Due saggi sul parlamentarismo del grande filosofo e giurista, pubblicati negli anni della crisi di Weimar, tornano di attualità mentre in Europa avanzano sovranisti e populisti.
Tra tutti gli elementi della crisi weimeriana, «le condizioni economiche e finanziarie» sono di particolare attualità. Le paure e le aspirazioni di allora sembrano coincidere con quelle attuali. La guerra, l’inflazione, la crisi economica del 1929 avevano generato grandi difficoltà nella popolazione e la conseguente nostalgia per una vita normale: «Normalità significa: un’attività lavorativa correttamente retribuita, un’abitazione modesta, la possibilità di formare una famiglia e l’accesso alla crescente offerta di beni di consumo». Oggi molte persone in Europa, soprattutto giovani, si identificano con questo weimariano (e frustrato) desiderio di normalità.
La situazione di Weimar è solo in parte paragonabile a quella attuale in Europa, però emotivamente si può essere portati ad accentuare più le somiglianze (che sono peraltro innegabili) che le differenze. Oggi l’Europa vive in pace da oltre un settantennio; allora la Germania usciva da una sconfitta lacerante. L’Europa di allora era ben più inquieta di quella di oggi, ma le critiche antidemocratiche tanto di allora quanto di oggi nascevano dalla crisi generale che stringeva tutto il continente.
Con la fine della Prima guerra mondiale erano crollati i grandi imperi multinazionali austriaco, russo e ottomano. La crisi economica seguita alla guerra rinvigoriva i movimenti comunisti, rafforzati anche dalla nascita dello Stato sovietico: l’Italia conosceva il Biennio Rosso nel 1919-20; nel 1919 era nato il secondo Stato sovietico d’Europa, la repubblica ungherese dei soviet di Béla Kun; in Germania, nel 1918-’19 le sommosse ispirate agli eventi sovietici avevano portato alla formazione delle effimere Repubbliche dei Consigli ( Räterepubliken) in Baviera, a Brema e a Mannheim; l’assemblea costituente del Reich aveva dovuto essere trasferita dall’insurrezionale Berlino alla più tranquilla Weimar, e per questo è a Weimar che, nel 1919, venne proclamata la costituzione della repubblica tedesca succeduta al Reich: la prima costituzione democratica della Germania effettivamente in vigore. Simmetricamente, in tutt’Europa il concreto timore di una rivoluzione comunista rafforzava i movimenti di estrema destra, a partire dal fascismo che andò al potere nel 1922. La nuova Austria attraversava anni non meno travagliati: la transitoria repubblica Deutschösterreich (1918-19) veniva sostituita dalla Prima repubblica austriaca (1919-1934, retta dalla Costituzione del 1920), a sua volta soppiantata dall’avvento dell’Austrofascismo (1934-1938), cui mise fine l’annessione alla Germania nazista con l’Anschluss del 1938.
È in questo contesto che il democratico Hans Kelsen nel 1930 dovette partire per il suo primo esilio, lasciando la sua Vienna alla volta della Germania. Hans Kelsen (1881-1973) pubblicò i due saggi sulla democrazia raccolti in questo libro [Due saggi sulla democrazia in difficoltà, Aragno, ndr ] nel 1920 e nel 1925, quando aveva 39 e 44 anni. Viveva a Vienna, e non in Germania ma la situazione austriaca presentava non pochi tratti che si possono definire weimariani.
Kelsen passa criticamente in rassegna tutti gli elementi caratteristici della democrazia parlamentare, illustrandone la genesi storica e la funzione effettiva in un regime democratico parlamentare: il lettore troverà così perché la rappresentanza è «una grande finzione»; perché «si è potuto gabellare per democratico il principio della divisione dei poteri». Questo saggio contiene quindi la più sintetica descrizione in nuce della concezione kelseniana della democrazia parlamentare, che da lui era stata riversata anche nella costituzione austriaca entrata in vigore in quello stesso 1920.
Però già nel 1925, cioè cinque anni dopo quel saggio sulla natura e sul valore del parlamentarismo, Kelsen doveva affrontare il problema della “crisi del parlamentarismo”, doveva cioè rispondere alle crescenti critiche rivolte alla struttura portante del nuovo ordinamento, che si fondava su questa visione: «Parlamentarismo è formazione della volontà normativa dello Stato mediante un organo collegiale eletto dal popolo in base al suffragio universale ed eguale per tutti, cioè dunque democraticamente, secondo il principio della maggioranza».
Quindi «il principio dominante è quello della libertà, dell’autodeterminazione democratica ». Però – sotto la pressione degli eventi storici – deve constatare: «Dai partiti dell’estrema destra come da quelli dell’estrema sinistra il principio parlamentare viene sempre più avversato, e sempre più imperiosa si fa l’invocazione alla dittatura o ad un ordinamento corporativo».
Di fronte alle critiche che vogliono annullare il parlamento Kelsen propone una serie di miglioramenti del parlamentarismo. Nelle società moderne la divisione del lavoro (anche politico) rende inattuabile la democrazia diretta; e la democrazia parlamentare si fonda allora sulla «finzione della rappresentanza», perché la volontà espressa dal Parlamento non può coincidere con quella dell’intero popolo. Un perfezionamento del parlamentarismo può essere dato dall’introduzione, in certi casi, dell’istituto del referendum, che ridà direttamente voce al popolo.
Kelsen si occupa anche del mandato imperativo, che in certa misura è riaffiorato in Italia nel “Contratto di Governo” in discussione durante la crisi postelettorale del 2018: per Kelsen si può mettere in discussione l’irresponsabilità del deputato rispetto ai suoi elettori, ma soprattutto «bisognerà abolire o almeno limitare» l’immunità parlamentare, «privilegio assolutamente anacronistico» nato ai tempi delle monarchie. Si pone così anche il problema del deputato che cambia partito.
In questo saggio, accanto ai temi specifici degli anni Venti (come la rappresentanza non dei soggetti, ma degli interessi attraverso il corporativismo; o la scorciatoia della dittatura), ritornano molti elementi che ancora oggi quotidianamente affiorano nel dibattito politico: in particolare, quello dei rapporti tra maggioranza e minoranza. Per Kelsen il parlamentarismo, struttura portante della democrazia, è lo strumento che attraverso il compromesso conduce alla pace sociale. E qui sta la contraddizione tanto dei tempi di Weimar quanto dei giorni presenti: di pace sociale c’è massimamente bisogno proprio nei momenti in cui è messo in discussione il parlamentarismo, cioè lo strumento per raggiungerla.
Mario G. Losano
Avvenire.it, 16 settembre 2018
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