Il Sinodo mondiale dei Vescovi dedicato ai problemi e ai valori dei giovani ci spinge ad alcune riflessioni su di un argomento così importante per il futuro della società e della Chiesa.
La questione fondamentale che tocca il giovane è quella della sua formazione. Il giovane è un uomo in formazione in vista di entrare a pieno titolo, con un proprio ruolo e una propria missione affidatagli da Dio e nel contempo da lui concepiti e progettati, nella società e nella Chiesa, al fine di dare il suo contributo originale per il loro progresso e il loro emendamento.
Il giovane è chiamato ad apprendere e a raccogliere l’eredità dei padri e ad arricchirla con il suo apporto personale, da trasmettere ai figli. Egli può assumere per certi aspetti un’attitudine critica verso questa eredità, ove si accorgesse di sue lacune e suoi difetti. Può anche capitare, però, che egli, per limitatezza di intelligenza o indisciplina, non sappia apprezzarne certi aspetti o che per presunzione pretenda di cambiare o correggere, credendo di innovare o semplificare o riformare ciò che invece in essa è ancora valido e va conservato. In tal caso egli non si fa attore di progresso, ma di regresso o decadenza. Il modernismo nacque da un atteggiamento del genere.
Il giovane è capace di autoformazione. Ma anche il giovane più intelligente e dotato della migliore buona volontà, ha assoluto bisogno di maestri, padri, guide, formatori, accompagnatori, educatori, insegnanti. Anzi è segno di intelligenza, nel giovane, avere l’umiltà di riconoscere questo e ricorrere a chi ne sa più di lui, sapendo scegliersi i padri e i maestri. Ciò non esclude affatto che egli abbia, in certe circostanze, da correggere il suo stesso maestro e formatore. Tocca allora a questi avere l’umiltà di accettare la correzione o l’integrazione che gli viene dal discepolo.
Problema essenziale nel giovane è quello della scelta della propria vocazione o comunque del proprio orientamento di vita, sia essa al matrimonio o al sacerdozio o alla vita religiosa. Responsabilità dell’ambiente educativo è quella di offrigli un ventaglio di possibilità, tra le quali scegliere. Essenziale per la formazione del giovane, per non essere frastornato da falsi ideali o incastrato in qualche gabbia o non essere intruppato in un’organizzazione di regime, è che egli possa vivere in una società libera e in una Chiesa aperta e pluralista.
L’educatore, il genitore, l’insegnante, il sacerdote, la guida spirituale, l’amico maturo e fidato, la comunità ecclesiale, parrocchiale o religiosa o laicale spontanea o istituzionale, uomini o donne, svolgono qui una funzione essenziale e provvidenziale nell’aiutare il giovane nel discernimento ed alla riflessione sul proprio avvenire, col sostegno della preghiera e dei sacramenti, nonché delle attività culturali, sociali, liturgiche, caritative e ricreative.
In ogni caso i maestri devono mettere in conto non con rassegnazione ma con piacere che i loro discepoli, valendosi dell’eredità ricevuta, andranno più avanti di loro. Infatti il maestro non trasmette al discepolo la totalità del sapere, ma gli comunica il suo punto d’arrivo, che per il discepolo sarà punto di partenza. E inoltre il maestro lascia al discepolo un metodo di ricerca e di apprendimento, che potrà servire per nuove scoperte, un metodo che peraltro il discepolo potrà perfezionare.
La Rivoluzione del Sessantotto ha messo in luce il fatto che lo studente non è una tabula rasa, una porzione di plastilina, un semplice vaso da riempire o recettore passivo nei confronti del docente, un nastro registratore che riproduce esattamente tutto quello che il docente dice, ma è un soggetto libero, creativo e responsabile, dotato di un proprio senso critico e di un sapere precedentemente acquisito, indipendentemente da quello del docente, un sapere per il quale lo studente può integrare e, all’occorrenza, «contestare», ossia correggere quello dell’insegnante.
Fu la cosiddetta epoca della «contestazione», nella quale, come è noto, si ebbero degli eccessi, per i quali studenti esaltati o politicizzati, presenti persino nei seminari, convinti di vivere una palingenesi storica o in un clima insurrezionale sul tipo della Rivoluzione Francese, finirono per creare grave intralcio all’opera dei docenti da loro giudicati funzionali al sistema dello sfruttamento capitalistico o succubi di una Gerarchia ecclesiastica a loro giudizio retrograda e superata dal rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II.
La contestazione si estese nell’ambito della teologia con un’opposizione arrogante di stampo modernistico e filomarxista allo stesso Magistero pontificio fino a Papa Benedetto XVI. Con Papa Francesco, ammiratore del Sessantotto, si è avuta una svolta, in quanto il Papa è cedevole nei confronti delle posizioni modernistiche e marxisteggianti, sicchè oggi l’opposizione al Papa viene dai suoi stessi figli cattolici, desiderosi che il Papa compia il suo dovere di Papa, ossia lasci perdere il populismo secolaresco e sia invece zelante nella promozione e nella custodia della sana dottrina, dei buoni costumi cattolici e nella lotta all’eresia.
