Il paradosso (e la convenienza) di una società dei sani che sostiene il diritto di anziani lucidi e in buona salute a una morte volontaria per prevenire la demenza.
Exeter, Cornovaglia. Una mattina di primavera di due anni fa la polizia della contea ritrova il cadavere di Avril Henry, professoressa 82enne. Non si tratta di omicidio, la professoressa, ex titolare della cattedra di Cultura medievale inglese presso l’università della città, si è suicidata “in piena coscienza” ordinando un farmaco letale in Messico, dopo aver deciso che raggiungere in carrozzina la clinica di Berna dove aveva fatto domanda per ricevere l’eutanasia sarebbe stato troppo complicato. Ha lasciato un biglietto di accusa verso la crudele illogica legge britannica che dichiara legittimo il suicidio ma non la morte assistita: «La morte di Avril – aveva commentato il fondatore di Exit International Philip Nitschke, medico australiano noto come “dottor Morte” – è un chiaro esempio di “suicidio razionale” e la sua scelta, di morire nel momento e nel posto che ha scelto, dovrebbe essere rispettata».
SUICIDIO RAZIONALE. Dopo aver aiutato a suicidarsi Nigel Brayley, quarantacinquenne che aveva appena perso moglie e posto di lavoro, il dottor Morte venne indagato e sospeso dall’ordine dei medici dell’Australia (per poi venire reintegrato un anno dopo da una incredibile sentenza della Corte suprema del Territorio del Nord). «Mi stanno dicendo che le mie visioni sono incompatibili con quelle della professione del medico e che l’idea secondo cui una persona ha il diritto di suicidarsi è incompatibile con l’essere un dottore. E questo mi sembra molto bizzarro», fu la risposta di Nitschke a chi fra i colleghi pur sostenendo l’eutanasia spiegava che «un dottore ha l’obbligo etico di cercare di dissuadere una persona dal suicidio». Invece di consigliare a Brayley, evidentemente depresso, di farsi dare assistenza e supporto psicologico, Nitschke aveva infatti appoggiato la sua «scelta razionale di suicidarsi», «le persone che entrano in Exit non le consideriamo malate e bisognose di aiuto medico. Per me non sono malati, vogliono solamente morire, anche se non hanno mali allo stato terminale. Se una persona viene da me e mi dice che ha fatto la scelta razionale di suicidarsi entro due settimane, io non gli rispondo: “Hai fatto davvero una scelta razionale? Non vuoi pensarci meglio? Perché non ti fai vedere da qualcuno?”. Noi non agiamo così. Noi appoggiamo queste persone e abbiamo sostenuto anche Brayley».
Nitschke è tornato alla ribalta quest’anno dopo essersi inventato Sarco, il primo sarcofago per l’eutanasia a domicilio collegato a un contenitore di azoto: basta schiacciare un bottone per rilasciare la sostanza e la morte per ipossia («euforica», così l’ha chiamata Nitschke) sopraggiunge in un minuto. Sarco è stato presentato questa primavera alla fiera degli articoli funerari di Amsterdam con la singolare precisazione: chi deciderà di togliersi la vita dovrà compilare un test online per accertarne il pieno possesso delle facoltà mentali. Altrimenti non sarebbe un suicidio razionale.
«I PAZIENTI CI STANNO PENSANDO». I sostenitori del diritto al suicidio hanno infatti bisogno oggi di distinguere i suicidi razionali da tutti gli altri. Ricordate il dialogo nei Demoni di Dostoevskij? «”Vi sono due categorie: quelli che si uccidono o per una gran tristezza, o per la rabbia, o sono pazzi, o che so io… quelli si uccidono di colpo. Quelli pensano poco al dolore, ma si uccidono di colpo. Mentre quelli che lo fanno a mente lucida, quelli pensano molto.” “Vi sono, forse, di quelli che lo fanno a mente lucida?” “Moltissimi. Se non ci fosse il pregiudizio, sarebbero di più; moltissimi; tutti”». Raccontando la storia di Robert Shoots, ottantenne felicemente sposato che amava pescare e giocare a golf ma determinato a non morire come tanti conoscenti dopo un’agonia di settimane inchiodato a tubi e letti di ospedale (da qui il suicidio in garage col gas del tubo di scappamento), il New York Times assicura che oggi l’argomento è dibattuto tra gli americani, sempre più determinati a esercitare il controllo sulla propria morte, e sono molti gli anziani che godono di buona salute che considerano il suicidio un’opzione ragionevole.
