Una Chiesa impegnata sul fronte diplomatico, ma soprattutto sul fronte umanitario, nel cercare di porre fine alla Prima Guerra Mondiale. Furono 24 gli appelli del Papa per fermare quello che lo stesso Benedetto XV definirà “il suicidio dell’Europa”.
L’8 agosto 1918 venne definito il giorno più nero per l’esercito tedesco, la battaglia di Amiens. La guerra si avvicinava alla fine. A cento anni dalla fine della “inutile strage”, la professoressa Maria Eugenia Ossandon, docente del dipartimento di storia della Chiesa presso la Pontificia Università della Santa Croce delinea il rapporto tra Chiesa e Stati in quei drammatici anni.
La Prima Guerra Mondiale è stata definita da Benedetto XV una “inutile strage”. In che modo la Santa Sede lavorava con gli Stati?
Papa Benedetto XV propose di accelerare la fine dei combattimenti e di alleviare le sofferenze dell’Europa. Nel 1914, la Santa Sede aveva rapporti diplomatici con alcuni dei Paesi belligeranti, ma non con l’Italia, la Francia e l’Inghilterra. I rappresentanti diplomatici delle potenze centrali (Germania e Austria-Ungheria) dovettero trasferirsi in Svizzera, perché a Roma non era garantita la loro sicurezza.
La Santa Sede rimase così quasi isolata dal punto di vista diplomatico. Tuttavia, si diede da fare per raggiungere gli obiettivi di pace. Se non aveva rapporti ufficiali con un determinato Paese, affidava a qualche vescovo la presentazione delle sue proposte davanti al governo. Nel caso dell’Italia, Benedetto XV propose al Governo la persona del barone Carlo Monti quale incaricato d’affari. Monti era amico personale di Giacomo della Chiesa (Papa Benedetto XV) e lavorava presso il Ministero per il Culto. Il Governo alla fine accettò.
Perché le proposte di pace della Santa Sede non ebbero successo?
Le proposte di pace della Santa Sede non ebbero successo perché le potenze in guerra non avevano in realtà una volontà di pace. Nel campo umanitario, invece, il Papa riuscì a fare molto. Per questo, alla fine della guerra, la Santa Sede moltiplicò i rapporti diplomatici. Da una parte furono firmati concordati con i nuovi Stati (Cecoslovacchia, Ungheria, Yugoslavia) e dall’altra si riallacciarono con Paesi che li avevano interrotti (ad esempio, con la Francia e la Svizzera).
Quale è stato il ruolo della Chiesa nel corso della guerra?
Papa Benedetto XV decise di agire attivamente in favore della pace e delle vittime. Egli chiese ai vescovi di non schierarsi, di evitare qualsiasi gesto che potesse essere interpretato in favore della guerra e di impegnarsi in favore dei prigionieri di guerra del proprio territorio.
Nel dicembre 1914, la Santa Sede propose una tregua che fu rifiutata da tutti i Paesi belligeranti. Quindi, tentò in diversi modi di evitare che l’Italia entrasse in guerra e provò a spingere i Paesi verso accordi di pace. Nell’agosto 1917 inviò ai capi dei Paesi belligeranti una proposta, che non fu ben accolta.
Al di là del campo negoziale, quali sono stati i risultati ottenuti dalla diplomazia pontificia?
La diplomazia pontificia ebbe vari successi. Tra questi: lo scambio di prigionieri inabili al servizio militare; lo scambio di prigionieri civili; lo scambio di prigionieri feriti o malati, ospedalizzati in Paesi neutri; la liberazione dei militari detenuti da lungo tempo; il rimpatrio, senza scambio, dei tubercolotici italiani prigionieri in Austria; la comunicazione tra le zone occupate e quelle libere dello stesso Paese (interdette dalle autorità militari).
Sin dall’inizio del conflitto, la Santa Sede, mediante la Segreteria di Stato, si occupò di prestare un’adeguata attenzione pastorale ai fedeli arruolati. I nunzi e i vescovi furono inviati ai campi di prigionia per accertarsi della cura spirituale dei prigionieri cattolici e delle condizioni materiali in cui si trovavano. Di solito durante le visite distribuivano anche dei pacchi-dono a nome del papa a tutti i prigionieri, senza far distinzione di nazionalità e fede.
Questo impegno per i prigionieri ebbe altri risvolti?
Nel 1915 fu costituito presso la Segreteria di Stato vaticana, l’Ufficio Informazioni Vaticano per i Prigionieri di Guerra, il cui scopo era fornire notizie alle famiglie dei combattenti e dei prigionieri ed avviare le domande di rimpatrio di prigionieri sia a richiesta delle famiglie o dei prigionieri. Questo ufficio era collegato con altri tre che funzionavano a Paderborn (in Germania), a Vienna (in Austria-Ungheria) e a Friburgo (in Svizzera). Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, era nunzio a Monaco di Baviera da maggio 1917. Il suo compito diplomatico era molto delicato dovuto al ruolo della Germania nella guerra, ed ebbe molto da fare in riguardo. Da ottobre di quell’anno cominciò a visitare diversi campi in Germania e in Austria.
Qual è stato l’atteggiamento della Chiesa negli anni successivi alla guerra? E quali sono state le principali sfide che ha dovuto affrontare in una società profondamente segnata?
Il Papa chiese a tutti di pregare per la Conferenza di Pace di Parigi affinché non regnasse nei partecipanti (soltanto dei Paesi vincitori) l’odio e la vendetta. E si rivolse ai vescovi dei Paesi belligeranti perché si dedicassero a guarire le malattie del corpo e dell’anima dei loro fedeli. Infatti, l’azione umanitaria era ancora importante perché i Paesi erano distrutti dalla guerra; tanti bambini rimasti orfani; la carestia nell’Europa dell’Est fu molto grave.
Nei suoi messaggi Benedetto XV continuò a insistere fino alla sua morte avvenuta il 22 gennaio 1922, nel perdono ai nemici, avere pace negli animi, e nel fondare l’ordine internazionale su una concezione cristiana, garanzia di una pace vera e duratura.
Gianluca Teseo
ACI STAMPA, 8 agosto 2018