Dalla Germania una fila ordinata di carri armati e missili è pronta per essere venduta a Paesi esteri in guerra. E da quei Paesi, in cui la guerra è alimentata anche dalle armi vendute dalle ditte tedesche, arrivano in Germania migliaia di migranti e richiedenti asilo. La graffiante vignetta di Martin Erl campeggia sulla parete della sala Urania a Merano. “Chi semina armi raccoglie profughi”, afferma Jürgen Grässlin, il più famoso pacifista tedesco che nei giorni scorsi è stato protagonista di una serata organizzata nella città lungo il Passirio dalla onlus Human rights International. Sul palco, a portare la sua testimonianza, anche don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi.
“Aprire i confini alle persone e chiuderli alle armi”. Questo il messaggio lanciato nei giorni scorsi a Merano da Jürgen Grässlin, il più famoso pacifista tedesco, protagonista di una serata organizzata nella città lungo il Passirio dalla dalla onlus Human rights International. Da anni impegnato a contrastare la fabbricazione e il commercio di armi in Germania, Grässlin ha citato in giudizio l’ex manager di una delle più note fabbriche di armi tedesche e, partendo dalla sua vocazione professionale di insegnante, porta avanti la cultura pacifista e nonviolenta con un fitto calendario – fino a 320 appuntamenti all’anno – di incontri e conferenze.
“La statistica sul commercio di armi all’estero relativa al quinquennio 2013-2017 vede al primo posto gli Stati Uniti, seguiti da Russia e Francia. La Germania si attesta al quarto posto. I principali acquirenti di armi tedesche risultano essere la Corea del Sud, la Grecia e Israele – spiega Grässlin -. L’Italia si assesta al nono posto, subito dopo Israele e poco prima dei Paesi Bassi. Le armi prodotte in Italia sono dirette soprattutto negli Emirati Arabi, in Indonesia e negli Stati Uniti”. Il rapporto 2016 sull’export di armi tedesche rivela, inoltre, la top ten dei Paesi che hanno acquistato armi da guerra prodotte in Germania. “In cima alla classifica – commenta Grässlin – c’è l’Algeria, seguita da Stati Uniti, Arabia Saudita, Egitto, Gran Bretagna, Corea del Sud, Australia, Canada, Emirati Arabi e Svizzera. La metà di questi Paesi è coinvolta in scontri armati”. Il punto di riferimento del movimento pacifista tedesco punta il dito anche contro i cantieri navali del suo Paese, che producono e vendono sommergibili e altre navi da combattimento all’Arabia Saudita.
“Le armi camminano…”. “In confronto all’Italia, la diversità è nella quantità, non nella qualità – prosegue commentando la produzione e l’export di veicoli militari made in Italy – l’Iveco, ad esempio, che ha fabbriche a Torino e a Bolzano, produce veicoli militari che vengono venduti in Russia e che poi dalla Russia arrivano in Siria, come documentano alcune foto scattate durante il conflitto siriano. E tutto questo accade perché “le armi camminano, non restano dove arrivano”.
Italia e Germania collaborano inoltre nella costruzione di navi ed elicotteri militari distribuiti in tutto il mondo”. Cita poi il caso della ditta Rwm Italia. “Il 100% del capitale è detenuto dalla società Rheinmetall Waffe Munition GmbH con sede in Unterluss (Germania), appartenente al Gruppo Rheinmetall, la cui capogruppo è la Rheinmetall AG, con sede in Dusseldorf – spiega Grässlin – e le armi vengono prodotte nello stabilimento sardo di Domusnovas, nei pressi di Iglesias. Assistiamo in questo caso ad un rimpallo di responsabilità tra Italia e Germania: l’Italia dice di produrre per una ditta tedesca e la Germania afferma che la produzione è italiana”.
La lotta alle armi leggere, “piccole ma micidiali”. Da anni Grässlin si batte per fermare la produzione e il commercio delle armi leggere, “più piccole, ma micidiali”. “L’Italia risulta essere il secondo esportatore al mondo di armi leggere – sottolinea – mentre la Germania è al quarto posto. Si tratta di un commercio immorale e non cristiano, di fronte al quale non si può più tacere a lungo”. Punta quindi il dito contro la fabbrica Beretta, “che produce armi da 500 anni, armi che esporta in molti Paesi del mondo”. A corredo delle sue parole mostra un collage di foto di persone ferite dai colpi esplosi dalle cosiddette “armi leggere”. “Sono stato due volte in Somalia – racconta mostrando la foto di una persona con una vistosa cicatrice in testa – quest’uomo è stato ferito alla testa da un colpo di pistola. È riuscito a sopravvivere, ma da allora non è più in grado di parlare e la sua vita è segnata per sempre da quella grave ferita”.
“Dobbiamo essere onesti – aggiunge il pacifista tedesco – noi guadagniamo dalla produzione di armi, che rappresentano una fonte di reddito per molte persone e molte famiglie. Ma dobbiamo essere consapevoli che sono soldi sporchi di sangue. Attraverso il commercio delle armi, noi guadagniamo dai conflitti”.
