La questione del discernimento ha permeato la teologia cristiana sin dall’inizio. Questo fatto era dovuto all’insistenza dei maestri spirituali cristiani presso i quali il discernimento degli spiriti era considerato uno dei doni più importanti nella vita ascetica. Massimo il Confessore (circa 580-662) appartiene a un periodo storico di intensi dibattiti teologici, filosofici e politici nei quali il dono del discernimento era cruciale per trovare una direzione spirituale ed esprimere una teologia come vita in Cristo. Avendo vissuto in un tempo di crisi, nel VII secolo, che conobbe prolungate crisi dottrinali (origeniste, monoenergite, eccetera), ma anche una crisi politica con l’espansione dell’islam nel Vicino oriente, Massimo fece ricorso al discernimento per «distinguere correttamente l’insorgere di tentazioni volontarie e involontarie». Ricordiamo l’arresto di Massimo, i suoi due processi, i suoi esili e la sua morte (in mezzo ad accuse e ostilità). In tutti questi tristi eventi Massimo sperimentò calunnie sia per quanto riguardava la sua vita, sia per la sua fede. Ma fu il solo che resistette alla tentazione di contrattaccare i diffamatori. Dove attinse la sua fede? O vviamente avere discernimento e fronteggiare una crisi richiede di possedere criteri teologici e spirituali. Massimo cercò di stabilire criteri teologici con i quali giudicare che cosa stabilisce una prospettiva legittima da un punto di vista teologico e che cosa è teologicamente necessario per “l’e s s e re ” dell’unità della Chiesa. Tali criteri possono essere stabiliti soltanto con l’aiuto dei principi fondamentali della fede cristiana. Ma, per giudicare il presente, occorre avere una visione del futuro. Qui troviamo la chiave per la theoría ela p rá x i s del discernimento di Massimo. Insieme al discernimento Massimo sviluppa l’insegnamento sulla krísis (giudizio) ritenendola altrettanto importante. Invece di cercare specifici punti teologici di accordo o disaccordo, andò in cerca piuttosto di criteri per giudicare che cosa è di fondamentale importanza nella confessione di fede o nella teologia della Chiesa e che cosa non lo è. Per Massimo, l’unità della Chiesa mostrerebbe di essere un’utopia se non sviluppiamo criteri appropriati con i quali giudicare che cosa è necessario e che cosa può essere considerato un approccio legittimo nella Chiesa. Come ha osservato fratel Georges Florovsky a proposito di Massimo il Confessore, «è il ritmo della vita spirituale più che una connessione logica di idee a definire la sua visione del mondo». Occorre ricordare che Massimo ha ricevuto l’insegnamento sul discernimento della tradizione precedente. In Massimo, comunque, il discernimento è legato non soltanto all’intelletto, come in Evagrio, ma a una gamma più vasta di termini quali volontà, principio, amore, sapienza, conoscenza, oikonomía, habitus, eccetera. Soltanto una persona sapiente può discernere i principi interni alla creazione, ma il discernimento è fonte di umiltà, mentre misericordia e verità precedono ogni virtù. Massimo sottolinea la facoltà del discernimento, il quale «separa naturalmente [gli elementi] gli uni dagli altri, senza permettere assolutamente la loro unione in un’essenza» o la loro convergenza in «un solo e medesimo principio». Come osserva Doru Costache, «il risultato è che, a causa dei loro principi, che contemporaneamente differenziano e unificano, gli elementi opposti delle cinque polarità rimangono dissimili sebbene uniti e nello stesso modo sono collegati senza che le loro differenze siano annullate; questa è una caratteristica comune dell’ontologia di Massimo». Massimo non è semplicemente un filosofo dialettico che lotta per discernere ciò che è bene e ciò che è giusto. Egli discerne piuttosto ciò che è e ciò che non è. E per lui, ciò che è vero deve essere trovato non nel passato ma nel futuro. Per questa meta usa la distinzione tra lógos e t ró p o s . Distingue inoltre tra cinque livelli di realtà