Il giorno della disfatta è il 12 luglio 2015. La “cura” del rigore è stata pesantissima ed è durata tre anni.
Il calvario della Grecia inizia nell’autunno del 2009, quando il primo ministro Papandreu, Pasok e appena arrivato al governo, rivela che i conti grazie ai quali la Grecia era entrata nell’euro una decina d’anni prima erano stati truccati, con l’attiva complicità di Goldman Sachs. Quei conti erano in effetti stati rimaneggiati di brutto, un 12% di deficit era magicamente sceso al 3%. In realtà lo sapevano tutti. Ciò nonostante la Germania aveva finto di credere ai conti sballati della Grecia perché solo con l’ingresso delle economie deboli dei paesi meridionali sarebbe stato possibile evitare un euro troppo forte, e di conseguenza negativo per le esportazioni tedesche.
All’inizio del 2010 le agenzie di rating declassano i titoli greci che diventano così ‘ spazzatura’. Impossibile dunque finanziare il debito ricorrendo al prestito dei mercati. Resta solo il salvataggio internazionale. Il Piano di aiuti per 110 mld viene chiesto dalla Grecia in maggio e concesso dalla ue e dall’Fmi, anche perché il crollo della Grecia comporterebbe danni pesantissimi per le banche francesi soprattutto e poi tedesche esposte rispettivamente per 50 e 30 miliardi. L’ex presidente della Bundesbank Otto Pohl spiegava la situazione senza perifrasi: «Si trattava di proteggere le banche tedesche, ma soprattutto francesi, dalla cancellazione del debito greco.
Il giorni in cui il pacchetto di salvataggio è stato approvato le azioni delle banche francesi sono salite del 24%: Potete vedere cosa era realmente in gioco: salvare le banche e i ricchi greci».
Una serie di calcoli di alcuni economisti italiani ipotizzavano nel 2015 che il grosso degli aiuti non sia andato alle banche francesi e tedesche ma soprattutto alla finanza greca, quelli che Pohl definiva ‘ i ricchi greci’. Di certo arrivò solo in minima parte ai cittadini greci, i quali in compenso dovevano subìre le durissime conseguenze delle condizioni imposte dalla troika in cambio del prestito: tagli vertiginosi alla spesa pubblica, licenziamenti di massa, colpi di maglio alle pensioni e alla sanità. Le banche europee e la finanza locale se la cavarono benissimo. La Grecia invece è in ginocchio e nel 2011 deve chiedere un secondo piano di aiuti.
La Germania si oppone, soprattutto per motivi di politica interna. Gli elettori non vogliono sborsare per salvare ‘ i fannulloni del sud’, oltre che le loro banche e nonostante le responsabilità della Germania nel aver permesso la truffa greca per entrare nell’euro siano evidenti. Nasce così la troika, composta da Bce, Fmi e Commissione europea, che dà vita al fondo salva Stati e convince la Germania ad accettare il nuovo piano di salvataggio. L’erogazione di altri 130 mld, buona parte dei quali finalizzata alla ricapitalizzazione delle banche greche, viene approvato nel febbraio 2012. Prevede una misura detta ‘ haircut’: il valore dei i titoli in possesso dei privati viene dimezzato. Le banche però avevano nel frattempo provveduto ad abbattere il più rapidamente possibile la loro esposizione.
Allo stanziamento si accompagna l’imposizione di nuove misure durissime. I disoccupati sono ormai una marea, la sanità pubblica è scomparsa, persino rifornirsi dei generi di prima necessità diventa difficile. «Fu un errore», ammeterà quattro anni dopo Christine Lagarde, presidente dell’Fmi. Intendeva un errore tecnico, non politico: «Si è fatto un errore evidente nel calcolo dei moltiplicatori.
Sia noi che la Ue avevamo sottostimato l’effetto recessivo di alcune delle misure imposte alla Grecia». Tecnicamente, le teste d’uovo del Fondo e della Ue avevano calcolato un moltiplicatore di contrazione dello 0,5% invece che dell’ 1,5%.
La crisi abbatte la popolarità del Pasok e alle elezioni del gennaio 2015 trionfa Syriza, la formazione della sinistra radicale guidata da Alexis Tsipras. Il suo governo, con l’economista Yanis Vaufakis ministro dell’Economia, deve ristrutturare il debito e rifiuta le condizioni durissime poste dai creditori. E’ un braccio di ferro durissimo che si prolunga per mesi. Il 30 giugno Tsipras rifiuta il rimborso di una rata da 1,6 mld all’Fmi. Chiude le banche, blocca la circolazione di capitale, limita i prelievi. Indice per il 5 luglio un referendum sull’accettazione o meno delle condizioni poste per ristrutturare il debito. Appena annunciato il referendum, la Bce taglia la liquidità d’emergenza alle banche greche. La consultazione però assegna lo stesso una vittoria netta alla linea del governo.
L’ultimo round si combatte in una estenuante riunione durata oltre 17 ore, nella notte tra il 12 e il 13 luglio. Messo con le spalle al muro dai leader europei, nonostante il parere di Varufakis che vorrebbe resistere perché convinto che il default della Grecia sia un prezzo troppo alto per la troika, Tsipras decide di ignorare il risultato del referendum e arrendersi.
Pesa sulla scelta il timore di un golpe militare che riporterebbe la Grecia al 1967.
Il 20 agosto scorso la Grecia è uscita, dopo otto anni, dal programma di salvataggio, nel quale sono stati stanziati 289 mld di euro. Oltre un terzo della popolazione è nel frattempo finito in povertà, i redditi sono diminuiti del 30%.
Paolo Delgado
21 ottobre 2018