota non indifferente per farli arrivare in Italia. Quando poi invece arrivano e vedono che non è facile subito trovare lavoro, perché sono minori, devono stare nelle comunità e fare tutto il percorso, allora tanti preferiscono non farlo e scappano finendo per strada”.
Non perdere mai la speranza
La rete che sostiene gli interventi del progetto “M’interesso di te” è composta da educatori di strada, psicologi e volontari che garantiscono subito a ciascun ragazzo intercettato, sostegno e protezione. In una seconda fase, offrono loro la possibilità di seguire un corso di lingua italiana, di ricevere assistenza legale per l’iter di riconoscimento come rifugiati, di imparare un mestiere e di inserirsi nel mondo del lavoro.
Solo 1 su 10 dei ragazzi contattati compie fino in fondo questo percorso, ma don D’Andrea non perde mai la speranza che anche per ciascuno degli altri possa maturare col tempo qualcosa di buono. “Don Bosco – afferma – diceva che ‘in ogni ragazzo c’è un punto accessibile al bene, anche nel più disgraziato’. E il compito di noi educatori è trovare questa corda per farla vibrare. Questo lo si fa se ti sforzi ogni volta di metterti in gioco: ogni giorno è un giorno nuovo, e quindi anche la speranza che la grazia di Dio possa toccare il loro cuore”.
Adriana Masotti
VaticanNews, 27 luglio 2018