individuando cinque divisioni e unioni di realtà, ciascuna delle quali consiste di un pari numero di dicotomie o polarità. Secondo Dionysios Skliris, «san Massimo vede la storia come uno spazio di dialogo ontologico tra Dio e l’uomo, nel quale Dio propone ragioni riguardo a come egli vuole che sia la natura in futuro e l’uomo risponde in modalità storiche — attraverso le modificazioni della sua natura in considerazione della meta escatologica o attraverso la proposta di una storia in cui la natura sarà vera grazie alla sinergia tra Dio e l’uomo. Il “p osto” per eccellenza di questo dialogo è il Cristo che sintetizza nella sua persona le parole di Dio, ma anche le sue nuove sorprendenti risposte alle modificazioni storiche umane». Come possiamo discernere se qualcosa è? La risposta a tale domanda dipenderà dalle basi del nostro approccio e deriverà dal passato, dal presente o dal futuro. In ogni modo, se prendiamo in considerazione alcune affermazioni del pensiero di Massimo, ne deduciamo che la verità nella vita umana non corrisponde semplicemente a pensieri della mente o alla realtà. Una definizione di verità deve mettere in evidenza l’asp etto di “re l a z i o n e ” o di “riferimento” a un terreno comune di esistenza che condividiamo (verità in termini esistenziali). Allo stesso tempo, la storia è piena di esseri individuali che ora sono e che domani non saranno, o che sono stati e non ci sono più. Questo è il motivo per cui, per Massimo, «dal moto naturale degli esseri discerniamo la Vita enipostatica dell’essere, che è la Vita che crea il poter essere, cioè lo Spirito santo». Questo momento cristologico in Massimo acquista una sfumatura che introduce direttamente nel nostro tema del discernimento in tempo di crisi. Questo mondo non è un campo di «contemplazione naturale» a causa della presenza in esso del Logos, ma «a causa del coinvolgimento del Logos incarnato, Cristo. È il Logos storico che rivela il senso della creazione e, dunque, di ogni cosa che esiste». Da un punto di vista filosofico, la verità è stata tradizionalmente identificata con la “re a l t à ”: quello che dico o vedo è vero perché corrisponde all’esp erienza. In ogni modo, dal momento che la realtà è soggetta a mutamenti, a corruzione, vi è una domanda fondamentale e formulata con precisione che emerge da tale discorso: come possiamo sapere che cosa è vero? O vviamente la definizione di verità dipende da ciò cui supponi che la tua esistenza sia simile o da che cosa i tuoi occhi di “sp ettatore” si aspettano di vedere. Dietro al discernimento di Massimo vi è il presupposto che la realtà (o l’essere) sia provvista di un télos , di uno scopo, di un fine e fino a quando questo télos non è realizzato non possiamo parlare di “verità” di ogni essere. «Cercando la propria fine — sostiene Massimo — l’essere umano giunge al suo inizio, che si trova naturalmente nella fine. Non gli è possibile cercare l’inizio, come ho detto, dietro di lui, ma gli è possibile cercare la fine che gli sta davanti. Dopo la disobbedienza, infatti, la fine non è più mostrata a partire dall’inizio, ma l’inizio a partire dalla fine». Il discernimento concerne “la fine”. Per un discernimento basato sulla verità escatologica, cioè concepire l’essere come emergente non dal passato ma dal futuro, sarebbe necessario attribuire il télos dell’essere alla volontà di una persona, cioè alla libertà. In verità Massimo collega il discernimento alla volontà di qualcuno che gli dà “sostanza”, cioè il télos dell’essere. Sebbene Origene guardi alla fine per comprendere l’inizio, egli lavora con l’idea di «contemplazione» o «riflessione» e non con quella di «volontà». In Massimo, Dio non soltanto conosce, ma vuole la fine. La volontà implica libertà (autodeterminazione) e dramma (creatività storica), mentre la contemplazione, come in Evagrio, non implica la storia. Per Massimo la fine è più grande dell’inizio.
di Maxim Vasilijevic
L’Osservatore Romano, 7 settembre 2018