È tipico del pensiero politicamente corretto il credere che cambiando i nomi alle cose cambi la realtà delle stesse. Ho chiesto lumi a un chirurgo plastico sul fatto del front hole. Mi ha spiegato che è un fatto puramente estetico: non si prova niente, anzi l’eventuale penetrazione può provocare dolore. Ma allora perché accanirsi?
Noi kattolici attardati preconciliari conoscevamo il foro interno e quello esterno, ora invece la prestigiosa Healthline Media ci informa che esiste anche il foro anteriore e quello posteriore. Per la precisione, si parla di «buco» (front hole e back hole) e chi parla non è uno qualsiasi, ma «uno dei principali network al mondo di informazioni sanitarie», un «colosso del marketing medico-sanitario –con sede a San Francisco, California- con un immenso potere di lobbying», come spiegato il 23 agosto da Aleteia.org.
La sede di San Francisco è quasi ovvia, visto che si tratta della capitale morale (absit iniuria verbis) dell’ideologia “gay”. Il colosso suddetto ha pubblicato un lungo documento dal titolo “Lgbtqia Safe Sex Guide”. Cioè, “Guida al Sesso Sicuro per gli Lgbtqia”, dove q sta per queer, i per intersex e a per asessuate. Insomma, ci sono tutti. Il buco di davanti, per chi ce l’ha, è preferibile ai termini vulva e vagina, perché discriminanti. E siccome Healthline Media è fin troppo autorevole nel suo campo, c’è da aspettarsi che le sue sentenze facciano scuola.
Nel suo documento, però, si notano passaggi come questo: «Nell’attuale contesto storico, grazie ad una dilagante omofobia e transfobia, si è consolidata la prassi per la quale la maggior parte dei programmi di educazione sessuale non riconosce neppure l’esistenza di Lgbtqia e di individui non binari». Certo, il loro, di quelli della Healthline cioè, è un osservatorio privilegiato e se dicono «dilagante omofobia e transfobia» sanno di cosa parlano, siamo noi quelli che non si sono accorti che l’omofobia e la transfobia stanno dilagando. E siamo pure imprecisi: «L’idea che un pene sia esclusivamente una parte del corpo maschile e una vulva sia esclusivamente una parte del corpo femminile è imprecisa». La tesi sostenuta dal documento californiano è semplice quanto inquietante: «Le comunità Lgbtqia e, in generale, le persone “non binarie” subiscono tassi più elevati di Hiv e Ist (infezioni sessualmente trasmissibili) a causa di una educazione sessuale ed assistenza sanitaria volutamente “inadeguata”. I motivi? Pregiudizi, omofobia e transfobia diffusi e mancanza di rappresentanza politico-culturale».
Insomma, i «non binari» si ammalano di più di Aids perché non hanno un partito? E chi impedisce loro di farsene uno? Bisogna avvertirli però, che la scienza politica insegna a diffidare dei «partiti di scopo» (absit –ancora- iniuria verbis): pigliano pochissimi voti. Inquietante, poi, è connettere la più alta incidenza delle malattie sessualmente trasmissibili all’omofobia e alla transfobia. Ma transeat e torniamo a bomba; anzi a buco.
È tipico del pensiero politicamente corretto il credere che cambiando i nomi alle cose cambi la realtà delle stesse. Senza ricorrere al «bispensiero» di Orwell, ho chiesto lumi a un chirurgo plastico sul fatto del front hole. Mi ha spiegato che, in termini di cambiamento di sesso, è un fatto puramente ed esclusivamente estetico. La ricostruzione di un «buco frontale» in un maschio che si sente femmina serve a poco perché è cosa artificiale. Non si prova niente, anzi può darsi che l’eventuale penetrazione provochi dolore. Perciò si è costretti a ricorrere al vecchio Lato B. O all’altro buco frontale.
C’è da chiedersi, al di là di tutto, perché questa rinnovata ossessione per il sesso. Sembra che per i Lgbt(qia) non ci sia altro al mondo. In effetti, come qualcuno ha notato, l’unica rivoluzione che il Sessantotto sia riuscito a fare è quella sessuale. Che, a quanto pare, è da considerarsi incompiuta finché non dilaghi in tutte le sue forme. Attenzione, però: la fantasia umana non ha limiti…
Rino Cammilleri
La Nuova Bussola Quotidiana, 29 agosto 2018