Le risposte della Pontificia Accademia per la Vita di fronte agli interrogativi di natura etica e al dovere di tutelare la salute dei bambini.
Nell’ambito della Chiesa Cattolica, ma non solo, permane ancora viva l’annosa e complessa questione relativa alla liceità etica della produzione, diffusione ed uso di alcuni vaccini la cui preparazione risulta in qualche modo connessa ad aborti procurati in passato. Ci riferiamo ad alcuni vaccini costituiti da virus vivi ma “attenuati” che sono stati inizialmente sviluppati da tessuti cellulari umani provenienti da feti volontariamente abortiti.
Il vaccino contro la rosolia
Il più noto ed importante di essi, per la sua vasta diffusione e l’enorme rilevanza per la sanità pubblica, è il vaccino contro la rosolia, malattia virale esantematica comune nell’infanzia che, quando clinicamente manifesta, si caratterizza per la presenza di macchie di colore rosaceo sulla pelle. Essa è abitualmente benigna tranne che per l’embrione ed il feto: infatti quando il virus viene contratto da una donna incinta, specialmente se nel primo trimestre di gestazione, il rischio di infezione fetale si avvicina al 100%, causando un insieme di severi danni al nascituro che vanno dalla morte intrauterina, alla sordità, alla cecità, al ritardo mentale, alle anomalie cardiovascolari. La gravità di questo quadro clinico definito “sindrome della rosolia congenita” e la devastante epidemia scoppiata negli Stati Uniti nel1964 hanno portato allo sviluppo di vaccini con l’obiettivo della precoce immunizzazione universale infantile e la conseguente drastica riduzione, se non l’eliminazione, del rischio di contrarre l’infezione durante la gravidanza. La vaccinazione contro la rosolia si è sviluppata negli anni sessanta del’900 da due linee cellulari (denominate scientificamente WI-38 e MRC5) appartenenti ai tessuti di due feti infettati da questo virus volontariamente abortiti, rispettivamente una femmina ed un maschio.
Il problema morale
Premesso che in generale le vaccinazioni rappresentano un presidio insostituibile nella lotta contro tante gravi malattie infettive, si pone il problema morale di quei vaccini, come appunto quello della rosolia, preparati da virus presenti nei tessuti di feti infettati e volontariamente abortiti, successivamente attenuati (depotenziati della loro aggressività) coltivandoli mediante passaggi attraverso ceppi cellulari umani. L’uso di questi vaccini da parte di un credente non configura allora una vera ed illecita cooperazione al male – ipotesi che si concretizza ogni qual volta una persona dotata di solida moralità percepisce un rapporto fra le proprie azioni e un gesto cattivo compiuto da altri – anche se esso si è determinato circa mezzo secolo fa?
La nota della Pontificia Accademia per la Vita
La nota circa l’uso dei vaccini del 2005 della Pontificia Accademia per la Vita, dopo una articolata precisazione in particolare dei concetti di cooperazione formale (quando si condivide l’intenzione cattiva) e materiale (quando non si ravvisa questa corrispondenza di propositi), giungeva alle seguenti conclusioni:
– Esiste il dovere di usare vaccini alternativi (non preparati a partire da cellule di feti abortiti) quando esistenti e disponibili, e di ricorrere all’obiezione di coscienza rispetto a quelli che comportano problemi morali;
– Bisogna lottare per la realizzazione di vaccini alternativi quando non ancora approntati;
– Viene ammessa la liceità dell’uso dei vaccini senza alternative, moralmente giustificata quando necessario per evitare un pericolo grave per i propri bambini e per la popolazione in generale, in primis le donne in gravidanza;
– Questa dichiarazione di liceità non deve essere letta come un’approvazione alla loro produzione, commercializzazione ed utilizzo, ma come extrema ratio di fronte al dilemma morale dei genitori di agire contro coscienza o mettere in pericolo la salute dei propri figli ed in generale della comunità di cui si è parte.
