Un 88enne aveva sparato alla moglie malata terminale: «il rispetto della vita umana è superiore al criterio della moralità dell’azione».
«I princìpi espressi dalla Carta costituzionale, finalizzati alla solidarietà e alla tutela della salute», non prevedono la possibilità di spingersi fino alla «soppressione della vita sofferente». Ciò corrisponde al «sentire diffuso della comunità sociale», e vale anche «in casi estremi». Lo ha stabilito la Cassazione lo scorso giugno con una sentenza di cui è giunta notizia solo oggi. Quanto deciso dalla Suprema Corte si configura come un ulteriore contributo al dibattito sul fine vita: un tema di scottante attualità, dopo che la Corte Costituzionale il 24 ottobre ha invitato il Parlamento a intervenire sulla vigente disciplina che consente sì la possibilità – da parte del malato – di rifiutare in ogni momento le cure sanitarie, ma non il diritto di essere assistito nel proprio suicidio, né tanto meno quello di poter esigere atti medici finalizzati alla sua soppressione.
Ed ecco due tesi a confronto. Secondo la Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul caso di un ex vigile urbano 88enne che aveva sparato alla moglie malata terminale di Alzheimer, «il criterio della moralità dell’agire» trova sempre e comunque concretizzazione nel «superiore principio del rispetto della vita umana», elevato dai giudici a espressione di vera compassione. Per questo, chi ha compiuto l’«omicidio di persona che si trovi in condizioni di grave e irreversibile sofferenza fisica» non può vedersi riconosciute le attenuanti dell’«aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale».
Tutto chiaro, ma la Corte Costituzionale ha lasciato intendere un pensiero diverso. La sua pronuncia, al momento solo interlocutoria, è stata provocata dal tesoriere dell’associazione radicale Luca Coscioni, autodenunciatosi dopo aver aiutato Fabiano Antoniani – divenuto cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale – a organizzare il suicidio di quest’ultimo in Svizzera in una struttura privata che eroga questo “servizio”. E dove la Cassazione considera la vita come bene supremo da tutelare sempre e comunque, la Consulta – anticipando con uno scarno comunicato un’ordinanza interlocutoria non ancora depositata – afferma invece che «l’attuale assetto normativo del fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti».
Non lo dice espressamente, dunque, ma lo lascia intendere: la vita è sì un valore costituzionalmente tutelato ma in certi casi potrebbe soccombere di fronte a criteri diversi (per esempio – sembrerebbe – l’autodeterminazione). Da qui, l’invito al Parlamento affinché intervenga «con un’appropriata disciplina», e il rinvio dell’udienza sulla correttezza costituzionale della nuova norma al prossimo 24 settembre. Nel frattempo, ecco le parole della Cassazione secondo cui «la pratica di determinare farmacologicamente la morte in caso di malattie non curabili» è propria della compassione verso gli animali da compagnia. Ma non di quella «nei confronti degli esseri umani», per cui «operano i princìpi espressi dalla Carta Costituzionale».
Marcello Palmieri
7 novembre 2018
https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/cassazione-non-giustificata-la-soppressione-di-un-sofferente