A dieci anni dal pogrom anti-cristiano nello Stato indiano dell’Orissa, proseguono le violenze contro i cristiani. Il 7 aprile, una delegazione di vescovi indiani ha visitato i luoghi di culto vandalizzati la Domenica di Pasqua nel distretto di Sundargarh.
Famiglie obbligate a vivere in ghetti, discriminazioni sociali ed economiche, violenze fisiche e distruzione di abitazioni e luoghi di culto. Questo è quello che sono costretti a subire i cristiani che rifiutano di convertirsi all’induismo. Quanto accaduto la notte di Pasqua è dunque l’ennesimo episodio di violenza che si è verificato in Orissa, che da dieci anni è oggetto della più feroce persecuzione anti-cristiana ad opera di comunità indù. Un’ oppressione che ha portato alla morte di numerosi cristiani.
L’attacco la Domenica di Pasqua
L’ultima violenza è avvenuta la notte di Pasqua. Un gruppo di vandali ha attaccato alcune parrocchie della diocesi di Rourkela, dando alle fiamme un magazzino di oggetti sacri. Nella chiesa di San Tommaso a Salangabahal, i malviventi hanno devastato la grotta della Madonna, distruggendo la statua della Vergine e quella di Gesù Bambino. Per mostrare la loro vicinanza e solidarietà nei confronti dei cattolici dell’Orissa, il 7 aprile, una delegazione di vescovi, a nome della Conferenza episcopale indiana (Cbci), si è recata nei luoghi vandalizzati.
L’origine del conflitto
Il martirio dei cristiani del distretto di Kandhamal ebbe origine con l’assassinio del leader induista Lakshmanananda Saraswati, il 23 agosto 2008. Un episodio che accese le violenze e che portò alla condanna di sette cristiani per la presunta uccisione del leader indù. L’omicidio, pur se rivendicato da gruppi maoisti, fu il pretesto per l’avvio dei massacri anticristiani. In quell’anno morirono circa cento cristiani e furono distrutte 8500 case e 395 chiese. Gruppi della società civile stimano che gli sfollati cristiani, cacciati dai loro villaggi, sono stati oltre 56.000.
L’intervento dei leader spirituali
A seguito dell’episodio della notte di Pasqua, ma anche per via delle ripetute violenze che minano l’armonia sociale e religiosa di molti stati indiani, la Conferenza episcopale indiana ha organizzato un incontro con le associazioni delle maggiori religioni del Paese. Scopo della riunione è stato quello di denunciare con fermezza gli attacchi su base religiosa che si registrano in tutta la nazione. I leader religiosi, ricordando l’episodio che ha colpito i luoghi di culto cristiani, hanno espresso grande preoccupazione per l’attuale situazione e si sono rivolti all’intera società indiana chiedendo di “difendere l’armonia sociale” perché solo vivendo in pace il Paese può progredire. L’incontro, riferiscono i leader, sarà la prima di una serie di iniziative promosse per “creare un’energia positiva per superare l’odio”.
Il testo a difesa della dignità
Durante l’incontro è stata redatta una dichiarazione congiunta, firmata dal Segretario Generale della Cbci, mons. Theodore Mascarenhas, da leader indù, buddisti e musulmani. Nel testo viene ricordato che “ ogni indiano ha la sua dignità e il diritto di praticare qualsiasi fede desidera professare. Nessuno può essere etichettato come anti-nazionale in base alla sua religione”.
Luisa Urbani
VaticanNews, 9 agosto 2018