I centri per l’impiego che dovrebbero trovare lavoro a 5 milioni di persone non funzionano e, come ricordato dalla Caritas a Di Maio, «la povertà non è solo mancanza di reddito».
Il Consiglio dei ministri ha approvato tre diversi provvedimenti (la manovra e due decreti legge) annunciando finalmente come intende tenere fede alle promesse della campagna elettorale e con quali risorse. Nove miliardi verranno stanziati dal governo per il reddito di cittadinanza, il cavallo di battaglia del Movimento 5 stelle. Ancora non è disponibile il testo della misura, ma grazie al Documento programmatico di bilancio è possibile chiarire di che cosa si tratterà davvero.
CHI NE HA DIRITTO
Circa 5 milioni di persone, secondo i calcoli del governo, potranno chiedere il sussidio che arriva a un massimo di 780 euro al mese, non più di 9.390 euro all’anno. A queste persone si aggiungono 1,5 milioni di pensionati, la cui pensione minima salirà a 780 euro al mese, cifra che si riduce in caso di proprietari di immobili. Possono ottenere il reddito di cittadinanza solo cittadini maggiorenni disoccupati o inoccupati con reddito annuo al di sotto della soglia relativa della povertà, appunto 780 euro. Chi farà richiesta del sussidio, dovrà frequentare corsi di riqualificazione e svolgere otto ore a settimana di lavori socialmente utili nel proprio comune.
MONDO DEL LAVORO
L’obiettivo è l’inserimento nel mondo del lavoro: saranno i centri per l’impiego a gestire la domanda e l’offerta. Quei cittadini che rifiuteranno fino a tre offerte di lavoro, perderanno l’assegno. Il sussidio non andrà solo agli italiani, ma anche agli stranieri: basterà che siano residenti in Italia da almeno cinque anni, anche se il vicepremier Luigi Di Maio aveva negato questa possibilità domenica. La cifra, infine, sarà caricata su un bancomat e un’app monitorerà gli acquisti, che dovranno riguardare solo beni di prima necessità.
«SERVONO 8 MILA ASSUNZIONI»
Di Maio vorrebbe cominciare a distribuire il reddito di cittadinanza nei primi mesi del 2019, ma secondo le Regioni è impossibile. «La nostra preoccupazione è legata alla strumentazione complessiva che va messa in campo», dichiara alla Stampa Cristina Grieco, coordinatrice degli assessori regionali al Lavoro, spiegando perché le Regioni non hanno ancora dato il via libera al ministero per lo Sviluppo. «Occorre raddoppiare anche gli organici dei centri per l’impiego passando da 8.000 a 16.000 addetti. Vanno banditi dei concorsi e sappiamo bene che certe procedure sono incomprimibili».
IL PROBLEMA DEL 3 PER CENTO
Secondo gli esperti, però, non sarà facile potenziare i centri di impiego, che in Italia non funzionano. Come spiegato in un articolo su Avvenire da Francesco Seghezzi e Michele Tiraboschi, attualmente «ciascuno degli attuali 8 mila addetti degli uffici del collocamento si vedrebbe affidate 750 persone, per le quali dovrà procedere alla individuazione di (un massimo di) tre proposte di lavoro. Una situazione che pare difficilmente sostenibile». Inoltre, «solo il 50% dei Cpi svolge opera di accompagnamento al lavoro e orientamento e solo il 54% svolge servizi di vero e proprio incontro tra domanda e offerta di lavoro». Infine, «appena il 3% dei disoccupati trova lavoro grazie al loro aiuto».
IL DRAMMA DELLA POVERTÀ
Il reddito di cittadinanza ha come scopo quello di rispondere ha un problema reale e doloroso. Come si legge nell’ultimo rapporto della Caritas, uscito ieri, il numero dei poveri assoluti è aumentato in Italia e ha superato i 5 milioni (+182% rispetto agli anni pre-crisi). Analizzando le 200 mila persone che si sono rivolte alla Caritas nel 2017, il direttore don Francesco Soddu spiega che «ancora oggi la rottura dei legami familiari costituisce un fattore scatenante dell’entrata in stato di povertà e bisogno».
NON È SOLO UN PROBLEMA DI REDDITO
Continua don Soddu: «La povertà non è solo mancanza di reddito o lavoro: è isolamento, fragilità, paura del futuro». È soprattutto questo, più che l’inefficienza dei Cpi, il motivo per cui uno strumento assistenzialista come il reddito di cittadinanza non «abolirà la povertà» come sbandierato dal vicepremier Di Maio. Il direttore della Caritas ha aggiunto infatti che «come cristiani abbiamo qualche difficoltà a pensare che si possa abolire la povertà», anche se «sappiamo che ogni storia riconsegnata alla sua dignità e alla sua libertà rende migliore il nostro Paese». Ma poiché la povertà non è solo un problema economico, non basta «dare una risposta unidimensionale a un problema multidimensionale, sarebbe una semplificazione» che rischia di vanificare ogni impegno finanziario.
Leone Grotti
18 ottobre 2018