Dopo una sosta forzata per motivi di salute, padre Timothy Radcliffe, il domenicano inglese già Maestro dell’Ordine dei Frati Predicatori, è tornato alla sua missione di conferenziere in giro per il mondo. Dal 22 al 26 ottobre sarà in Italia per una serie di incontri che interesseranno, in successione giornaliera, Vicenza, Brescia, Milano, Bergamo e Parma.
E proprio in questi giorni è giunto in libreria, per i tipi dell’Editrice Missionaria Italiana, l’ultimo testo in italiano che porta la sua firma: si tratta di una raccolta di interventi in diverse sedi dal titolo Alla radice la libertà. I paradossi del cristianesimo (pp. 160, € 15,00). Fra i temi trattati anche la sua lotta contro il cancro («ero un po’ come quei personaggi dei cartoon che continuano a camminare e si accorgono dopo un po’ del burrone sotto di loro…») e la questione migranti («lo straniero apre un po’ la nostra identità all’umanità intera. Diventiamo più cattolici, più universali»).
A lui abbiamo rivolto alcune domande sulla situazione del cristianesimo oggi con particolare riferimento all’Europa.
– Padre Radcliffe, in passato lei ha parlato e scritto sul ruolo della fede in Europa: che cosa è cambiato oggi? Cosa significa essere cristiani nell’Europa del 2018?
L’Europa oggi è molto varia e poi io posso solo riferirmi alla mia limitata esperienza. Due cose direi che si evidenziano. In primo luogo, i giovani sono alla ricerca di un significato per la loro vita. Molti sono scettici sul consumismo della generazione precedente. Bevono meno, hanno meno voglia di sesso e sono più consapevoli delle minacce che attentano al nostro pianeta. C’è un nuovo idealismo. Molti giovani, nell’intento di dare un senso a tutto ciò, guardano al cristianesimo con occhi nuovi e lo posso constatare a Oxford.
Allo stesso tempo, si registra però un sentimento di vergogna nei confronti della crisi a seguito degli abusi sessuali e il grande danno che questa ha arrecato ai giovani più vulnerabili. Questo ha davvero screditato la Chiesa agli occhi di molti. E allora come può risplendere la bellezza della nostra fede? Credo sia possibile. Un giovane studente mi ha detto due giorni fa: «Siamo cresciuti sapendo dello scandalo degli abusi: è tremendo dirlo, ma questo non ha scosso la nostra fede».
– L’Europa, o meglio, l’intero mondo occidentale, sta chiudendo sempre più i suoi confini, quasi rifiutando quella globalizzazione che pure ha costruito. Cosa può fare il cristianesimo per offrire un contributo così da invertire questa tendenza?
La sfida è quella di scoprire lo straniero come un fratello o una sorella. Per fare questo dobbiamo riconoscere che la globalizzazione è sia una benedizione sia una maledizione. Ci mette in contatto con l’intera umanità. Apre le nostre menti. Papa Benedetto ha scritto molto efficacemente riguardo al fatto che questa nuova connettività possibile attraverso il web rinvii anche alla nostra connessione in Cristo. Ma, contemporaneamente, essa è anche fonte di disgregazione e mina alla radice le comunità locali. In Gran Bretagna, forse meno in Italia, finisce talvolta per sovvertire il senso di appartenere a qualche luogo, alimentando il rifiuto degli immigrati.
La Chiesa ha qualcosa di meraviglioso da offrire: è l’istituzione più globale che sia mai esistita ed è collegata all’umanità dell’intero mondo, ma è anche l’istituzione più locale che esista poiché, quasi ovunque, si articola in una parrocchia locale, o è legata a una comunità religiosa locale o un monastero. La Chiesa è un posto dove è possibile appartenere a livello locale. E così la Chiesa dovrebbe aiutare le persone ad avere una forte identità locale, radicata nelle tradizioni e nella lingua di un luogo ben preciso ma, al contempo, avere anche un’identità globale, a proprio agio nell’accogliere lo straniero.
– Lei è nato nel Regno Unito, un’isola che è stata anche un Grande Impero coloniale. Oggi il Regno Unito ha scelto la Brexit. Che cosa può dirci riguardo a questi sentimenti di chiusura e di separazione che invadono l’Europa (tra nazionalismi e sovranismi) che ci fanno ritornare al clima del secolo scorso?
Per prima cosa lasciatemi dire che sono profondamente dispiaciuto per la Brexit. Il 70% dei giovani, di età inferiore ai 25 anni, ha votato per restare nella UE. E sono convinto che ci sia ancora la possibilità che non ce ne andiamo!
