L’anziano fragile. Una sfida dei tempi moderni

By 25 Settembre 2018Salute

La Fragilità è una condizione clinica multifattoriale sempre più diffusa che non può essere di per sé definita come una malattia, bensì come una condizione di estrema vulnerabilità biologica e clinica: essa espone il Paziente ad un maggior rischio di incorrere in malattie acute, ad essere ricoverato in Istituto ed anche ad un più rapido decesso.

Introduzione

L’invecchiamento è una condizione fisiologica che da sempre interessa il genere umano e di cui si sono interessati moltissimi filosofi, antropologi, sociologi, che ne hanno delineato le caratteristiche e le conseguenze, e, negli ultimi decenni, anche i medici che ne hanno focalizzato gli aspetti connessi alla salute ed alle malattie; da molti secoli è presente la consapevolezza che i cambiamenti biologici correlati al passare degli anni inducono un progressivo affievolimento delle capacità funzionali dell’individuo, ma soltanto di recente si è cercato di attenuarne le conseguenze sulla salute, rigettando l’idea che la senescenza sia necessariamente connessa ad uno stato patologico e promuovendo azioni e procedure scientifiche atte a mantenere il soggetto “diversamente giovane” in uno stato di relativa autosufficienza, in grado mantenerlo in qualche misura inserito nel suo contesto sociale e di gravare il meno possibile sulla famiglia e sulla società.

Gli anziani in Italia

Si stima che nel 2050 gli ultraottantacinquenni saranno il 4% della popolazione mondiale

Negli ultimi decenni si sono verificati importanti mutamenti nella composizione demografica delle popolazioni dei paesi industrializzati, che sono consistiti in un marcato incremento della porzione di popolazione anziana, che ha interessato maggiormente gli ultraottantacinquenni che, pur rappresentando attualmente solo l’1% circa della popolazione mondiale, presentano un tasso medio di crescita intorno al 4% all’anno: di conseguenza, si stima che nel 2050 essi arriveranno a costituire il 20% di tutta la popolazione anziana e ben il 4% dell’intera popolazione mondiale.

Tale fenomeno ha interessato ovviamente anche il nostro Paese dove negli ultimi 15 anni il numero dei soggetti ultrasessantacinquenni si è notevolmente accresciuto di quasi tre milioni di unità: l’ISTAT ha recentemente certificato che nel 2002 essi costituivano circa il 18% della popolazione, mentre oggi rappresentano circa il 22% e nel 2043 supereranno il 32%. Questo marcato incremento della popolazione italiana ultrasessantacinquenne si è accompagnato ad una corrispondente riduzione di quella potenzialmente lavorativa (15-64 anni) e di quella infantile (0-14 anni).

Relativamente poi alle condizioni di salute della popolazione anziana italiana, raffrontate a quella dell’Unione Europea è stato rilevato che la speranza di vita a 65 anni (18,9 anni per gli uomini e 22,2 per le donne) è più elevata di circa un anno in entrambi i generi rispetto alla media dell’UE, ma dopo i 75 anni gli anziani in Italia vivono in condizioni di salute peggiori.

Inoltre, è stato evidenziato che le condizioni di salute sono correlate alle disuguaglianze sociali nel senso che gli anziani italiani a più basso reddito presentano profili di salute peggiori rispetto ai loro coetanei benestanti: essi infatti risultano maggiormente affetti da malattie croniche (55,7% verso il 40,6% ), da almeno una malattia cronica grave (46,4% verso il 39,0%) e lamentano una marcata riduzione di autonomia sia nelle attività di cura della persona (13,2% verso il 8,8%), che nelle attività quotidiane di tipo domestico (35,7 % verso il 22,0%).

