Ha ragione Matteo Salvini, credo, a protestare per l’eccesso di attenzione della magistratura nei suoi confronti e nei confronti del suo partito. ( Non ha ragione però a paragonare l’Italia alla Turchia: lì ci sono centinaia di prigionieri politici, non scherziamo).
Ha ragione perché la decisione di paralizzare economicamente la Lega con il blocco di tutti i finanziamenti passati, presenti e futuri ( per recuperare i 49 milioni che i magistrati ritengono siano stati percepiti irregolarmente, anni fa, dalla Lega di Bossi) sembra proprio una prepotenza, e un atto – deliberato o meno – di invasione nel campo della battaglia politica. E’ evidente che mettere il “bloccasterzo” al partito che oggi è di gran lunga il più popolare e il più forte politicamente nell’agone politico, è un atto che molto difficilmente può avere una interpretazione puramente “tecnica”. La ricaduta politica è evidentissima e bisogna ragionare sulle sue cause e sui suoi effetti.
Prima diciamo che è ancora più clamorosa la decisione di scagliarsi contro il capo della Lega, accusandolo di reati da vero e proprio gangster ( come sequestro di persona aggravato: roba da anonima sarda) per la vicenda, anche quella assolutamente politica, della Nave Diciotti e del blocco degli immigrati che ospitava.
Personalmente ho considerato una iniziativa politica gravissima e sconsiderata quella di Salvini sulla Diciotti ( usare 150 esseri umani come “ostaggi politici” per le trattative con l’Europa o, peggio ancora, come utili strumenti per guadagnare consensi elettorali). Ma se ogni volta che si apre un conflitto serio sui temi della politica dovesse scattare l’incriminazione giudiziaria di uno o di tutti e due i contendenti, questo paese sarebbe trasformato in una bolgia, in un inferno. Mi ricordo di quando, tanti tanti anni fa, consideravo sbagliata e prepotente l’iniziativa di Bettino Craxi – capo del governo e segretario del Psi – di tagliare la scala mobile ( che era un meccanismo di rivalutazione automatica degli stipendi), e mi ricordo di come su quel tema si accese uno scontro asperrimo, che portò ad una rottura profondissima nei rapporti politici a sinistra: provo a imma- ginarmi cosa sarebbe successo, allora, se qualche magistrato un po’ alla Patronaggio avesse deciso di mandare a Palazzo Chigi un avviso di garanzia per appropriazione indebita di salari… Non successe, per fortuna, perché l’Italia, in quegli anni, era un paese dove ancora il rapporto tra potere giudiziario e potere politico era un rapporto paritario ed equilibrato ( qualche anno dopo, invece, la magistratura partì all’attacco e Craxi fu davvero raggiunto da avvisi di garanzia in grado di annientarlo e di radere al suolo il suo partito).
Credo che non ci siano dubbi sulla mia assoluta solidarietà con Salvini ( dal quale dissento politicamente più o meno al 100 per cento…) per l’aggressione giudiziaria che sta subendo.
Poi però sono costretto a fare alcune domande. Mi limito a quelle indispensabili. Anzi, a due sole, evitando la litania delle dieci domande.
Come mai quando la magistratura napoletana ( anche sulla base di documentazioni risultate poi false, e giungendo fino al punto da intercettare del tutto illegalmente dei colloqui tra avvocati ed assistiti) tentò di mettere in mezzo il segretario del Pd, parlo di Renzi, la Lega non scattò in sua difesa? Eppure era abbastanza chiaro che si trattava di un’iniziativa pretestuosa, appoggiata da una forte campagna di stampa, che oltretutto produsse dei danni irreparabili al partito democratico.
Come mai, mentre lui denuncia l’eccesso di potere della magistratura, il suo partito ( cioè i suoi ministri) votano un disegno di legge ( quello anti- corruzione) che aumenta a dismisura il potere della magistratura, che rende legittime pratiche di dubbia compatibilità con la Costituzione, che introduce la daspo a vita, l’agente provocatore o qualcosa del genere, la confisca dei beni anche senza condanna, la sterilizzazione della prescrizione, l’esagerazione della già molto esagerata legislazione sui pentiti, eccetera eccetera?
Mi sembrano difficili da spiegare queste contraddizioni. Così come mi sembra un po’ difficile spiegare come si concili il garantismo, giusto e rigoroso, per i reati che riguardano la Lega, e molti atteggiamenti della Lega (“buttate la chiave, buttate la chiave! ”) per tutte le situazioni di illegalità che invece riguardano i poveracci, e soprattutto gli immigrati e i rom. Il mio non è un ragionamento moralistico, o ideologico. Né tanto meno vendicativo. Semplicemente sono profondamente convinto che il garantismo sia un elemento essenziale di una possibile modernità liberale, e la rinuncia al garantismo sia una vera e propria promessa di autoritarismo. Il garantismo esiste solo se e quando si riesce a renderlo assoluto. Per gli amici e per i nemici. Per i vicini e per i lontani. Per gli italiani e per gli stranieri. Un garantismo a “scartamento ridotto” non è garantismo, anzi, è prepotenza.
Poi nella battaglia politica ciascuno fa ciò che vuole e sostiene le idee che gli pare. Senza dover chiedere placet o timbri ai «titolari dell’etica». Non esistono i titolari dell’etica. Ma perché non esistano davvero è necessario affermare il garantismo ( ciò, con una parola più semplice ed essenziale: il Diritto), come pilastro ineliminabile della democrazia. E convincersi che il garantismo non è una cosa che può essere sospesa, che può funzionare a intermittenza, ad ore.
Capisco che è molto difficile fare questo in alleanza coi 5 Stelle. Però, allora, se si preferisce la via legalista, bisogna rinunciare alle proteste contro la magistratura. Naturalmente il discorso può anche essere rovesciato: il Pd, o almeno il Pd renziano che giustamente difese il suo segretario quando era finito sotto il tiro dei Pm, perché ora dà del ladro a Salvini?
Possibile che, almeno in questo campo, l’unico coerente sia il vecchio e vituperato cavalier Berlusconi?
Piero Sansonetti