Si parla spesso oggi di misericordia di Dio verso l’uomo e dell’uomo verso il prossimo. Ma spesso si fa uso di un concetto errato di misericordia, per il quale la misericordia si rovescia paradossalmente o quanto meno dà spazio all’ingiustizia, alla sopraffazione, alla prepotenza, alla violenza, alla malvagità, alla crudeltà, alla vigliaccheria. Questo assunto non è immediatamente evidente, e perciò mi propongo di dimostrarlo.
Vediamo anzitutto qual è il vero concetto di misericordia umana e divina. E vedremo – e anche questo non viene sempre detto – che esistono gradi di misericordia. La misericordia in generale è aver cuore per il misero, per colui che non può ripagare e che non abbiamo il dovere di pagare: colui, quindi, che non può avanzar diritto ad essere pagato.
Il debitore paga; il misericordioso dona. Il creditore esige; il misero supplica. La giustizia corrisponde al merito; la misericordia dona al di là del merito. La giustizia esige il dovuto; la misericordia rimette il debito. La misericordia solleva il povero; la giustizia abbatte il tiranno. La misericordia consola il sofferente; la giustizia minaccia l’empio. La giustizia ferma l’oppressore; la misericordia libera l’oppresso. La misericordia perdona; la giustizia castiga. Occorre saper alternare e dosare con saggezza ora l’una, ora l’altra virtù a seconda dei bisogni e delle circostanze. Entrambe, per essere autentiche ed efficaci, devono nascere dalla carità, sull’esempio di Cristo e dei Santi.
Chi credesse di dover essere sempre e solo misericordioso è simile a uno che volesse usare il ventilatore non solo d’estate, ma anche d’inverno o uno che volesse usare il calorifero anche d’estate. I misericordisti lisciano e scusano i prepotenti, col pretesto della misericordia, come se avessero bisogno di essere compassionati; ma si ricordano della giustizia ed arrivano alla crudeltà, quando si tratta di opprimere i deboli.
Tuttavia, essere misericordiosi non è, come alcuni credono, un atto facoltativo, quando ci salta il ticchio, col pretesto che non siamo stretti da debiti di giustizia, ma invece è uno stretto dovere, quando sorge l’occasione e noi possiamo fare qualcosa. E il misero ha diritto di ricevere misericordia.
Il dovere di niessere misericordiosi, invece, è fondato sulla percezione della nostra comune umanità, è fondato sulla bontà e sull’amore, i quali tendono a dare indipendentemente dal ricevere. E il diritto del misero non si fonda su meriti, ma sulla sua stessa condizione di misero e bisognoso, purchè sia umile e non arrogante. Per esempio, accogliere gli immigrati è dovere di misericordia, ma essi devono meritarla con una condotta corretta e rispettosa delle nostre leggi.
Il misericordioso rimette il debito del misero che non può pagare. Non si attende di essere ripagato; ma è soddisfatto di dargli ciò di cui ha bisogno. Sente come propria la miseria del prossimo, e vuol rimediarvi come fosse la propria.
Il misericordioso si sente in dovere di dare al misero, come se il bisognoso fosse un creditore, che dev’essere pagato. E invece non c’è di mezzo un pagamento, un compenso o un premio, come avviene nella giustizia, ma solo il bisogno o la supplica da una parte e, dall’altra, la possibilità e la volontà amorevole e generosa di soddisfare a quel bisogno.
Per un certo verso, la misericordia dev’essere meritata, nel senso che il misero deve trovarsi in una condizione morale tale da non crearle ostacolo, ossia dev’essere o innocente o pentito del suo peccato. In tal modo il misero non solo non fa ostacolo alla misericordia, ma la attira a sè. E in tal caso il misericordioso ha il dovere di far misericordia.
Essa infatti soccorre gratuitamente il bisognoso e perdona la colpa o rimette il peccato; ma se il bisognoso è orgoglioso e il peccatore è attaccato al suo peccato o non fa misericordia, egli stesso si rende indegno della misericordia, pretendendo o di ricevere un impossibile perdono o che si passi sopra al suo peccato, come se non avesse fatto nulla di male. In questo caso, sperimenta la severità della giustizia.
Ma per un altro verso la misericordia è ricevuta gratuitamente, in quanto non suppone nel misero il diritto a un compenso, a una paga o ad un premio per una prestazione compiuta e precedentemente concordata. Il misericordioso, poi, per dare, non attende che l’altro gli sia creditore, ma gli basta il vederlo nel bisogno.