Lo scenario epidemiologico puntualmente descritto dall’ISTAT consente di formulare anche alcune considerazioni di tipo socio-economico relativamente al peso sociale determinato dalle malattie tipiche dell’età anziana, definito con fantasia “Silver tsunami”1; poiché si ritiene che esso tenderà a superare le possibilità economiche dei sistemi sociali chiamati a gestirle, una strategia per arginare questo fenomeno potrebbe consistere nel diffondere a tutti i cittadini di ogni età le conoscenze sulle cause e sui fattori di rischio di alcune frequenti patologie croniche, in modo tale che possano convincersi sulla necessità di agire per limitare l’assottigliamento delle loro riserve biologiche, in una positiva visione di prevenzione: ciò al fine di preservarle e di tutelarle il più a lungo possibile, per fare in modo che la vita sia non solo più lunga, ma anche di qualità migliore, secondo il noto aforisma «Dare vita agli anni, dopo aver dato anni alla vita» derivante dalla citazione di Marziale (Epigrammi, libro VI, 70:15) «Vita non est vivere, sed valere vita est»; l’obiettivo è in definitiva quello di valorizzare tutte le persone, a prescindere dalla loro età, consentendo loro di fare qualcosa di utile e di importante per gli altri e per la società e di cui resti a lungo un ricordo positivo.

La Fragilità

La Fragilità è una condizione clinica che interessa prevalentemente gli anziani e che spesso ne condiziona la qualità e la durata della vita; essa è in generale strettamente correlata a due condizioni, la vecchiaia e la salute, che vorrei in premessa descrivere brevemente in quanto non sempre ne è chiaro il significato fisiopatologico e clinico.

 La Vecchiaia

Da sempre è noto che con il passar del tempo si verificano sostanziali modificazioni non solo nella funzione, ma anche nella morfologia del corpo e della mente; fin dal I secolo a.C. lo scrittore latino Publio Terenzio Afro, riferendosi nella commedia Formione ai malanni fisici ed alle limitazioni che frequentemente si accompagnano alla vecchiaia, abbozzò una risposta, sintetizzata nel famoso aforisma «Senectus ipsa est morbus», che definisce la vecchiaia con una malattia, con tutte le implicazioni negative proprie di uno stato patologico.

Di tutt’altro parere è invece Cicerone che nel secolo successivo, nel De Senectute, esalta esplicitamente i vantaggi della vecchiaia, da lui definita non tanto un’involuzione, quanto un’evoluzione, non priva di vantaggi, delle capacità biologiche dell’individuo. Con impareggiabile abilità dialettica, Cicerone sottolinea gli aspetti positivi dell’età anziana (che a quei tempi si collocava attorno ai 50-60 anni), che descrive come una fase particolare della vita, caratterizzata da un atteggiamento equilibrato nei comportamenti e nelle opinioni, da una visione esistenziale misurata e tranquilla, ma anche a tratti altera ed aristocratica, non tale da essere temuta nelle sue conseguenze e comunque sempre da affrontare con atteggiamento positivo.

In ogni caso, l’invecchiamento non può essere definito su base anagrafica e non può essere identificato con uno stato di malattia, ma va considerato un fenomeno naturale che si manifesta in modo e ad età variabili nei singoli individui che si accompagna ad una progressiva trasformazione fisiologica e psicologica dell’organismo e che può determinare, attraverso un’accentuata fragilità biologica, una maggiore vulnerabilità alle malattie. In generale, esso è caratterizzato dalla presenza di modificazioni a livello cellulare, enzimatico, metabolico, immunologico e molecolare, in gran parte condizionati dal substrato genetico del soggetto, ma anche influenzabili da stili di vita appropriati ed in grado di rallentare o contrastare il declino biologico anche negli individui geneticamente più sfavoriti.

La Salute

Il termine “salute” deriva dal latino “salus utis” che significa letteralmente “salvezza, incolumità, integrità”: esso pertanto può essere inteso etimologicamente come uno «stato di benessere fisico e di armonico equilibrio psichico dell’organismo umano, in quanto esente da malattie, da imperfezioni e disturbi organici o funzionali». Questa definizione pone il significato di salute come antitetico rispetto a quello di malattia, sottendendo che essere sano significa “non essere malato”. In realtà, fin dal 1948 l’OMS definì la salute come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale» e non una «semplice assenza dello stato di malattia o infermità».