«Molti dei nostri pazienti ci stanno pensando», conferma al Nyt la dottoressa Meera Balasubramaniam, psichiatra geriatrico presso la Facoltà di Medicina dell’Università di New York, autrice di Rational Suicide in the Elderly. In un suo recente articolo pubblicato sul Journal of the American Geriatrics Society, Balasubramaniam descrive il caso di un anziano, uno dei tanti baby boomers incontrati da chi fa la sua professione col desiderio di porre fine alla sua vita pur in assenza di una malattia mentale diagnosticabile. E anche l’Hastings Center, l’istituto di etica di Garrison, NY, ha dedicato gran parte del suo ultimo rapporto a un dibattito sulla “morte volontaria” per prevenire la demenza (il morbo di Alzheimer, che costringe le persone ragionevoli a pensare: “Non voglio mai finire così. Prima mi ucciderò”).
FARLI VIVERE COSTA. Oggi il suicidio è la decima causa di morte negli Stati Uniti. Quasi 45 mila americani si sono uccisi nel 2016, il doppio di quelli morti per omicidio: i Centers for Disease Control and Prevention registrano un aumento costante del tasso di suicidi a livello nazionale del 25 per cento dal 1999. L’aumento del tasso di suicidio ha coinciso negli ultimi due decenni con quello del numero di americani che, ricevuta una diagnosi di depressione o ansia, sono stati trattati con antidepressivi: circa 15,5 milioni di americani hanno assunto i farmaci per almeno cinque anni (il tasso è quasi raddoppiato dal 2010 e più che triplicato dal 2000) e 25 milioni di adulti per almeno due anni. Tuttavia il caso degli “anziani lucidi che discutono di suicidio razionale” sembra porsi come una graziosa e molto progressivamente aggiornata forma di gestione della propria vita, distante anni luce dal mal di vivere che ammala gli Stati Uniti.
E si capisce: attualmente negli States la morte assistita è legale solo in sette stati e nel District of Columbia, e viene esercitata solo in caso di pazienti in possesso delle proprie facoltà mentali che rischiano di morire per una malattia terminale nell’arco di sei mesi. Ma quanto è alta la spesa sanitaria destinata alla sempre più grande popolazione composta da «fragili individui con pesanti bisogni e per un periodo esteso» (sono parole del filantropo Nitschke sul «consistente e crescente costo economico di mantenere in vita contro il loro volere gli anziani e i malati»)? Dopo la massiccia campagna sulla dolce morte per mettere fine alle sofferenze dei malati gravi, a vite che non varrebbe la pena fossero vissute, la paura di perdere la libertà di suicidarsi sta diventando, al pari dell’“autodeterminazione”, il grimaldello per introdurla nella società dei sani e risolverne i fallimenti? «Io mi ucciderò assolutamente, per cominciare e dimostrare» – ancora i Demoni –: «L’attributo della mia divinità è l’Arbitrio! È tutto ciò, con cui io posso mostrare nel punto principale la rivolta e la mia nuova paurosa libertà. Poiché essa è assai paurosa. Io mi uccido per mostrare la rivolta e la mia paurosa libertà». Eppure un suicidio è un suicidio. E chiamarlo razionale è demoniaco.
Caterina Giojelli
Tempi.it, 5 settembre 2018