I coniugi Driscoll si sono opposti ai medici che hanno sospeso i farmaci alla figlia Melody: «Piangeva guardandoti per dire: perché non mi aiuti? Il nostro timore era di una morte per il dolore e così è stato». Dopo i funerali hanno dichiarato che «se ci avessero ascoltato, lei sarebbe ancora qui». Complice anche il silenzio di chi crede di uscirne dialogando.
È morta soffrendo e lo ha fatto prima del tempo, smentendo quanto i medici avevano predetto e confermando quello che i suoi genitori, Karina e Nigel Driscoll, in causa con l’ospedale, gridavano da mesi.
Tutto questo solo perché davanti alla decisione del King’s College Hospital di Londra, dove a marzo è morto soffocato Isaiah Haastrup per volontà dei dottori che lo hanno privato della ventilazione, i servizi sociali hanno dato ragione al rinomato ospedale, dichiarando i genitori, che volevano curarla in casa, incapaci di assistere la loro piccola Melody, morta il 3 luglio scorso a 11 anni. Non importa se per quegli 11 anni erano stati loro a prendersi cura con dedizione della figlia affetta dalla sindrome di Rett, una malattia neurologica per cui non esiste una cura risolutiva, ma che può essere tenuta sotto controllo. Durante il funerale, avvenuto settimana scorsa, nel giorno dell’Ascensione della Madonna, i genitori hanno dichiarato che se il loro parere sulle cure della piccola fosse stato pereso in considerazione, «lei sarebbe ancora viva». Esattamente come pensano i genitori di Alfie Evans, ucciso nell’aprile scorso, di Isaiah e di tanti altri.
Le immagini e i video della vita della bambina circondata dall’affetto di mamma e papà e di tre fratelli, «che lei adorava», spiegava Karina, sono di un grande amore per l’esistenza. Perché anche se Melody faticava ad esprimersi «ha una grande personalità» e dal volto irradiava una gioia di vivere che il mondo sanitario inglese, concentrato sulla perfezione e la “quality of life”, non ha voluto né saputo vedere. È così che, lo scorso ottobre, tre mesi dopo il ricovero della piccola nell’ospedale londinese a causa del collasso di un polmone e del sospetto di sepsi, i medici hanno comunicato ai Driscoll che avrebbero sospeso la morfina e gli antidolorifici che la bimba prendeva dal 2013 per tenere sotto controllo i dolori, in dosi che le permettevano d’interagire, giocare, ridere come sempre. In cambio le fu somministrato il paracetamolo, per nulla sufficiente ad alleviare il male.
Secondo i medici, infatti, spiegò a gennaio Karina al The Mirror, «lei avrebbe un rene danneggiato perché è nutrita da tempo con il sondino, ma ci pare che nessuno dei dottori riesca a comprendere il suo quadro generale» e «il dolore che prova senza farmaci». I dottori ripetevano però che se gli antidolorifici fossero stati somministrati ancora la bimba sarebbe potuta morire da un momento all’altro, senza tener conto della famiglia convinta che senza di essi sarebbe stato il dolore ad uccidere la loro Melody. Così è stato, ancora una volta si è verificato non quanto pronosticato dai dottori ma dai genitori.
Quel che colpisce non è tanto l’errore umano di un medico, ma la mancanza di ascolto dei genitori (che potevano benissimo aver torto e che non vanno sempre assecondati soprattutto quando la loro volontà è eutanasica) e l’incapacità di ammettere uno sbaglio una volta che la realtà lo dimostra. Infatti, dopo che i medicinali erano stati sospesi la piccola aveva cominciato a piangere, gridare e contorcersi, domandando aiuto (come si vede dai video strazianti girati dalla famiglia). A quel punto i coniugi avevano sperato in un cambiamento di opinione, ma nulla accadde, anche se mostravano al personale sanitario la piccola sofferente. A Good Morning Britain i Driscoll hanno raccontato che davanti alle urla i medici «ci rispondevano che faceva la monella, ma lei non è una monella…piangeva e urlava guardandoti come per dire: perché non mi aiuti?». Uno strazio, raccontato da genitori che, impotenti, avrebbero potuto impazzire. Melody «toccava persino la macchina della morfina per dirci di aiutarla». Il timore era quello «di una morte imminente causata dal dolore».
A quel punto, siccome per anni i servizi sociali avevano visto il lavoro e la dedizione della famiglia, i coniugi si erano rivolti a loro, convinti di poter essere aiutati a continuare le cure a casa, ma la parola dei medici, che parlavano dei genitori come “difficili”, ha prevalso su una collaborazione positiva durata 11 anni. Karina ha spiegato che «chiesi ai servizi sociali perché pensavo che ci avrebbero aiutato a fare la cosa migliore per Melody. Solo ora realizzo quanto sono stata ingenua. I genitori non hanno davvero alcun potere».
Dopo il funerale, Nigel ha ribadito che «se ci avessero ascoltato, lei sarebbe ancora qui». Perciò «combatteremo affinché sia fatta giustizia. Non avevamo voce, siamo stati etichettati come genitori problematici…abbiamo detto loro cosa sarebbe accaduto se avessero sospeso il farmaco e così è stato…vorremmo impedire che accada ad un altro bambino». Parole che ormai si ripetono da mesi in Gran Bretagna, dove un numero crescente di famiglie si è trovata, o ancora è, nella stessa situazione di conflitto e debolezza e dove il sistema arrogante e paternalista decide del destino dei suoi pazienti e del valore della loro vita a seconda di quanto siano “funzionanti” i loro corpi.
Parole che si ripetono, appunto, ma che non hanno ancora trovato canali reali di ascolto che possano mutare la prassi. Complice la paura ad esporsi, anche di avvocati e associazioni, contro un colosso come il sistema sanitario nazionale inglese, un dio difeso da tutta la politica e anche dalla Chiesa britannica. E complice il silenzio di chi crede di aiutare questi bambini dialogando con strutture sanitarie e di potere che non hanno intenzione di intavolare alcuna discussione.
Non bastano quindi i commenti affettuosi su questi piccoli martiri, bisogna denunciare senza mezzi termini. Né basta il linguaggio politicamente corretto, come ha insegnato a tutti la battaglia degli Evans bisogna chiamare le cose con il loro nome senza paura. Altrimenti dopo Charlie, Isaiah, Alfie, Melody e altri le cui vite sono state terminate con accanimento prima del tempo, continueranno a morire così tutti gli handicappati la cui “qualità di vita”, non considerata degna di essere vissuta, viene definita dai cultori della morte “inutile”.
Benedetta Frigerio
La Nuova Bussola Quotidiano, 24 agosto 2018