Di fronte allo scandalo orribile che sta emergendo dalla Chiesa americana – abusi nei seminari e molto altro – perché si permette che un militante lgbt parli al meeting delle famiglie? È fuori tema, ed è in plateale conflitto con il magistero della Chiesa, che in questo momento ha bisogno di chiarezza non solo disciplinare – e su questo si stanno prendendo provvedimenti adeguati –, ma anche magisteriale. (Il Papa è chiarissimo su questo, molti vescovi no).
Lo scandalo della Chiesa statunitense è ben presente al cuore di Francesco, le vittime – dice il comunicato della Santa Sede – “sono la priorità del Papa, che vuole ascoltarli per sradicare questo tragico orrore che distrugge la vita degli innocenti”. D’altra parte lo scandalo è precedente al suo pontificato, e non si può negare che “la Chiesa sta vigilando con la massima severità, le riforme hanno ridotto drasticamente l’incidenza degli abusi commessi dal clero. La Santa Shede incoraggia costanti riforme e viglanza, sottolinea l’obbligo di denuncia alle autorità civili”.
In America per lo scandalo in Pennsylvania (centinaia di casi nei seminari in 40 anni) si è formata una rete di laici (complicitclergy.com) per far emergere le responsabilità. Di laici perchè si è capito che si è più efficaci se a raccogliere le denunce è qualcuno che non deve proteggere se stesso, e che non sia parte in causa. Intanto, dopo le dimissioni del Cardinal Mc Carrick, lo “zio Ted”, legate a un altro focolaio di questo stesso male, il rapporto del Gran Giurì in Pennsylvania sta facendo emergere una serie impressionante di connessioni tra alti prelati: c’è più volte – citato 169 volte per la precisione – Donald Wuerl, uno dei consiglieri più vicini a papa Francesco, arcivescovo di Washington. Da vescovo di Pittsburgh avrebbe coperto molti casi di cui sarebbe venuto a conoscenza, lasciando i preti al loro posto nonostante le accuse. Per esempio avrebbe spostato di diocesi in diocesi padre Zirwas, alla fine morto all’Avana ucciso da un prostituto. Si trovava lì in congedo permamente dove continuava ad essere stipendiato con un aumento ottenuto con un ricatto: altrimenti avrebbe rivelato i nomi di una rete di preti omosessuali.
Insomma da Roma si sta facendo il possibile per accertare le responsabilità e agire, ma c’è un’altra cosa molto grave che sta avvenendo sotto i nostri occhi: il dilagare della omoeresia, cioè di coloro che non condividono la posizione della Chiesa sull’omosessualità. E c’è un omoeretico che viene addirittura invitato a parlare ufficialmente a Dublino, al Meeting mondiale delle famiglie. Tra l’altro sarà l’unico dei relatori a parlare da solo, a non condividere il tavolo con altri. Si tratta del gesuita James Martin che già nel 2000 scriveva su America, la rivista dei Gesuiti, un articolo nel quale, letteralmente, si chiede “quali doni possono offrire alla Chiesa i preti omosessuali” che secondo lui sono dal 23 al 58%, anche di più tra i giovani. Martin incoraggia l’outing (“being honest”) e addirittura arriva a dire che gli omosessuali siccome sono stati perseguitati (in America a dire il vero negli ultimi 40 anni è stata la stagione dell’orgoglio e della rivendicazione, non certo della persecuzione, ndr) sono più capaci di amare i poveri, i sofferenti, i soli.
Peccato che invece il Papa ha detto che “nel dubbio meglio che gli omosessuali non entrino in seminario”: lo aveva già chiarito nel 2015 e lo ha ribadito a maggio di quest’anno. Peccato, per padre Martin, che la Congregazione per il clero nel 2016 scrive: “in relazione alle persone con tendenze omosessuali che si accostano ai seminari o che scoprono nel corso della formazione tale situazione, in coerenza con il proprio magistero la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”.
Correttamente la Congregazione fa precedere la parola gay da “cosiddetta cultura”, perché gay allude a una militanza orogogliosa e rivendicativa che la Chiesa non può far propria, mentre Martin ci ha scritto su un libro militante.
