Ho incontrato per la prima volta Jorge Mario Bergoglio nel 1980. Era il tempo subito dopo la III Conferenza dell’episcopato latinoamericano (Celam) di Puebla. Giovanni Paolo II era andato a dare un giudizio differenziato sulla teologia della liberazione. Aveva approvato la decisione di fare una teologia latinoamericana, a partire dall’esperienza di fede del popolo (e del povero) latinoamericano. L’avvenimento di Cristo è unico ed irripetibile, è accaduto in Palestina circa 2000 anni fa. Esso però si ripete nella storia della santità della Chiesa. In questo modo la Chiesa, rimanendo sempre universale, diventa particolare, nazionale. A Giovanni Paolo II piaceva l’idea di una teologia che pensasse la storia dell’America Latina. Lui stesso dirà, poco dopo Puebla, che non si può pensare senza Cristo la storia della Polonia. Solo in Lui e con Lui essa diventa una storia di salvezza. Perché dunque non pensare in Cristo e con Cristo la storia dell’America Latina?
Della teologia della liberazione a Giovanni Paolo II, invece, non piaceva l’uso del marxismo come strumento analitico per comprendere la storia. Non è che fosse anticomunista. Semplicemente era polacco, il comunismo lo aveva già vissuto ed aveva visto che non funzionava. Lui pensava che per parlare all’anima delle nazioni bisognasse partire non dall’economia ma dalla autocoscienza, cioè dalla cultura.
Molti presero il messaggio di Giovanni Paolo II come una condanna della teologia della liberazione ed un invito a tornare indietro. Un gruppo di teologi argentini lo videro invece come un invito a purificare la teologia della liberazione, a fare un’altra teologia della liberazione, “un poco” come ha detto una volta Giovanni Paolo II, “al modo di Comunione e Liberazione”.
Io andavo in America Latina in quegli anni, insieme con don Francesco Ricci, per incontrare un gruppo di teologi, prevalentemente del Cono Sur che l’invito di Giovanni Paolo II lo avevano preso sul serio.
In Argentina erano Juan Carlos Scannone, Lucio Gera e, appunto, Jorge Mario Bergoglio che era allora rettore del Seminario di S. Miguel. Gli argentini, per la verità, il messaggio di Giovanni Paolo II lo avevano anticipato e già da tempo avevano cominciato a ripensare la storia travagliata del loro popolo come storia del popolo di Dio che è in Argentina e come storia dello Spirito di Dio che lavora a dare forma al popolo argentino. Storia della Chiesa e storia della nazione, pur non essendo la stessa cosa, non si possono intendere se non nella relazione reciproca. Questa teologia della liberazione (ma Bergoglio preferiva parlare di teologia del popolo) cresceva dentro la lotta per la liberazione dalla dittatura dei colonnelli e, insieme, nel rifiuto della guerriglia. In un tempo in cui l’uomo era visto solo in funzione di una posizione politica, e poteva liberamente essere sacrificato al successo del proprio progetto di liberazione, Bergoglio e quelli come lui ripetevano la semplice verità che un uomo è un uomo e come tale ha dei diritti e una lotta che ignora la dignità di ogni singola persona concreta non può generare vera liberazione. Ascoltavano con grande attenzione e simpatia Ricci e me che raccontavamo gli avvenimenti polacchi di quegli anni, Solidarnosc e la sua lotta non violenta che faceva appello alla coscienza dell’avversario. Speravano di vedere, alla periferia dell’impero americano, una rivoluzione della coscienza e della dottrina sociale cristiana analoga a quella che stava scuotendo le fondamenta dell’impero sovietico.
Per questo Bergoglio ed i suoi amici erano odiati sia da destra che da sinistra. Sia i colonnelli che i montoneros, infatti, volevano spaccare il popolo in due, costringere ciascun argentino a scegliere per o contro di loro. Bergoglio il popolo voleva tenerlo unito. C’è una frase del generale Perón che gli amici di Bergoglio ripetevano spesso: “non c’è cosa migliore per un argentino che un altro argentino”. Prima della lotta politica viene il riconoscimento di una fraternità che unisce e che detta anche le forme ed i limiti della lotta politica.
Credo che nasca concretamente lì, dalla riflessione su quella storia, uno dei principi cardine del pensiero di Papa Francesco: l’unità è più forte della divisione. Su questa posizione molti hanno versato il loro sangue. Ricordo qui solo un amico carissimo di Jorge Mario Bergoglio, mons. Enrique Angelelli, vescovo di La Rioja, assassinato dai militari, del quale è iniziato di recente il processo di beatificazione. Lo uccisero simulando un incidente statale, proprio come volevano fare con Popielusko. Tanto simile a se stesso e tanto privo di fantasia è il potere in tutti i regimi ed a tutte le latitudini!
Bergoglio ha poi condotto, come arcivescovo di Buenos Aires, il cammino della Chiesa Latinoamericana che arriva alla V Conferenza dell’episcopato latinoamericano ad Aparecida do Norte. Adesso è il Papa della Chiesa cattolica. A me sembra che quelli che vogliono opporre il suo pontificato a quello di Giovanni Paolo II mostrino chiaramente di non avere capito né il Papa polacco né quello latinoamericano.
Rocco Buttiglione