La difesa è legittima, la sproporzione è un caso limite

By 18 Ottobre 2018Attualità

Nel giorno in cui vengono arrestati tre dei cinque banditi che hanno assaltato una villa a Lanciano, si riaccende con vigore il dibattito sulla legittima difesa. La riforma è rimasta fuori dal ddl sicurezza, quindi è ancora tutta da discutere. I precedenti dimostrano che non sempre la difesa viene riconosciuta come legittima.

Nel giorno in cui vengono arrestati tre dei cinque banditi che hanno assaltato una villa a Lanciano, si riaccende con vigore il dibattito sulla legittima difesa.

La rapina di Lanciano ha lasciato inorridita un’opinione pubblica che pure è già abituata agli orrori della cronaca nera. Il volto tumefatto del chirurgo in pensione Carlo Martelli, l’orecchio mozzato alla moglie Niva Bazzan, sono le prove più evidenti delle due ore di orrori che questi due coniugi anziani, entrambi alla vigilia del loro 70mo anno di vita, hanno dovuto passare in balia degli aggressori. “Io non so usare le armi, quindi non mi pongo il problema – dice Carlo Martelli, a posteriori – però, di sicuro, se l’altro giorno avessi avuto un’arma, l’avrei usata”. In molti lo pensano e nelle ville della zona, dove si registrano 6 rapine simili dall’inizio dell’anno, diversi proprietari si staranno certamente documentando su come armarsi.

C’è però un timore in più, per chi è costretto a difendersi, oltre allo shock provocato dall’aggressione: la successiva reazione della magistratura. La Lega ha promesso una riforma della legge sulla legittima difesa, seguendo lo slogan “la difesa è sempre legittima”. Ma è rimasta esclusa dall’ultimo decreto sicurezza e il dibattito è ancora tutto da fare. C’è da superare la resistenza del ministro della Giustizia, il pentastellato Alfonso Bonafede che il 19 settembre ricordava che, in materia di legittima difesa, “La competenza non è di Salvini”. Politicamente parlando, non è competenza degli Interni, ma della Giustizia. E l’Associazione Nazionale Magistrati, per bocca del suo presidente Francesco Minisci, ha già esposto il suo pensiero: “Non si può prescindere dal principio della proporzionalità fra offesa e difesa e dalla valutazione, caso per caso, del giudice: se un soggetto minaccia di schiaffeggiarmi o di sottrarmi un bene, io non posso reagire sparandogli; se, da fuori casa, vedo un tizio che si arrampica sul mio balcone, non posso essere autorizzato a sparargli”. Proporzionalità, dunque: è questo il principio che regola la materia, pare semplice, ma non lo è, se calato nella realtà.

Realtà come quella vissuta da Franco Birolo, tabaccaio. Il 26 aprile 2012, di notte, viene svegliato di soprassalto da rumori che provengono dal suo negozio, scende le scale con la pistola in pugno e spara al ladro, che muore dopo pochi passi di fuga. Sarà condannato in primo grado per eccesso colposo di legittima difesa, poi assolto in appello. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla sorella dell’aggressore ucciso da Birolo. E sono stati sei anni di processo. Il costo per la sua difesa è stato talmente alto che ha dovuto chiudere il negozio. Rovinato, chiuso per legittima difesa.

Graziano Stacchio, benzinaio veneto di Ponte di Nanto, è stato assolto. Il 3 febbraio del 2015 ha sparato a malviventi che cercavano di rapinare la vicina gioielleria. Avrebbero potuto uccidere la commessa. Non ha sparato per primo, ha prima intimato l’alt, poi sono stati i rapinatori ad aprire il fuoco contro di lui. Il benzinaio ha risposto, neppure mirando a testa e torace, ma alle gambe. Uno dei rapinatori è morto dissanguato perché colpito alla femorale. “Non sono un eroe, ho sparato perché sono un uomo normale”. In America verrebbe probabilmente celebrato con un film biografico. In Italia, è stato processato, prima che gli venisse riconosciuta la legittima difesa e fosse assolto.

E’ stato invece condannato Sergio Monella, imprenditore edile. Il 6 settembre 2006 i ladri gli entrano nella villa di Arzago d’Adda. Lui era a casa con la moglie e due figli. Reagisce sparando ai ladri col suo fucile, ne uccide uno, morto successivamente in un vicino pub in seguito alle ferite riportate. Dopo otto anni, l’8 settembre 2014, è Monella a finire in carcere, a Bergamo, con una condanna per omicidio volontario. Otterrà poi la grazia parziale dal presidente Sergio Mattarella: la pena viene ridotta da 6 a 3 anni.

Un caso che si è trascinato ancor più per le lunghe è quello di un tabaccaio di Milano, Giovanni Petrali. Il 17 marzo 2003 venne aggredito da due rapinatori armati, mentre era in negozio assieme a sua moglie. Picchiato e minacciato di morte, ha potuto reagire con la sua pistola solo grazie a un attimo di distrazione del malvivente che gli teneva puntata la pistola alla testa. Ha ucciso uno dei due aggressori e ha ferito gravemente il secondo. Però i due corpi erano riversi sul marciapiede, fuori dal negozio. E quindi sono trascorsi nove anni e mezzo di processo, condannato in primo grado e poi assolto in appello. Una vita segnata, anche se “è meglio un brutto processo che un buon funerale come dice lui stesso”.

Il principio della proporzionalità fra offesa e difesa lascia, dunque, al giudice un ampio margine di discrezionalità. E’ un principio che troviamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica (2264) “L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale: «Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita […] (corsivo nostro, ndr). E non è necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui». Leggiamo anche (2265): “La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri” (corsivo nostro, ndr). Principio che si applica sia all’aggredito che alle forze dell’ordine: “La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità”.

Buon senso vorrebbe che si tenesse conto soprattutto di questi principi. La difesa della propria vita è un diritto, la difesa della vita altrui, di cui si è responsabili, è un dovere. La sproporzione nella difesa, l’uso di una maggior violenza rispetto al necessario, è l’eccezione. Un’eccezione che va punita, ovviamente, ma pur sempre un caso limite. La magistratura, applicando la legge, pare invece considerarla come la norma. E chi si difende è un presunto colpevole.

Stefano Magni

27 settembre 2018

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