Questa definizione ha incontrato molte difficoltà a diffondersi ed a tradursi in politiche di salute efficaci, in quanto la maggior parte degli interventi per migliorare la salute si è concentrata principalmente sul benessere fisico e sulla rimozione delle malattie, senza tenere conto che ciò si può ottenere anche attivando politiche di più ampio respiro che garantiscano a tutti i cittadini pace, cibo, istruzione, reddito adeguato, abitazioni dignitose, uso sostenibile delle risorse, giustizia ed equità sociale.

È solo nel 1986 con la Carta di Ottawa che si riconosce, a livello internazionale, che, per ottenere uno stato di completo benessere, una persona deve « di essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni e di modificare positivamente l’ambiente circostante». Per la prima volta viene così riconosciuta l’importanza dello stretto legame tra l’uomo ed il suo ecosistema, composto da famiglia, comunità, ambiente fisico e socio-culturale, il cui equilibrio è ritenuto necessario per creare uno stato di salute. Negli anziani in particolare, la buona salute non è identificata con “assenza di malattia”, bensì con il “mantenimento dell’autosufficienza”, ossia con la capacità di svolgere autonomamente le normali attività della vita quotidiana; si ritiene che questa si possa ottenere più facilmente attuando a vari livelli una strategia comportamentale fondata sulla prevenzione, gestendo in modo complessivo la salute dell’anziano e considerando che l’autosufficienza è spesso insidiata dalla presenza di numerose patologie croniche e degenerative2: a causa del loro lungo decorso, esse richiedono un’assistenza prolungata e sono in grado di determinare un progressivo stato di fragilità, pur presentando diverse opportunità di prevenzione. A tal fine, è necessario conoscere, e se possibile rimuovere, i fattori di rischio3 che possono pregiudicare l’integrità di funzioni essenziali, per assicurare all’anziano un soddisfacente grado di autonomia, soprattutto a livello del sistema cognitivo4 e di quello motorio, in modo tale da favorirne la permanenza il più a lungo possibile nel suo ambiente sociale.

La Fragilità

La parola “Fragile” deriva dal latino “frangere” (rompere) ed identifica una condizione che paragona metaforicamente coloro che ne sono affetti a “persone di vetro“, soggetti cioè che possono facilmente frantumarsi, qualora non si apprestino loro le necessarie cure. Sebbene non esista una definizione unica e condivisa, si considera comunemente “anziano fragile” una persona di età avanzata o molto avanzata (> 80 anni), affetta da una o più patologie croniche, clinicamente instabile, frequentemente disabile, spesso con problemi di tipo socio-economico, soprattutto solitudine e povertà, e suscettibile di perdere la propria autonomia anche in tempi rapidi. Essa va pertanto considerata una particolare condizione psico-fisica caratterizzata da un’estrema vulnerabilità e da un elevato rischio di malattia, derivante da un equilibrio biologico precario, in grado di innescare scompensi biologici a cascata che compromettono la capacità di auto-correggersi e di mantenere l’omeostasi 5 a causa della minore efficacia dei meccanismi di compenso dell’organismo. Essa si manifesta con un maggiore rischio di cadute, con difficoltà nella deambulazione o nello svolgimento di un’attività fisica anche modesta, ed esita in più frequenti ricoveri in ospedale o in strutture assistenziali e spesso anche nel decesso a breve termine.

La Fragilità può pertanto essere definita come il “rischio di perdere l’autosufficienza”, una condizione dunque di “precarietà della vita” che va considerata una vera e propria “sindrome clinica” che in alcuni casi può portare alla disabilità, condizione caratterizzata dall’incapacità per la persona di vivere da sola in maniera completamente autonoma, comportando la necessità di ricorrere all’aiuto di altre persone, i caregiver6 (familiari, badanti, amici o conoscenti, operatori del servizio pubblico) e che spesso prelude all’inserimento in strutture assistenziali (centri diurni, case di riposo e residenze per anziani).

  1. a) Epidemiologia

Poiché manca una precisa e condivisa definizione di fragilità, risulta difficile stimare la sua reale frequenza nelle popolazioni: sono tuttavia disponibili alcuni dati epidemiologici che indicano che essa rappresenta un problema molto rilevante, ed ancor più lo diventerà, in considerazione dell’ulteriore progressivo allungamento dell’aspettativa di vita e della sempre maggior diffusione delle patologie cronico-degenerative.