I disperati viaggi della speranza. Vittime innocenti di questi conflitti sono i civili, spesso inermi come donne e bambini. “Quante foto di bambini siriani abbiamo visto in questi anni – commenta – sono le prime vittime di questi conflitti alimentati dal commercio di armi. Chi esporta armi importa profughi”. “Il dibattito attorno al fenomeno migratorio – aggiunge – è in Germania, così come in Italia, molto acceso e spesso si caratterizza da toni alti. Non dobbiamo dimenticare che si tratta di persone costrette a scappare, di gente triste perché deve lasciare tutto quello che ha. E che poi arrivano da noi, dove non vengono accolti perché si teme che ci rubino tutto quello che abbiamo, a partire dal lavoro”. Quello di Lampedusa è un dramma senza fine. “Migliaia di persone hanno perso la vita nel tentativo di arrivare via mare sulle coste italiane – sottolinea Grässlin – affrontando un disperato viaggio della speranza. Il Mediterraneo è un mare assai profondo, caratterizzato da forti correnti, soprattutto in primavera e autunno. Decine di migliaia di persone sono morte in questi anni. Non è possibile quantificarne il numero perché il mare non restituisce tutti i corpi. Molti vengono trascinati sul fondo dalle correnti. Si parla di tutto questo in televisione? Si racconta dei cimiteri con le lapidi senza nome in Sicilia?”
I profughi e il campo da golf. Grässlin mostra quindi la foto scattata nell’ottobre 2014 nell’enclave spagnola di Melilla (costa orientale del Marocco), che mostra due donne intente a giocare a golf mentre folto gruppo di migranti cerca di scavalcare la barriera di protezione alta sei metri, arrivando così di fatto su territorio europeo. E sottolinea: “I soldati spagnoli chiamati a fermare i migranti a Ceuta imbracciano armi prodotte in Germania”.
“L’Europa gioca a golf – commenta con amarezza il pacifista tedesco – mentre i profughi cercano di raggiungere l’Europa. Questa foto deve farci riflettere: siamo noi a giocare a golf, siamo noi che viviamo nel benessere mentre queste persone bussano alla nostra porta. Cosa facciamo della nostra ricchezza quando arrivano i profughi? Molti sono i passi nella Bibbia in cui si richiama all’importanza di offrire aiuto ai profughi. Come viviamo il messaggio della Sacra Scrittura oggi?”.
E se la foto del muro accanto al campo da golf di Melilla è un pugno nello stomaco, lo saranno ben presto anche le immagini dei nuovi muri in costruzione in Arabia Saudita e al confine dell’area sahariana. “Si tratta di muri controllati da droni e satelliti – spiega Grässlin – che sono attualmente in costruzione per fermare la fuga dei migranti climatici, migliaia di persone in fuga dalle loro terre, perché queste non sono in grado di dare loro il necessario per sopravvivere”.
“Non rimaniamo in silenzio, apriamo le frontiere e facciamo rete contro il commercio di armi”. Cosa si può fare di fronte a tutto questo? “Se rimaniamo in silenzio allora vinceranno gli altri – commenta Grässlin -. In una società globalizzata come la nostra, è necessario fare rete e pensare in maniera internazionale. Con questo obiettivo è stata fondata “Global net – stop the arms trade”, una realtà composta da volontari, che si mettono a disposizione per contrastare il commercio delle armi e promuovere la cultura della pace e della nonviolenza. Oggi il portale di informazione propone contribuiti in quattro lingue (tedesco, inglese, spagnolo e russo); in autunno ci saranno anche il francese e l’arabo. L’obiettivo è quello di proporre contenuti nelle undici lingue più parlate al mondo. Un modo concreto per contribuire a questo progetto è, ad esempio, collaborare nella traduzione dei testi dal tedesco o dall’inglese”. In questi anni, diverse sono le iniziative promosse da Grässlin e da Global net per contrastare il commercio delle armi e per promuovere il movimento pacifista. “Abbiamo organizzato una corsa da Oberndorf, dove ha sede la fabbrica d’armi Heckler & Koch, fino a Belino – racconta – e di città in città l’iniziativa è stata accompagnata da iniziative culturali e feste di pace. Il momento pacifista si è così unito allo sport e alla cultura. Il prossimo anno, inoltre, ci sarà a Friburgo la prima edizione del FilmFestival dedicato a pellicole in cui si denuncia il commercio delle armi”.
“Il nostro obiettivo – conclude – è quello di fare rete per un mondo in cui vengano rispettati i diritti umani e vengano difese le persone”.
Don Renato Sacco (Pax Christi): “In Italia 43mila euro al minuto per le armi”. “43mila euro al minuto. Metteteli qua sul tavolo. È quanto si spende in Italia per la produzione di armi”. A portare la sua testimonianza, durante l’incontro con Jürgen Grässlin, è don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi. “Sono cifre che fanno venire il capogiro – commenta –.
L’Italia spende 150 milioni di euro per costruire un F35. Il casco di un pilota viene a costare poco meno di 450mila euro.
Da anni Pax Christi è impegnata sul territorio nazionale per promuovere la cultura del disarmo e della pace. Per realtà come quella di Domusnovas abbiamo presentato già diverso tempo fa anche un programma di riconversione della fabbrica per garantire il lavoro ai suoi dipendenti. Promuovere la cultura della pace e del disarmo non è facile, richiede tante energie, tanto impegno e tanto tempo. Ma quanto accaduto con la campagna per la messa al bando delle mine antiuomo, ci lascia comunque ben sperare”.
Irene Argentiero
SIR, 4 settembre 2018