Di fronte alla «forte tendenza alla legalizzazione dell’eutanasia» Papa Francesco auspica «un accompagnamento umano sereno e partecipativo» per «il paziente cronico grave o il malato in fase terminale». Lo ha ribadito ricevendo in udienza i partecipanti a un seminario sull’etica nella gestione della salute, provenienti dall’America latina.
Eccellenze, signore e signori,
Vi do il benvenuto a questo incontro e ringrazio Monsignor Alberto Bochatey, O . S . A ., Vescovo ausiliare di La Plata, Presidente della Commissione della Salute della Conferenza Episcopale Argentina, il signor Cristian Mazza, Presidente della Fondazione Consenso Salud, e gli enti che rappresentate, per l’opp ortunità di questo seminario che, con il patrocinio della Pontificia Accademia per la Vita, si organizza per affrontare temi dell’ambito della salute che hanno grande rilievo nella società, a partire da una riflessione etica basata sul Magistero della Chiesa. Il mondo della salute in generale, e in particolare in America Latina, vive un’epoca segnata dalla crisi economica; e possono farci cadere nello sconforto le difficoltà nello sviluppo della scienza medica e nell’accesso alle terapie e ai farmaci più adeguati.
Ma la cura dei fratelli apre il nostro cuore per accogliere un dono meraviglioso. In tale contesto vi propongo tre parole per la riflessione: miracolo, cura e fiducia. I responsabili delle istituzioni assistenziali mi diranno, giustamente, che non si possono fare m i ra c o l i e bisogna ammettere che il bilancio costo-beneficio presuppone una distribuzione delle risorse, e che inoltre gli stanziamenti sono condizionati da una miriade di questioni mediche, legali, economiche, sociali e politiche, oltre che etiche.
Tuttavia un miracolo non è fare l’impossibile; il miracolo è trovare nel malato, nell’indifeso che abbiamo davanti, un fratello.
Siamo chiamati a riconoscere in chi riceve le prestazioni l’immenso valore della sua dignità come essere umano, come figlio di Dio.
Non è qualcosa che può, da solo, sciogliere tutti i nodi che oggettivamente esistono nei sistemi, ma creerà in noi la disposizione a scioglierli per quanto ci è possibile, e inoltre darà luogo a un cambiamento interiore e di mentalità in noi e nella so cietà.
Questa coscienza — se profondamente radicata nel sostrato sociale — permetterà che si creino le strutture legislative, economiche e mediche necessarie per affrontare i problemi che potranno sorgere. Le soluzioni non devono essere identiche in tutti i momenti e in tutte le realtà, ma possono nascere dalla combinazione tra pubblico e privato, tra legislazione e deontologia, tra giustizia sociale e iniziativa imprenditoriale. Il principio ispiratore di questo lavoro non può essere altro che la ricerca del bene. Questo bene non è un ideale astratto, ma una persona concreta, un volto, che molte volte soffre.
Siate coraggiosi e generosi nei propositi, piani e progetti e nell’uso dei mezzi economici e tecno-scientifici. Quanti ne beneficeranno, soprattutto i più poveri, sapranno apprezzare i vostri sforzi e le vostre iniziative. La seconda parola è c u ra . Curare i malati non è semplicemente l’asettica applicazione di farmaci e terapie appropriate. Neppure il suo significato primigenio si limita a cercare il recupero della salute. Il verbo latino “cur a re ” vuol dire: assistere, preoccuparsi, prendersi cura, farsi responsabili dell’altro, del fratello. Da ciò dovremmo imparare molto noi “curas” [preti], perché a questo ci chiama Dio. Noi “curas” ci siamo per prenderci cura, per curare. Tale disposizione dell’op eratore sanitario è importante in tutti i casi, ma forse si percepisce con maggiore intensità nelle cure palliative. Stiamo vivendo quasi a livello mondiale una forte tendenza alla legalizzazione dell’eutanasia. Sappiamo che quando si fa un accompagnamento umano sereno e partecipativo, il paziente cronico grave o il malato in fase terminale percepisce questa sollecitudine. Persino in quelle dure circostanze, se la persona si sente amata, rispettata, accettata, l’ombra negativa dell’eutanasia scompare o diviene quasi inesistente, poiché il valore del suo essere si misura in base alla sua capacità di dare e ricevere amore, e non in base alla sua produttività.
È necessario che i professionisti della salute, e quanti si dedicano all’assistenza sanitaria, s’impegnino in un costante aggiornamento delle necessarie competenze, di modo che possano sempre rispondere alla vocazione come ministri della vita. La Nuova Carta degli Operatori Sanitari ( NCAS ) è per voi un utile strumento di riflessione e di lavoro, e un elemento che può aiutare nel dialogo tra le iniziative e i progetti privati e statali, nazionali e internazionali. Questo dialogo e lavoro congiunto arricchisce in concreto le prestazioni sanitarie e va incontro a tanti bisogni ed emergenze sanitarie del nostro popolo latinoamericano. La terza parola è fiducia , che possiamo distinguere in vari ambiti. Innanzitutto, come voi sapete, è la fiducia del malato in se stesso, nella possibilità di curarsi, poiché dipende da ciò gran parte del successo della terapia. Non meno importante è per il lavoratore poter svolgere la sua funzione in un contesto di serenità, e questo non si può separare dal sapere che si sta facendo la cosa giusta, ciò che è umanamente possibile, in funzione delle risorse a disposizione. Questa certezza si deve basare su un sistema sostenibile di attenzione sanitaria, in cui tutti gli elementi che lo formano, retti da una sana sussidiarietà, si appoggiano gli uni agli altri per rispondere ai bisogni della società nel suo insieme, e del malato nella sua singolarità.
Mettersi nelle mani di una persona, soprattutto quando è in gioco la propria vita, è molto difficile; tuttavia il rapporto con il medico o l’infermiere è sempre stato fondato sulla responsabilità e sulla lealtà. Oggi, a causa della burocratizzazione e la complessità del sistema sanitario, corriamo il rischio che siano i termini del “contratto” a stabilire questo rapporto tra il paziente e l’op eratore sanitario, infrangendo in tal modo questa fiducia. Dobbiamo continuare a lottare per mantenere integro questo vincolo di profonda umanità, poiché nessuna istituzione assistenziale può da sola sostituire il cuore umano e neppure la compassione umana (cfr. san Giovanni Paolo II , DOLENTIUM HOMINUM, 11 febbraio 1985; NCAS , n. 3). Il rapporto con il malato esige dunque rispetto per la sua autonomia e una forte carica di disponibilità, attenzione, comprensione, complicità e dialogo, per essere espressione di un impegno assunto come servizio (cfr. NCAS , n. 4). Vi incoraggio nel vostro compito di portare a tante persone e a tante famiglie la speranza e la gioia che mancano loro. Che la nostra Vergine santa, Salute degli Infermi, vi accompagni nei vostri ideali e lavori, e lei che ha saputo accogliere la Vita, Gesù, nel suo grembo, sia esempio di fede e di coraggio per tutti voi. Dal profondo del cuore vi benedico tutti. Che Dio, padre di tutti, dia a ognuno di voi la prudenza, l’amore, la vicinanza al malato per poter adempiere al proprio dovere con grande umanità. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.
© Osservatore Romano – 1-2 ottobre 2018