Il voto del Consiglio comunale di Verona compie due peccati gravissimi agli occhi dei progressisti (gravi al punto che la compagna di partito Padovani merita la scomunica).
La mozione del Consiglio comunale che proclama Verona «città a favore della vita», che impegna il Comune a promuovere il programma regionale “Culla segreta” e a stanziare fondi di bilancio per progetto Gemma e progetto Chiara, due iniziative che offrono aiuto economico a donne che incontrano difficoltà materiali al momento di una gravidanza, non chiede in alcun modo l’abrogazione della legge 194/78 che ha legalizzato l’aborto in Italia. Il testo della mozione cita anzi gli articoli della legge che auspicano interventi per rimuovere i motivi che possono condurre le donne a richiedere un’interruzione della gravidanza. Perché allora la stampa di sinistra ed esponenti politici di spicco di Partito democratico, Leu e Movimento Cinque Stelle si sono scagliati con violenza inaudita contro il voto dei consiglieri comunali veronesi? Esponenti nazionali del Pd come Andrea Orlando hanno addirittura chiesto l’espulsione dal partito della capo gruppo piddina in Consiglio comunale Carla Padovani, che ha votato a favore della mozione; la senatrice Monica Cirinnà si è dichiarata «esterrefatta e schifata» per il voto veronese.
Dogmi medioevali
La risposta all’interrogativo è che i partiti cosiddetti progressisti si reggono su alcuni dogmi, e quello che riassume in sé tutti gli altri è il dogma del relativismo. Per i vertici del Pd nostrano è “medievale” proclamare Verona «città a favore della vita», perché morte e vita sono sullo stesso piano: è indebito fare classifiche di valore, nemmeno se il valore in questione è quello della vita. La vita non è sacra in sé, così come nulla è sacro in sé: la secolarizzazione ha desacralizzato tutto, e ciò che non è ancora desacralizzato prima o poi lo sarà. Attualmente c’è una sola cosa che i progressisti riconoscono come sacra, ed è la scelta che il soggetto umano compie. Abortire o non abortire sono moralmente indifferenti agli occhi del progressista, il valore morale dell’una e dell’altra cosa si manifesta solamente nel momento in cui viene scelta dalla donna: è la scelta della donna per un’opzione piuttosto che per l’altra che la rende morale, che le conferisce valore. Nel progressismo il posto di Dio lo prende l’essere umano: è lui che decide cosa è bene e cosa è male, e lo decide attraverso la sua insindacabile scelta. L’arbitraria decisione umana scimmiotta l’atto creatore di Dio: come Dio afferma la bontà dell’essere per il fatto stesso che lo chiama all’esistenza, l’uomo crea il bene dal nulla delle azioni moralmente indifferenti con la sua scelta.
La donna non sbaglia mai
Il voto del Consiglio comunale di Verona compie dunque due peccati gravissimi agli occhi dei progressisti (gravi al punto che la compagna di partito Padovani merita la scomunica): pretende di stabilire una gerarchia oggettiva di valori e relativizza il valore della scelta. La scelta iniziale della donna – dice in sostanza la mozione votata – può essere meritevole di rettifica, non veramente libera, o semplicemente – ecco la parola terribile per i progressisti – sbagliata. Invece nella visione del mondo dei progressisti nessuno deve cercare di far cambiare idea a una donna propensa a interrompere una gravidanza, perché ciò implica logicamente che le autonome scelte morali degli individui possono essere sbagliate. La donna non sbaglia mai, sia quando decide di tenere il bambino che quando decide di liberarsene. La donna che cambia idea dopo essere stata avvicinata e persuasa da qualcuno mette in crisi questo dogma progressista: per questo bisogna impedire lo sviluppo di qualunque programma che possa portare a risultati di questo tipo. È la stessa logica per cui il coming out di un uomo sposato e con figli che si dichiara omosessuale attivo è salutato come un trionfo del progresso, mentre lo sforzo di un omosessuale distonico che vuole liberarsi di certi comportamenti e scoprire in sé l’attrazione per l’altro sesso viene considerato una sciagura: la prima dinamica incarna la libera scelta di un soggetto che si dà da sé la propria natura, l’atto rivoluzionario che sovverte datate convenzioni sociali e un preteso ordine di natura col solo potere della volontà; la seconda disconosce il dogma relativista (insinua che l’eterosessualità sia preferibile all’omosessualità) e getta il dubbio sull’infallibilità del desiderio umano e delle scelte che ad esso si ispirano.
Libertà dall’aborto
Quando la 194 fu approvata alla fine degli anni Settanta e poi confermata da un referendum popolare nel 1981, l’argomento principale della propaganda a favore della legge era – lo ricordiamo bene perché noi, a differenza di tanti che oggi sproloquiano, c’eravamo – che la legalizzazione avrebbe permesso di combattere meglio la piaga dell’aborto. Per tutti – favorevoli e contrari – l’obiettivo non era la libertà di aborto, ma la libertà dall’aborto. Che secondo i fautori della legge sarebbe stata meglio perseguita facendo emergere l’aborto clandestino piuttosto che punendolo penalmente. Oggi il discorso è completamente cambiato: la donna, si dice, ha il diritto di abortire. Se qualcosa è un diritto, significa che quella cosa è buona. L’aborto è buono? Lo è nella misura in cui è scelto consapevolmente da una donna.
Aborto legalizzato nell’Urss
L’aborto libero non è un elemento periferico, ma una componente centrale della visione del mondo progressista, in quanto incarna il principio della libera disponibilità della vita umana da parte dell’uomo. Finché al mondo ci sono cose sacre – e la vita del nascituro è una di queste cose sacre, come mostra il senso di orrore verso l’aborto di tutte le civiltà che lo hanno proibito, e il senso di vergogna che circondava l’atto nelle civiltà che lo permettevano – l’uomo non può liberamente manipolare la realtà per i fini che lui autonomamente decide. Non bisognerebbe mai dimenticare che il primo stato al mondo che legalizzò l’aborto fu l’Unione Sovietica di Lenin, cioè il paese dove l’ideologia al potere prevedeva che alcuni milioni di uomini fossero sacrificabili per la liberazione del resto dell’umanità: i bolscevichi applicavano coerentemente il principio della disponibilità della vita umana in tutti gli ambiti a cui poteva essere applicato.
Cattolici di sinistra
Pd e Leu, ultime reincarnazioni eretiche del comunismo (l’eresia consistendo nella loro evoluzione radical-borghese), hanno abbandonato gli ideali anticapitalisti del bolscevismo, ma hanno conservato l’eredità demoniaca del principio della disponibilità della vita umana: lo hanno imposto in materia di fecondazione assistita con l’ausilio di giudici costituzionali felloni, vorrebbero presto estenderlo all’eutanasia, alla droga libera, ecc. I cattolici che negli ultimi anni si sono avvicinati a questi partiti e hanno proclamato la legittimità del voto a loro favore dovrebbero fare autocritica, o perlomeno rendere ragione pubblicamente della loro problematica scelta. E il discorso andrebbe allargato a tutti i cattolici “europeisti” che sembrano non avere coscienza del fatto che il principio della disponibilità della vita umana oggi permea profondamente le istituzioni dell’Unione Europea, a cominciare dal Parlamento europeo.
Rodolfo Casadei
7 ottobre 2018
Aborto. Perché i progressisti si stracciano le vesti per Verona