Il mondo attuale è dominato dalla continua evoluzione del progresso tecnico e scientifico che consente, oramai, all’uomo contemporaneo di modificare la propria stessa natura.
Il mondo attuale è dominato dalla continua evoluzione del progresso tecnico e scientifico che consente, oramai, all’uomo contemporaneo di modificare la propria stessa natura.
L’uomo odierno, infatti, inserito in un contesto di sempre maggiore interazione con la dimensione tecnologica, viene sempre più percepito come un essere che dispone di sé, e che essendo padrone del mondo e del proprio essere può scegliere di essere tutto ciò che vuole.
È, in sostanza, lo scenario del post-umanesimo.
Ma cosa è esattamente il post-umanesimo, e quali implicazioni etiche e filosofiche comporta?
A questi, e ad altri, fondamentali interrogativi risponde la filosofa Giulia Bovassi nel suo volume di recente pubblicazione dal titolo L’eco della solidità. La nostalgia del richiamo tra antropologia liquida e postumanesimo, edito per i tipi della casa editrice If Press.
Dall’interessantissimo libro della Bovassi emergono almeno due temi principali.
In primo luogo: la capacità – forse ancora non irrimediabilmente perduta grazie alla Bovassi – di interrogarsi sul problema fondante dell’intera esperienza filosofica occidentale, cioè l’uomo.
Tentare di comprendere l’essenza umana, infatti, è stato il chiodo fisso della filosofia fin dai suoi albori, allorquando il padre di tutti i filosofi, Socrate, esortò i suoi contemporanei e tutte le future generazioni a intraprendere i tortuosi sentieri della conoscenza filosofica per giungere a «conoscere se stessi».
Chi è l’uomo? Cosa è l’uomo? È, come pretendono le religioni, una piccola creatura oppressa da una qualche divinità sadica e burlona che lo ha messo al mondo per farlo soffrire e sancirne la fine tramite la morte, o è, invece, il padrone del mondo e di sé destinato a superare tutti i limiti che la natura gli ha imposto per integrare quella figura di Superuomo tanto agognata da Nietzsche?
Come puntualizza la Bovassi, infatti, il contesto attuale del post-umanesimo è quello che per un verso ha liberato l’uomo dalla gabbia della trascendenza che si riflette nella consapevolezza della propria creaturalità, ma per altro verso ha rinchiuso l’uomo «all’interno di un nuovo costrutto ideologico di un uomo la cui ora è giunta: l’ora di oltrepassare se stesso per un diverso che spicca nell’ignoto il miglioramento comodamente seduto sopra il corpo di una promessa».
In secondo luogo: a partire da una simile premessa si intraprende il tentativo di decostruire l’umano, per esempio abbattendo i confini tra esseri umani e macchine, come nel caso del “cyborg”, e, ancor meglio, del “fyborg”.
Post-umanesimo e trans-umaneismo, tuttavia, lungi dall’essere espressamente correnti di pensiero antiumane, si ripropongono anzi una precisa linea programmatica volta ad eliminare la sofferenza, la malattia, la morte, la vecchiaia, tentando di potenziare le capacità umane, migliorando l’efficienza delle prestazioni fisiche e mentali dell’essere umano.
Ciò nonostante il predetto insieme di “buoni” propositi non costituisce un punto d’arrivo, ma di partenza proprio per riflettere intorno al post-umanesimo e al trans-umanesimo che si sostanziano nel paradosso di voler essere le nuove versioni dell’umanesimo classico pur nella pretesa di superare, e fors’anche, annientare tutto ciò che di umano ancora c’è nell’uomo.
L’uomo, quindi, appare come «viandante nomade mendicante di sé», per usare la felice formula della Bovassi, specialmente se incapace di dubitare di ciò che lo circonda, di ciò che ci circonda, come, appunto, queste forme di ristrutturazione antropologica in corso sotto i nostri occhi e di cui o non ci siamo mai accorti o a cui abbiamo prestato totale assuefazione.
Contro un simile torpore etico e filosofico il libro della Bovassi scuote le coscienze, in modo razionale e puramente filosofico, affinché non si rimanga a lungo «sudditi di una monarchia con a capo una “libertà da” ciò che il nuovo sistema ha restaurato come moderna caverna platonica per gli uomini, schiavizzando e uniformando i sottoposti ingannati di essere liberi», sempre con le chiare parole dell’autrice.
Il libro della Bovassi, insomma, non soltanto conduce il lettore attraverso la selva oscura della crisi antropologica attuale donandogli, come un novello Virgilio attraverso l’Ade, gli strumenti per trovare la via d’uscita tramite i mezzi della riflessione filosofica, cioè grazie alle risorse dell’umana razionalità, ma anche orienta il lettore verso il recupero di quella funzione così tipica – oggi, purtroppo, spesso travisata o radicalmente negata – della filosofia, cioè il suo essere scienza del vero e, soprattutto, scienza di tutte le altre scienze.
In questo senso, se Martin Heidegger, verso la fine della sua carriera, ebbe a ritenere laconicamente che «ormai solo un dio ci può salvare», occorre riconoscere che, in attesa dell’avveramento di una simile speranza di salvezza, fortunatamente vi sono ancora filosofi, come la Bovassi, i quali, mercé la fatica della propria opera, salvano, e insegnano a salvare, sia l’uomo che la filosofia la quale costituisce, in sostanza, l’unico autentico modo d’essere della comprensione dell’esistente.
Tutti, in conclusione, siamo invitati alla riscoperta di un tale compito a cui è naturalmente vocata l’umanità come detentrice della facoltà razionale; tutti, quindi, siamo invitati alla lettura di un così prezioso e coraggioso libro.
Aldo Vitale
1 novembre 2018