La misericordia è gratuita nel senso che non suppone nel misero un diritto a riceverla per meriti acquisti. E il misero non può esigere l’atto del misericordioso come fosse un compenso, ma deve solo implorarlo come una grazia. Si esige per giustizia; si implora per misericordia. Tuttavia l’atto della misericordia, benchè gratuito, è doveroso. Esiste un debito di misericordia, non assolvendo al quale, non si riceve misericordia.
Occorre ricordare che nel peccato ci sono due elementi: la colpa e la pena. La colpa è la stortura della volontà, la quale viene raddrizzata col pentimento, il quale, benchè atto del libero arbitrio, è nel contempo dono dalla misericordia divina, la quale in tal modo rimette o cancella la colpa. Invece la pena o castigo del peccato resta solitamente come occasione per far penitenza.
La colpa del peccato originale, per esempio, viene tolta dal battesimo; ma restano le conseguenze, che sono le pene della vita presente, che colpiscono anche gli innocenti – se proprio, tolti i neonati, esistono degli innocenti -, i quali hanno così modo di unirsi alla Croce di Cristo.
La misericordia divina può giungere anche a togliere la pena, come nel caso del figliol prodigo e della adultera – le uniche parabole che piacciono ai buonisti e ai misericordisti -, ma solitamente Dio permette la pena, che serve come sacrificio espiatorio, che raggiunge il vertice della sua valorizzazione ed efficacia nel sacrificio della Messa. Anche la giustizia umana, nella virtù della clemenza, già nota agli antichi Romani, può graziare un delinquente pentito.
False idee sulla misericordia
Chiarito che cosa è in generale la misericordia, occorre correggere alcune false idee della misericordia, oggi molto diffuse, per le quali la divina misericordia implicherebbe che Dio non castighi, perché – si dice – castigare è contro la misericordia.
Rispondiamo dicendo che è vero che Dio non può nello stesso tempo castigare e graziare una medesima persona. Ma nessuno pensa ad una cosa del genere. Infatti, Dio in realtà alterna gli atti della misericordia a quelli della giustiziapunitiva, giustificata, quest’ultima, dal fatto che l’uomo ogni tanto pecca senza pentirsi. Ora, Dio è misericordioso con i deboli e i pentiti; ma punisce il peccato del peccatore superbo e impenitente. Negare, quindi, che Dio castighi è come negare l’esistenza del peccato. Infatti il peccato è, per definizione, quell’azione cattiva che merita castigo.
I castighi divini, come avverte la Madonna nelle sue apparizioni, dovrebbero essere intesi come avvertimenti ed incentivi alla conversione. E invece purtroppo pochi ascoltano questi appelli e ne traggono vantaggio, perché manca il timor di Dio. Si interpretano così le calamità come semplici e fatali disgrazie o come leggi di natura o colpe del governo. Così molti, purtroppo, invece di convertirsi, continuano a peccare o fanno peggio. Non potranno dire, però, alla resa dei conti, di non essere stati avvisati. Per costoro non c’è misericordia.
È sbagliato, quindi, come fa Lutero, ridurre la giustizia divina alla misericordia confondendole tra di loro. Il risultato è la «fede» luterana, per la quale credo fermamente ⦋crede firmius⦌ che posso fare quel che mi pare ⦋pecca fortiter⦌, tanto Dio è buono, non mi castiga e mi perdona.
Ci dice Lutero: «Il libero arbitrio è estinto, osservare la legge è impossibile, la concupiscenza è irresistibile. Non ci resta che confidare nella misericordia divina». Ma è quella che il Concilio di Trento chiama «inanis haereticorum fiducia» ⦋Denz.1533-1534⦌. Si tratta di quella «presunzione di salvarsi senza merito», della quale parla il Catechismo di S.Pio X. Naturalmente non si tratta di meriti semplicemente naturali, perché questa sarebbe l’eresia di Pelagio. Ma non si deve neppure negare il merito soprannaturale, dono della grazia, come fece Lutero.
Da cosa nasce la distinzione fra giustizia e misericordia? La distinzione tra l’esser perdonato ⦋misericordia⦌ e l’esser castigato ⦋giustizia⦌ non dipende da Dio, che a tutti vuol usare misericordia e tutti vuol salvare; ma dipende dall’uomo,che ora è giusto e riceve misericordia ed ora pecca e viene castigato. Certo, se viene perdonato, l’iniziativa è di Dio. Se invece è castigato, il castigo se lo tira addosso lui col suo peccato.
