Cristiani in Corea del Nord. Sono ritenuti una minaccia politica e culturale per il regime perché mettono in discussione l’assolutismo del potere politico, hanno introdotto la laicità e riservano venerazione solo per Dio. Non sono un popolo assoggettabile.
Kim Jong-un, l’attuale presidente della Corea del Nord, ha proseguito molte cose iniziate da suo padre e suo nonno. Ad esempio le quotidiane atrocità e violazioni dei diritti umani, i campi di lavoro per i dissidenti, ha assassinato rivali politici e culturali, si è affermato come leader supremo e ha creato attorno a lui e alla sua famiglia un culto della personalità (in tutto il paese ci sarebbero oltre 40.000 statue della famiglia che devono essere pulite e adorate dal popolo nordcoreano).
Dichiaratamente ateo, il leader del Partito dei lavoratori della Corea (WPK) ha mantenuto vigente l’ateismo di Stato e ha specificamente preso di mira il cristianesimo. Recentemente si è parlato molto del suo invito ufficiale a Papa Francesco a visitare la Corea del Nord, nonostante da vent’anni sia in cima alla lista dei paesi più pericolosi per i cristiani. Si stima che vi siano tra gli 80.000 e i 120.000 prigionieri politici culturali, gran parte per motivi di religione. Molti sono esiliati, tra essi i coniugi cattolici Giuseppe Lim Young-jin e Amata Kim Mi-jin che ora vivono nella Corea del Sud e hanno aperto una fiorente panetteria, diventata un’eccellenza nazionale e un modello di carità ai poveri.
Dalla nascita alla morte, ai cittadini nordcoreani viene insegnata la propaganda di Stato. Un rapporto delle Nazioni Unite del 2014 ha rilevato che «lo stato considera la diffusione del cristianesimo una minaccia particolarmente seria, dal momento che sfida ideologicamente il culto della personalità e fornisce una piattaforma per l’organizzazione sociale e politica e l’interazione al di fuori del regno dello stato». Questo risponde alla domanda del perché Kim Jong-un consideri ancora oggi “pericolosi” i cristiani, perché li tema tanto da ritenerli una minaccia e una figura politica ostile.
La risposta è che i cristiani veri, autentici, rispondono ad un altro Signore. Non sono manipolabili, assoggettabili o controllabili dal potere, non si conformano alle regole del mondo e non temono minacce e persecuzioni. Lo mostra la loro stessa storia e quella del loro Maestro, Gesù di Nazareth. Il cristianesimo mette direttamente in discussione la stessa nozione politica di leader supremo: fin dal principio i cristiani proclamarono la loro obbedienza al potere imperiale ma rifiutarono di venerare l’imperatore come un dio, di bruciare incenso davanti alla sua effige, iniziando così la desacralizzazione del potere politico: nessun sovrano di un Paese cristiano, infatti, chiederà di essere adorato, al contrario degli imperatori romani, ed in generale quelli antichi, e come faranno sino al Novecento quelli comunisti (ad eccezione delle dittature di Cina e Corea del Nord, che continuato ancora oggi).
I cristiani hanno introdotto la laicità, la separazione tra Dio e Cesare e hanno sempre accettato l’autorità politica, il potere terreno ma mai sottomettendosi, riconoscendo soltanto un solo Signore. Il ruolo della Chiesa nei secoli è sempre stato quello di limitare il potere sovente tirannico dei sovrani. «La laicità», ha spiegato il filosofo Salvatore Veca, accademico e vicedirettore dell’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia, «intesa nel suo significato più autentico, appartiene al cristianesimo in modo irrinunciabile e costitutivo».
La redazione
Perché Kim Jong-un teme i cristiani? Non può controllarli, obbediscono ad un Altro