Se nel Sessantottola contestazione giovanile attaccava il Magistero del Papa, oggi la gran parte dei giovani è manovrata dai modernisti penetrati nello stesso episcopato e nelle istituzioni educative della Chiesa, con la connivenza di Papa Francesco, il quale, quindi, come si può capire, è da loro considerato il loro leader rivoluzionario. Solo i giovani, per la verità assai rari, i quali desiderano la verità cattolica, sono scontenti dell’opportunismo ambiguo e dei cedimenti al mondo di Papa Francesco.
La Chiesa, patrona di numerosi istituti religiosi dediti all’educazione dei giovani, ha sempre avuto somma cura della loro formazione, soprattutto dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa, esperta com’è della loro psicologia, delle loro debolezze e qualità, sempre aliena dal lisciarli e dall’adularli, cosa oggi purtroppo frequente fra certi educatori, che hanno un successo facile ma effimero e diseducativo.
La mentalità sessantottina infatti ha avviato un certo giovanilismo, un’idolatria del giovane, che sotto colore di rispettarne la dignità e di soddisfarne le esigenze, in realtà gli è dannosissima, perché affidandogli un potere e un’autorità che non ha, lo si abbandona a se stesso ed accontentandolo nelle sue passioni disordinate, ne fa un vizioso e un maestro di vizi.
Si tende così a vedere nel giovane non tanto una persona che deve ascoltare ed imparare, quanto piuttosto una persona che si deve ascoltare, quasi fosse il profeta di una nuova morale, o addirittura di una nuova umanità. Bisognerebbe allora modificare l’incipitdella Regola di S.Benedetto. Al posto di: Ausculta, fili, bisognerebbe mettere: Ausculta, pater.
Lo slogan «ascoltare i giovani», che sembra il programma del Sinodo, è una parola ambigua, o che quanto meno va spiegata, perché, se si intende ascolto delle loro difficoltà e delle loro legittime esigenze per dar loro un’adeguata risposta ed offrire un valido aiuto educativo, va bene.
Ma se si intende il sessantottesco ascoltare il giovane, quasi che ogni giovane in quanto giovane debba essere l’infallibile profeta del futuro, è una grossa impostura a danno innanzitutto degli stessi giovani. Il giovane onesto è consapevole delle propria fragilità e delle proprie incertezze, per cui la cosa che desidera anzitutto è incontrare un vero maestro, che alla fine è Cristo nella Chiesa.
L’atteggiamento cartesiano, estremamente presuntuoso, del giovane, che, vittima della superbia, pretende di invalidare tutto l’esistente attorno a sé, per far scaturire dal proprio io la salvezza del mondo e far da maestro a tutti, non è affatto da ammirare come libertà e saldezza di pensiero e genialità speculativa, ma è da compiangere e da aborrire come follia e somma disgrazia foriera di immani disastri, come dimostra l’influsso cartesiano nella cultura e nella storia europee di questi ultimi quattro secoli.
Nessuno nega che la storia futura sarà edificata e fatta progredire da uomini del nostro tempo, che oggi godono della bellezza e sentono le ansie della gioventù. Ma saranno giovani selezionati ed ottimamente, anzi eccellentemente formati,a parte le loro doti di natura e i doni che riceveranno dallo Spirito Santo.
Compito arduo ma sublime, che allora s’impone ai Vescovi del Sinodo, se vogliono essere all’altezza della loro missione di maestri, padri e pastori, sarà quello di operare un’attentissima selezione tra i numerosissimi dati fatti a loro pervenire da moltissimi giovani, al fine di mettere in evidenza con saggezza e prudenza, illuminati dallo Spirito Santo e in comunione collegiale col Successore di Pietro, quanto di più importante e interessante in essi vi può essere per offrire ai giovani un messaggio di lode per il loro contributo alla Chiesa e alla società, di ringraziamento a Dio per i doni ad essi conferiti, un incoraggiamento a continuare con generosità il loro servizio, uno stimolo a seguire la via ardua ma sublime del Vangelo, un’esortazione a trovare nella Chiesa la comunità della salvezza e il faro che illumina il cammino dell’umanità.
Quello che ci auguriamo e per cui preghiamo è che il Sinodo non si lasci suggestionare dal giovanilismo sovversivo e contestatore del Sessantotto, i cui frutti amari sono l’attuale dilagare dell’eresia, dell’apostasia e della corruzione morale e sessuale, ma, nell’ascolto dello Spirito Santo e nella fedeltà alla sana dottrina, abbia la saggezza e la forza di proteggere i giovani dalle insidie del demonio e di indicar loro le vie di una purificazione e di una riforma della Chiesa, che prepari l’avvento di una «Nuova Pentecoste».
Padre Giovanni Cavalconi