Come si può da Roma permettere questo? Perché Farrell, il cui nome è stato fatto più volte nei rapporti in arrivo dagli Usa (non per delle responsabilità ma per i legami con Mc Carrick, con cui conviveva) non coglie l’occasione per dire una parola nettissima e ribadire il magistero della Chiesa sull’omosessualità? È importante anche la specchiata credibilità e il non dare scandalo, soprattutto per uno che sta alla guida di ben tre dicasteri, riuniti tutti sotto di lui, laici, famiglia e vita! Perché non viene allontanato dal meeting delle famiglie, che tanto avrebbe da dire al mondo, uno come Martin che dice che l’omosessualità, vista l’alta incidenza, è “uno sviluppo da non ignorare, che potrebbe avere un impatto significativo nella vita della Chiesa cattolica”? Il Papa dice fuori dai seminari, e lui incoraggia l’outing? Perché il Cardinal Farrell non dice una parola netta in questo momento in cui c’è bisogno di chiarezza? Ha scritto la prefazione al libro di Martin, ma adesso è il momento di essere netti, con tutto quello che sta venendo fuori proprio dal suo paese di origine, e non solo.
È vero, non tutti gli omosessuali sono sessualmente attivi, specifica Martin – bontà sua – e certissimamente pochi compiono abusi su minori, ci mancherebbe. Ma è vero che quasi tutti gli abusi su minori sono di natura omosessuale, e il più delle volte si tratta di pedofilia solo formalmente, nel senso che a essere coinvolti nei rapporti sono giovani maschi, adolescenti, non bambini. Quindi il problema della pedofilia è spesso legato al problema dell’omosessualità.
Nella Chiesa ci sono altre proposte che indicano la via dell’accoglienza alle persone che provano attrazione verso lo stesso sesso: gruppi di spiritualità e di accompagnamento anche professionale delle fragilità, che curino lo spirito e la mente. Ci sono tante realtà a cui invece a Dublino non si darà voce, anche perché non è il tema del meeting, non dovrebbe esserlo. Se a chi ha fatto il panel del Meeting stesse davvero a cuore la felicità delle persone che provano attrazione verso lo stesso sesso – che non sono comunque il tema del meeting – sarebbero stati altri gli ospiti (per esempio Courage). Sarebbe importantissimo allontanare dalla Chiesa ogni ombra di ambiguità sul tema. La tesi di Martin è che le persone omosessuali soffrono perché sono perseguitate, per lo stigma sociale, per il giudizio della gente: lo scrive nella rivista dei Gesuiti, lo scrive nel suo libro. Dando spazio a questa posizione, avallandola, la Chiesa fa un grave torto alle persone che provano attrazione verso lo stesso sesso, perché le abbandona alla loro sofferenza che solo in minima parte viene dal giudizio esterno, in gran parte viene da dentro e dalla propria storia.
Concludo con una nota su Martin, perché qualcuno potrebbe pensare che ce l’abbia con lui visto che non è la prima volta che ne scrivo: io non dubito che sia sincero. Che non sia sessualmente attivo e che non voglia difendere alcun interesse. Non conosco la sua storia personale ma credo che non dovrebbe costruire sulla sua propria storia un sistema di pensiero contrario al progetto di Dio sull’uomo e sulla donna, un progetto meraviglioso e oggi minacciato da più parti. Dovrebbe vedersela da solo con Dio e casomai con i suoi superiori e confratelli, e non usare il suo potere e la sua influenza (è anche consultore della Santa Sede in tema di comunicazione) per fare militanza “lgbt”. Il solo fatto che usi questo acronimo militante e che definisca un prete “omosessuale” è offensivo della dignità di un sacerdote: nessuno di noi, tanto meno un figlio prediletto di Cristo, è definibile in base alla propria inclinazione sessuale, ma è sempre molto, molto di più.
Costanza Miriano
Omosessualità e Chiesa è tempo di fare chiarezza