Il 31/7/2017 la pontificia Accademia per la Vita, l’Ufficio per la Pastorale della Salute della CEI e l’Associazione dei Medici Cattolici Italiani hanno diffuso una nota congiunta per chiarire l’attuale posizione della Chiesa riguardo l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie. In essa si legge testualmente:
“Nel passato i vaccini possono essere stati preparati da cellule provenienti da feti umani abortiti, ma al momento le linee cellulari utilizzate sono molto distanti dagli aborti originali. (…) Va considerato che oggi non è più necessario ricavare cellule da nuovi aborti volontari, e che le linee cellulari sulle quali i vaccini in questione sono coltivati derivano unicamente dai due feti abortiti originariamente negli anni sessanta del Novecento. (…) … le linee cellulari attualmente utilizzate sono molto distanti dagli aborti originali e non implicano più quel legame di cooperazione morale indispensabile per una valutazione eticamente negativa del loro utilizzo. D’altro canto non meno urgente risulta l’obbligo morale di garantire la copertura vaccinale necessaria per la sicurezza altrui, soprattutto di quei soggetti deboli e vulnerabili come le donne in gravidanza e i soggetti colpiti da immunodeficienza che non possono direttamente vaccinarsi contro queste patologie. Per quanto riguarda la questione di vaccini che nella loro preparazione potrebbero impiegare o aver impiegato cellule provenienti da feti abortiti volontariamente va specificato che il in senso morale sta nelle azioni non nelle cose o nella materia in quanto tali”.
Senza minimizzare la complessità e la delicatezza della tematica etica sottostante, traspare dal testo di questo documento la preoccupazione e la risposta della Chiesa Cattolica di fronte al rischio di una alleanza di fatto fra i sostenitori del fronte antivaccini e credenti antiabortisti male informati o manipolati circa l’attuale stato della produzione e il contenuto di vaccini come quello contro la rosolia. Infatti il documento così conclude:
”Le caratteristiche tecniche di produzione dei vaccini più comunemente utilizzati in età infantile ci portano ad escludere che vi sia una cooperazione moralmente rilevante tra coloro che oggi utilizzano questi vaccini e la pratica dell’aborto volontario. Quindi riteniamo che si possono applicare tutte le vaccinazioni clinicamente consigliate con coscienza sicura che il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione all’aborto volontario. Pur nell’impegno comune a far si che ogni vaccino non abbia alcun riferimento per la sua preparazione ad eventuale materiale di origine abortiva, si ribadisce la responsabilità morale della vaccinazione per non far correre dei gravi rischi di salute ai bambini e alla popolazione in generale”.
La posizione della Chiesa
La rilevanza di questo argomento sia dal punto di vista etico che biologico ci ha spinto a contattare il professor Antonio Gioacchino Spagnolo, Ordinario di Bioetica presso la facoltà di Medicina e chirurgia “Agostino Gemelli” dell’Università Cattolica del S. Cuore di Roma e membro della Pontificia Accademia per la Vita. Spagnolo ha fatto parte della task force per la stesura del documento del 5 giugno 2005, elaborato dalla Pontificia Accademia per la Vita a seguito della campagna promossa dall’associazione cattolica americana Children of God for Life contro la produzione da parte di alcune industrie farmaceutiche di vaccini con virus vivi preparati a partire da linee cellulari umane di origine fetale, usando tessuti di feti umani abortiti volontariamente come fonte di tali cellule.
Nessuna responsabilità etica per i genitori
L’accademico ha ribadito come i punti fondamentali che la Chiesa Cattolica ha preso in esame per dirimere la delicata questione siano il concetto di cooperazione al male e quello di “occasione di scandalo”, riferendosi con quest’ultimo termine alla possibilità anche indiretta per il credente di avallare in qualche modo la pratica dell’aborto volontario. La necessità di evitare gravi rischi per i bambini, i soggetti immunodepressi e le donne in gravidanza, unita alla lunga distanza temporale dagli unici due aborti utilizzati negli anni 60 del secolo scorso per la preparazione dell’attuale vaccino anti rosolia (che non ha ancora valide alternative), conclude Spagnolo, esclude pertanto qualunque responsabilità etica dei genitori, il cui dovere assoluto è quello di tutelare la salute e la vita dei loro bambini.
Silvia Lucchetti
Aleteia, 22 agosto 2018