Qual è il luogo proprio dell’uomo, il limite che lo definisce? Dove abita? Domande fondamentali, perché riguardano la nostra identità più profonda. Non si tratta soltanto di abitare spazi fisici, che pure hanno una importante densità simbolica, ma anche di accedere a dimensioni essenziali come il venire e lo stare al mondo nel proprio corpo o come l’abitare se stessi: è anzitutto lì che si sta e si dimora, decidendo della propria vita.
L’Autore, priore della comunità di Bose, sviluppa una suggestiva riflessione che mette a tema il rapporto con il nostro corpo, l’interiorità e il quotidiano, per poi esaminare i modi attraverso i quali abitiamo il tempo e dimoriamo con gli altri. Sono tutti aspetti della vita a cui non facciamo molto caso, ma che andrebbero vissuti con vigilanza e consapevolezza. Per scoprire infine che il luogo più radicale dove vivono gli umani è il desiderio, che non ha un compimento in nessun luogo sotto il cielo, ma è sempre ricerca dell’Altro.
Il corpo: abitazione e abitante
«Abitare»: tutto nasce dal corpo. Il corpo è la nostra casa primigenia: veniamo al mondo abitando il corpo di una donna. Il corpo femminile è per ogni umano la prima abitazione, lo spazio, l’habitat della sua prima formazione. A sua volta, il corpo che abitiamo venendo al mondo è un ‘corpo abitante’, un corpo che già abita il mondo. E certo, non semplicemente nel senso banale che ha una casa, si situa in un territorio, in un paese, in una città, ma nel senso che abita la relazionalità umana. Si apre all’alterità e la abita.
Sarebbe riduttivo pensare al corpo come abitazione semplicemente cogliendolo come ‘spazio occupato’, come insieme di organi, come superficie visibile che cela un’interiorità invisibile. Quanto meno, con Michel Foucault, dovremmo cogliere il corpo nella sua ambivalenza di, da un lato, spietata topia, luogo assoluto, qui e ora irrimediabile, luogo a cui non possiamo sfuggire, e, dall’altro, di nucleo di ogni utopia, possibilità di ogni altrove, di ogni movimento e spostamento, punto zero del mondo dove i percorsi e gli spazi si incrociano.
Scrive Foucault: «Il corpo non è da nessuna parte. È nel cuore del mondo, questo piccolo nocciolo utopico a partire dal quale io sogno, parlo, avanzo, immagino, percepisco le cose al loro posto e insieme le nego con il potere indefinito delle utopie che immagino». Se venire al mondo è abitare un corpo, e se crescere in umanità richiede la capacità di abitare, cioè ascoltare, conoscere, amare, il proprio corpo, per poter vivere in modo maturo le relazioni umane, allora possiamo comprendere che ‘abitare’ è il modo dell’uomo di essere umano e che tale modalità umanizzante si realizza attraverso la corporeità. Ovvero, attraverso il soggetto umano nella sua integralità. La corporeità umana indica che ogni individuo è un ‘abitante abitato’: questo lo statuto umano. Nel corpo di ogni individuo umano, scrive il teologo Louis-Marie Chauvet, «vengono ad articolarsi simbolicamente, in modo altrettanto singolare per ciascuno quanto lo è la storia del suo desiderio, un corpo ancestrale di tradizione, un corpo sociale di cultura e un corpo cosmico di natura». Diventiamo abitanti del mondo, ma siamo abitati dal mondo. Prosegue questo autore: «È proprio in quanto intessuto in questo modo originale – a partire dalla sua prima infanzia, dalla sua stessa formazione nella matrice materna, che è altrettanto culturale che biologica, tramite questo triplice corpo di storia, di società e di mondo – che il soggetto avviene in ciò che egli è di più ‘spirituale’. ‘Corporeità’ designa in tale senso il soggetto umano come corpo significante o come corpo di parola: corpo parlante in quanto da sempre già parlato nel ventre materno. Il più ‘spirituale’ non avviene, dunque, altrimenti che nella mediazione del più ‘corporeo’».
La casa primigenia è dunque per ciascuno il corpo, ma anche la parola. Corpo materno e lingua materna sono la nostra prima abitazione che ci ospita e ci proietta nel mondo con il compito di abitarlo.
L’attività spirituale essenziale dell’uomo è dunque, appunto, l’abitare.
Il corpo è il nostro modo di essere al mondo, di prendervi parte, di rispondere ai suoi molteplici richiami e alle sue sollecitazioni di gioia o di dolore, cose tutte che plasmano il nostro corpo, fino a renderlo immagine fedele del nostro carattere, di chi noi siamo. Il corpo viene costruito da noi, dagli altri, dagli eventi, e il credente lo costruisce anche con Dio e nella fede cerca di fare in modo che l’umanità di Gesù plasmi la sua umanità 3 . Siamo poi chiamati ad abitare il nostro corpo, cioè, ad ascoltarlo, conoscerlo e amarlo perché in esso e non fuori di esso costruiamo la rete di relazioni che dà senso e contenuto al nostro abitare il mondo. Infatti, abitare è sempre esperienza relazionale: si abita per vivere.
Articolo completo sul sito di Vita e Pensiero
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