Nello studio SHARE (The Survey of Health, Ageing, and Retirement in Europe) del 2013, che ha comparato otto scale di valutazione della fragilità, la prevalenza di tale condizione nei soggetti di età superiore a 50 anni è risultata compresa tra il 6% e il 44%. In Italia, secondo i dati raccolti nel 2012 dal sistema di sorveglianza Passi d’Argento7, è stato stimato che il 21% degli ultra 64enni italiani sia fragile e che tra questi il 75% abbia almeno una malattia cronica, rispetto al 62% tra i non fragili (Figura 2).

  1. b) Cause e Fattori di rischio

La fragilità si manifesta per lo più come complicanza di numerose malattie tipiche dell’anziano, ma anche a seguito di condizioni, quasi tutte tipiche dell’età avanzata, come la malnutrizione e l’anoressia8, una storia recente di prolungato riposo a letto, una perdita di peso involontaria, la riduzione della massa e della forza muscolare e l’incontinenza urinaria. Si manifesta inoltre in Pazienti con molte malattie e che assumono molti farmaci ma anche in soggetti con problemi di tipo psico-affettivo come la vedovanza, la solitudine, la povertà, un traumatico cambio di domicilio.

  1. c) Sintomatologia e Diagnosi

L’identificazione di uno stato di fragilità nella popolazione, non solo negli anziani, è di fondamentale importanza perché in tal modo è possibile programmare interventi per prevenire la perdita dell’autonomia e per mantenere una qualità di vita accettabile.

Per definire un anziano “fragile” occorre ricercare alcuni segni o sintomi clinici, verificare la riduzione di specifici esami di laboratorio (albumina, ferro e colesterolo), individuare fattori ambientali (solitudine, povertà) che la possono caratterizzare. La complessità della definizione di Fragilità, che vede l’interazione di componenti fisiche, psicologiche e sociali, rappresenta il motivo per cui non sono ancora stati definiti criteri universalmente accettati per la sua diagnosi, anche se da un punto di vista operativo, può essere identificato un “fenotipo9 fragile” quando sono presenti almeno 3 dei seguenti segni:

  • Perdita di peso involontaria maggiore di 4,5 Kg nell’ultimo anno
    • Affaticamento eccessivo in almeno 3 giorni/settimana
    • Riduzione della forza muscolare, valutata con la stretta della mano dell’arto dominante “hand-grip test10” mediante il Dinamometro al di sotto di 5,85 Kg per i maschi e di 3,37 Kg per le femmine
    • Ridotta attività fisica
    • Riduzione della velocità del cammino (più di 7 secondi per percorrere 5 m su un percorso noto)
  1. d) Meccanismo patogenetico

Molte malattie (acute o croniche), la depressione, la demenza, il contesto socio-familiare, il ridotto apporto di proteine, vitamine e sali minerali, il fumo, l’assunzione di molti farmaci, dosi eccessive di alcolici, possono condizionare nel tempo l’insorgenza della fragilità, determinando la progressiva perdita della capacità di adattarsi ad eventuali fattori stressanti.

Il modello di sviluppo della fragilità, riassunto nella sottolinea la natura ciclica di questa condizione e mostra come la perdita di una o più funzioni dell’organismo possa dare inizio o perpetuare il ciclo del declino psico-fisico della persona.

La persona anziana che gode di buona salute è in grado di affrontare una condizione stressante come ad esempio una malattia acuta o un trauma, con minime conseguenze per il suo organismo. Il suo corpo funziona infatti ancora in modo ottimale e possiede pressoché intatti i meccanismi capaci di riportare la condizione all’equilibrio. Un anziano fragile, invece, di fronte allo stesso fattore di stress, sviluppa conseguenze negative più gravi: i meccanismi di riparazione e di ripristino dell’equilibrio non funzionano più correttamente, per cui il suo organismo non riesce a tornare completamente ad una condizione di normalità. Infine, in caso di grave fragilità, lo stesso evento stressante produce effetti molto negativi per il paziente che può anche non essere più in grado di affrontare in modo indipendente ed autonomo le normali attività quotidiane, richiedendo così un’assistenza costante.