Quanti hanno votato per la Brexit, così come quanti hanno votato per il presidente Trump negli Stati Uniti e per molti partiti populisti in Europa, sono spesso coloro che si sentono lasciati indietro. Gli operai delle vecchie industrie costrette a chiudere, e che erano soliti votare per i partiti progressisti, spesso hanno virato bruscamente a destra perché si non sentivano più rispettati. Hanno perso ogni fiducia nell’establishment politico. Registrano la radicale disuguaglianza che sta dividendo la nostra società e si sentono esclusi. È un grande urlo di rabbia e di disperazione. Quindi la Chiesa ha bisogno di essere accogliente nei confronti degli immigrati, di essere vicina a coloro che non si sentono più a casa all’interno dei loro stessi Paesi. Come può qualcuno accogliere lo straniero nella sua casa, se a sua volta non si sente a casa?
– Anche i cristiani delle diverse confessioni sembrano allontanarsi: la distanza tra ortodossi, anglicani e luterani si sta allargando. Le Chiese ortodosse si stanno separando, come in Ucraina… Che spiegazione dà a tutto questo?
Quando ho visitato l’Ucraina per la prima volta, un quarto di secolo fa, c’erano già divisioni nette tra le diverse Chiese ortodosse. Niente di nuovo. Le tensioni tra Istanbul e Mosca su chi sia il centro del mondo ortodosso finiscono per scontrarsi in Ucraina.
Se guardiamo alle altre Chiese cristiane, è vero che talvolta le divisioni si vanno facendo più ampie. L’ordinazione delle donne da parte degli anglicani significa che il sogno dell’unità si allontana. Ma in qualche modo, le diverse Chiese sono anche più vicine. Nella pratica leggiamo gli stessi libri, condividiamo le nostre liturgie, parliamo nelle chiese gli uni degli altri. Ho appena trascorso una settimana a parlare con 500 persone che lavorano nelle cattedrali anglicane di Gran Bretagna e io stesso sono un canonico della cattedrale anglicana di Salisbury.
Anche se l’obiettivo dell’unità istituzionale sembra più lontano, i legami di amicizia sono certamente più saldi. Se c’è amicizia, chi potrà dire cosa accadrà in futuro? Papa Giovanni Paolo II disse all’arcivescovo di Canterbury: «se abbiamo una collegialità di tipo affettivo, poi seguirà anche una collegialità effettiva».
– Esiste forse un nuovo ruolo per il papa in questa difficile situazione? Il papato ha speso (ahimè, invano) molte parole per evitare le due guerre mondiali del ventesimo secolo: qual è il ruolo del papa oggi? Quale potrebbe essere, secondo lei, il suo contributo per aiutare l’Europa?
Papa Francesco è una vasta autorità morale. È vero che recentemente questa è stata un po’ intaccata dalla crisi degli abusi sessuali da parte del clero. Lui viene percepito come non aver reagito con adeguata decisione. Personalmente penso che questo non sia vero e che lui stia facendo tutto quanto sta nelle sue possibilità. Nonostante ciò, egli rimane la persona più rispettata nel mondo intero. Solo ieri un amico ateo mi ha detto che gli piaceva papa Francesco! Lui ci richiama tutti quanti alla nostra vocazione alla bontà. La sua generosità di cuore tocca anche la nostra. Il suo appello è quello di farci uscire dai nostri mondi ristretti per essere invece aperti all’umanità intera. E ci ricorda che la santità è possibile per tutti noi.
– Oggi la questione migratoria divide le società europee, ma divide anche la Chiesa cattolica al suo interno: come è possibile? Abbiamo tutti lo stesso vangelo …
La Chiesa è profondamente divisa su quasi tutte le questioni. Tutti quanti soffriamo per una drammatica polarizzazione non solo nella società, ma nella Chiesa. È forse peggiore negli Stati Uniti, ma è ben presente anche in Europa. Eppure il cristianesimo ha sempre abbracciato le differenze! Voi dite che abbiamo lo stesso vangelo ma, grazie a Dio, abbiamo quattro Vangeli, ognuno diverso. Il Nuovo Testamento abbraccia le differenze senza alcuna concorrenza! Abbiamo l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento in un’unica Bibbia.
La nostra società ha paura delle differenze, ma la Chiesa non dovrebbe averne. I mezzi di comunicazione sociale, blog, siti web ecc… ci conducono tutti verso le persone con le quali siamo d’accordo! Ma in questa fase in cui la società è così divisa, la Chiesa dovrebbe testimoniare la bellezza della diversità. La diversità è feconda, letteralmente, sia con uomini sia con donne! Se non sono d’accordo con qualcuno, significa che abbiamo qualcosa da insegnarci a vicenda, nel momento in cui cerchiamo una verità più universale, cioè più cattolica.