La grandezza, poi, della misericordia, si misura dalla grandezza del male dal quale essa libera. Qui abbiamo la grande differenza fra la misericordia umana e quella divina. Il male dal quale ci libera Dio – il peccato e la morte – è un male immensamente più gravedi quello, dal quale ci possono liberare gli uomini, benché essi debbano prendere a modello la misericordia divina. Infatti, nessun uomo può liberare un altro uomo dal peccato e dalla morte, ma occorre quella immensa misericordia divina, per la quale il Padre celeste, per non lasciarci nella miseria conseguente al peccato originale, ci ha donato il Figlio, Che ha espiato e soddisfatto per noi e Che ci consente di pagare per i nostri peccati unendoci alla sua sofferenza redentrice.
Anche la misericordia umana, certo, va soggetta a gradi: un conto sono le opere della misericordia corporale e un conto quelle della misericordia spirituale. Queste di per sè sono più importanti, perchè toccano la salute dell’anima, mentre le prime riguardano la salute fisica.
Tra le prime, la più preziosa è, come dice S.Tommaso, «condurre un uomo dalle tenebre dell’errore alla luce della verità», opera assai bene espressa in queste parole che S.Paolo VI pronunciò per i Domenicani nel 1971 in occasione dell’VIII centenario della nascita di S.Domenico: «Siamo ancor più commossi dalla misericordia, spinta fino all’ansia irresistibile, che S.Domenico provava per lo stato miserando di coloro, il cui intelletto era privo della verità. Non si riferiva forse tutta la sua opera a tale commiserazione? Questa, ora più che mai, deve essere la fonte dalla quale sgorga il vostro apostolato, questa sia l’anima che vivifica la vostra vita».
Dalla conoscenza della verità ci vengono tutti i veri beni. Viceversa, si può possedere un’infinità di beni, ma se non sono valutati alla luce della verità sul bene, sono principio di perdizione.
Questo primato dei valori spirituali non ci impedisce di occuparci immediatamente di quelli materiali, ove ve ne fosse urgenza, a patto, però, che la preoccupazione per la salute spirituale del prossimo sia sempre l’obbiettivo massimo ed ultimo di tutte le nostre azioni e dei nostri sforzi a favore degli altri.
E’ un detto comune che la misericordia di Dio è «infinita». Ma che vuol dire? Di fatto essa, per quanto grande, ha sempre un limite, un termine, come tutte le grazie divine. Allora, infinita in che senso? Nel senso che essa in se stessa è inesauribile, sorgendo dall’infinita bontà divina.
Tuttavia, Dio di fatto nei singoli casi le pone un termine o la stabilisce in una data quantità a suo insindacabile giudizio o perchè l’uomo stesso che la riceve le pone un limite o perché più di tanto non può riceverne. Dio, nell’ambito della misericordia, è libero di dare di più ad uno che ad un altro, a sua totale discrezione, perché, a differenza della sua giustizia, che fa riferimento ai meriti presupposti, la misericordia divina dona gratuitamente alla creatura senza presupporre in essa alcuna condizione.
La falsa idea, poi, che la misericordia escluda il castigo porta a gravi peccati nella condotta e nella convivenza umana, e rovescia la misericordia nella violenza e nella crudeltà. Infatti, la ricerca del bene e l’opposizione al male è strutturale ed ineliminabile nella condotta umana, nonostante ogni forma di buonismo pacifista. L’unico risultato di questa confusione è quello di scambiare il bene col male e viceversa, sicchè gli innocenti vengono castigati, mentre i criminali vengono assolti.
In secondo luogo, se tutti ricevono misericordia e nessuno è castigato, i prepotenti, che si ritengono perdonati, hanno campo libero per opprimere impunemente i deboli.
In terzo luogo, se castigare è proibito, vien meno la ragion d’essere dell’ordinamento giudiziario, delle forze di pubblica sicurezza e delle forze armate e la società cade in balia dei prepotenti, dei malfattori e dei criminali.
Questi fenomeni sono l’effetto di uno scriteriato misericordismo, che nulla ha a che fare con la vera misericordia. Essi caratterizzano quella che con ironia alcuni chiamano la «Chiesa della misericordia».
Padre Giovanni Cavalcoli
4 novembre 2018