Gentile direttore, qualche giorno fa ho visto un’avventata signora buttare nell’immondizia dei pezzi di pane. Un gesto sconsiderato che in cuor mio mi ha fatto gridare al sacrilegio. I miei genitori, se proprio era ammuffito e inutilizzabile, prima di sbarazzarsene lo baciavano tre volte, un’usanza antica che testimoniava quanto gettare il pane facesse sentire in colpa.
Nondimeno, questo cibo, sia pur raffermo, è ancora utilizzabile in e ottime maniere. Da sempre il pane è stato considerato sacro, sia per la sua importanza alimentare, sia per il suo alto valore simbolico. Un alimento che porta con sé tradizioni e significati che vanno oltre il semplice soddisfacimento corporale. E che non può finire ignobilmente nella spazzatura, come un qualsiasi torsolo di mela. Eppure, nessuno ammette di sprecare il pane, anzi tutti dicono che non lo farebbero mai: “Giammai!”. “Con tanta gente che muore di fame!”. “Sarebbe un peccato mortale!”. I nostri nonni ci hanno insegnato a non buttarlo mai via. Il pane gettato nei rifiuti significava non avere rispetto per il nostro cibo più importante. Il pane è legato alla vita, al lavoro, al bisogno di nutrimento, e anche alla generosità quando è condiviso con gli altri. ? per averne che l’uomo ha da sempre lottato e combattuto guerre infinite. E la sua mancanza è un incubo che pervade continuamente il pensiero dell’umanità. Ai nostri giorni il suo consumo è davvero trasversale, è uno dei pochi alimenti che accomuna davvero tutti, poveri e ricchi. E allora, rispettiamolo e amiamolo. Il pane è un piccolo, grande, inestimabile capolavoro dell’uomo. Peraltro è anche molto buono. Già… buono, proprio come il pane. Michele Massa, Bologna
Il pane, gentile e caro amico, è davvero importante nella nostra cultura civile e religiosa. E il suo spreco è un potente e specialissimo scandalo dentro il gigantesco scandalo dello spreco alimentare che caratterizza società come la nostra. Una società che – nonostante l’impoverimento di larghi strati della popolazione italiana ed europea nell’ultimo decennio – continua a essere parte integrante di quel quinto del mondo che consuma i quattro quinti delle risorse globali. Il «cibo sprecato» – ci ha ricordato con accorata chiarezza papa Francesco sin dall’inizio del suo pontificato – è sempre «cibo rubato ai poveri». Esserne consapevoli è l’inizio del cambiamento urgente e necessario. In Italia dall’agosto del 2016 disponiamo di una legge ad hoc che aiuta, incentiva e de-burocratizza le buone pratiche di donazione, recupero e distribuzione del cibo che altrimenti verrebbe buttato. L’ultima rilevazione ufficiale, resa nota lo scorso febbraio in occasione dell’annuale Giornata nazionale contro lo spreco alimentare, conferma che il clima creato da questa normativa è confortante e che: tra il settembre 2016 e lo stesso mese 2017 erano state raccolte e utilizzate ben 4.103 tonnellate di cibo, contro le 3.147 precedenti. Vedremo, tra qualche settimana, i dati per il 2018. Il problema non è ancora risolto, ma in Italia si è usciti dall’inerzia colpevole grazie anche a una legge che a differenza di quella varata in Francia non punta a sanzionare gli sprechi, ma a non penalizzare e premiare chi fa la cosa giusta. E mi piace sottolineare che in questa buona battaglia ci sono proprio tutti: realtà non profit del Terzo settore, grande distribuzione organizzata, negozi alimentari, bar e ristoranti (ben 264mila!).
Ma non voglio rinunciare a sottolineare a mia volta un punto sul quale lei, gentile signor Massa, ragiona con delicatezza e un po’ di sana nostalgia per la saggia perizia con cui per generazioni gli italiani hanno saputo riciclare con gustosa fantasia quasi ogni avanzo della tavola e soprattutto l’immancabile e prezioso pane. Ho la sua stessa esperienza – come, ne sono certo, tanti lettori e amici – di questo assoluto rispetto del pane. Ricordo sempre il modo con cui mia nonna Luigia metteva religiosamente in tavola il pane quotidiano nella nostra casa di Assisi. Ero molto piccino, ma le sue parole mi si sono come scolpite nella mia memoria: “Mai rovesciata, Marco, mai rovesciata. Anche questa pagnotta è il volto di Gesù”. E mi ripeto, ogni giorno, che cosa lei e mia madre mi hanno insegnato: “Se un povero ti chiede pane, non puoi far finta di non sentire. Se non hai altro che quello che stai mangiando tu, devi togliertelo dalla bocca e darlo a lui”. Cerco di applicare questo insegnamento alla lettera, e non mi frena neppure il sospetto che qualcuno ogni tanto finga di aver fame, ma anche al cospetto di ogni altra fame e di ogni altro “pane” che è necessario saper condividere: giustizia, libertà, bellezza, onestà… Il pane è Gesù, i poveri sono Gesù. È tutto scritto nel Vangelo, nella storia che abbiamo vissuto, nelle cronache in cui siamo immersi. Ciò che sono oggi, ciò che provo a fare ogni giorno anche col mio mestiere di cronista e di “portatore di opinioni”, è frutto di queste lezioni semplici e vere, molto più grandi di me. Un cristianesimo solido e luminoso che non è solo fede e cultura degli italiani, ma che è certamente e profondamente nostro. Non posso neanche pensare che – tra sospetti, amarezze, disillusioni e parole cattive – venga dimenticato e, anch’esso, ridotto a “pane sprecato”. Non posso pensarlo e so che non è così, non comunque, non per tutti. E sono grato a tutti coloro che custodiscono il lievito, l’arte dell’impasto, il gusto e il senso del pane condiviso.
Marco Tarquinio
Avvenire.it
27 ottobre 2018