– Nei suoi viaggi in giro per il mondo, quanto si è vergognato di essere un cristiano europeo e quanto ne è stato orgoglioso?
Mi sono recato spesso in Iraq e lì mi sono vergognato di essere un cittadino occidentale, soprattutto perché la Gran Bretagna è stata alleata degli Stati Uniti nelle guerre irachene che hanno portato a conseguenze così terribili. Ovunque ho constatato i risultati disastrosi di interferenze stupide e ignoranti dell’Occidente nelle politiche interne di altri paesi, creando il caos che ha alimentato la crescita dell’ISIS.
Mi sento invece orgoglioso della coraggiosa testimonianza dei religiosi europei in Algeria, che spesso ha portato al martirio. Penso ai monaci delle montagne dell’Atlante (i monaci di Tibhirine, ndr) e al vescovo Pierre Claverie, domenicano, che saranno beatificati a dicembre e che sono rimasti dove erano per essere vicini ai loro amici musulmani in un momento di grave pericolo, sebbene sia costato loro la vita.
– In questo momento i giovani non hanno più fiducia nel futuro: non si fidano più dei politici, o della Chiesa, specialmente dopo gli scandali e le testimonianze contrarie al Vangelo, i discorsi fuori dal tempo, le liturgie incomprensibili… In Occidente abbiamo già perso un’altra generazione?
È indubbiamente vero che molti giovani stanno lasciando la Chiesa. Ma, come ho detto in risposta alla prima domanda, molti sono anche quelli che restano e ci sono anche nuovi convertiti. Quando guardo i giovani che si uniscono al nostro Ordine in Gran Bretagna, sono fiducioso che questa crisi attuale purificherà la Chiesa e nascerà qualcosa di nuovo. Forse, come accade ad ogni neonato, la Chiesa rinnovata sarà più piccola, ma sono sicuro che crescerà di nuovo.
Non dobbiamo aver paura delle crisi. Possono anche essere fonte di nuovo entusiasmo. L’eucaristia ci ricorda la peggiore crisi della storia della Chiesa, quando Gesù andò incontro alla passione e alla morte e tutti i suoi discepoli stavano per scappare. Fu allora che ebbe inizio qualcosa di nuovo e di meraviglioso.
– Lei è un frate domenicano che ha come motto “Laudare, benedicere, praedicare“ (il 2016 è stato il “Jubilaeum 800 Ordo Praedicatorum”): qual è il compito dei religiosi e delle donne in Europa e nel mondo?
I religiosi prendono dei voti che al giorno d’oggi sembrano una pazzia, ma credo anche che siano una strada verso la libertà.
Il voto di obbedienza non ci chiama ad essere dei robot privi di intelligenza che fanno semplicemente ciò che ci viene detto. L’obbedienza è la nostra promessa di affidare la nostra vita alla comunità e alla predicazione del Vangelo. È una forma di libertà. Come in Isaia 6, diciamo: “Eccomi, manda me!”.
Il voto di castità è la libertà di amare con un cuore privo della volontà di possesso: rende possibile una meravigliosa intimità con molte persone. È una libertà difficile da acquisire e si commettono certamente errori lungo la strada, ma è bello quando arriviamo a questo punto.
La povertà è un’altra forma di libertà: siamo liberi dal peso dei beni individuali (anche se a volte abbiamo il peso degli antichi edifici!). Siamo liberi di avviarci sulla strada. La mia speranza è quella che, in una società come quella attuale che è tentata dal fatalismo, come religiosi possiamo essere segno della libertà dei figli di Dio.
– Da alcuni mesi, lei ama ricordare in pubblico l’esperienza della sua malattia. Di recente è stata pubblicata l’edizione italiana del diario di Michael Paul Gallagher sj (scritto quando aspettava la morte): che cosa limita l’uomo moderno nel pensare alla sua morte? Riflettere sul fatto che la nostra vita avrà una fine potrebbe aiutare gli europei ad evitare chiusure ed egoismi e a diventare una sola famiglia?
L’esperienza della mia mortalità, quando ho avuto il cancro, mi ha rivelato che la vita è un dono. Non è indispensabile la mia esistenza! Dio dona a me la mia esistenza in ogni momento. Se abbraccio questa intuizione posso vedere che la vita di tutti quanti è un dono che viene da Dio ed è un dono per me. Potrei persino imparare a rallegrarmi per il dono di un fratello domenicano che mi sta facendo impazzire! Inoltre, se la mia vita attuale è un dono, allora devo goderne e viverla pienamente. Vivere bene ora è la migliore preparazione per vivere nell’eternità. In effetti, la vita eterna inizia ogni volta che mi rivolgo agli altri con sentimenti di amore e di gioia.
(a cura) di Maria Teresa Pontara Pederiva
15 ottobre 2018
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