  1. e) Prevenzione e trattamento

In considerazione dei suoi effetti devastanti, è fondamentale prevenire la fragilità nell’anziano, attraverso il riconoscimento, e se possibile la loro rimozione, dei suoi fattori di rischio e dei meccanismi che conducono al suo sviluppo rendendo possibile prevenire o ritardare la comparsa della disabilità.

Ciò può essere ottenuto:
– trattando tempestivamente le patologie croniche che la possono determinare;
– rimuovendo i fattori di rischio specifici (attraverso la sospensione di abitudini voluttuarie dannose alla salute: fumo, eccessivo consumo di alcolici, ecc.);
– promuovendo l’attività fisica ed un’alimentazione adeguata.

È inoltre fondamentale assicurare ad un Paziente, già definito fragile e complesso, un ambiente di cura adeguato alla sua situazione fisio-patologica: in particolare diventa essenziale, anche in una prospettiva etica di umanizzazione delle cure, passare da una strategia volta a “curare” (attivazione di interventi finalizzati alla rimozione della malattia ed al ripristino di uno stato di salute con strumenti propri della medicina come esami diagnostici e farmaci), ad una finalizzata al “prendersi cura” ed al “farsi carico” dei suoi problemi globali curando non solo la malattia ma la “persona malata” nel suo insieme.

Nel rapporto di cura: non solo la malattia ma anche il vissuto del paziente

Inoltre, nel rapporto di cura occorre prendere in considerazione non solo la malattia, ma anche il suo vissuto, perché la malattia non colpisce il malato solo a livello biologico ma anche a livello psicologico, sociale e dell’ambiente in cui vive. A tal fine, è considerato essenziale un approccio globale che consenta una precisa identificazione dei bisogni del paziente per impostare un piano di assistenza che preveda la continuità degli interventi attraverso la stretta collaborazione di più figure, professionali e non (medico, infermiere, assistente sociale, fisioterapista, familiari, ecc.) e la presenza di un una “rete di servizi” integrati tra ospedale e territorio.

La terapia medica e riabilitativa, il supporto familiare e psicologico devono essere continuativi quando l’anziano ha perso l’autosufficienza, perché vi sono ancora in questi pazienti possibilità di recupero in grado di condurre, seppur lentamente, a possibili ed imprevedibili miglioramenti, che, se non sono sempre di tipo funzionale, certamente lo sono in termini di qualità di vita. In questo contesto, grande importanza rivestono le cure sviluppate a domicilio che rappresentano un’eccellente modalità di affrontare con buoni risultati clinici e con ridotti costi sociali un problema complesso come la fragilità dell’anziano.

Giancarlo Isaia

http://www.bioeticanews.it/lanziano-fragile-/

Note

1 Silver Tsunami: il termine Tsumani evoca distruzioni improvvise ed è metaforicamente associato alle violente modificazioni indotte sulla società dall’incremento della popolazione anziana (Silver, d’argento)

2 Malattie croniche e degenerative: malattie che richiedono molti anni prima di manifestarsi clinicamente, che persistono a lungo e che tendono a danneggiare gli organi ed i tessuti

3 Fattore di rischio: specifica condizione che risulta statisticamente associata ad una malattia e che si ritiene possa concorrere a favorirne lo sviluppo o ad accelerarne il decorso

4 Sistema cognitivo: insieme dei processi mentali implicati nella conoscenza, intesi funzionalmente come guida del comportamento

5 Omeostasi: capacità di autoregolarsi degli organismi viventi, con un equilibrio dinamico, per mantenere un costante ambiente interno, nonostante le variazioni dell’ambiente esterno

6 Caregiver: persona che si “prende cura” del malato

7 Passi d’Argento: definisce in maniera arbitraria un anziano fragile se è non autonomo in 2 o più IADL ma presenta una completa autonomia nello svolgimento delle attività principali della vita quotidiana (ADL)

8 Anoressia: mancanza persistente di appetito

9 Fenotipo: insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali di un organismo determinate dall’interazione fra la sua costituzione genetica e l’ambiente

10 Hand grip test: Metodica strumentale finalizzata a misurare la forza della mano e dei muscoli dell’avambraccio.