Il patron di Facebook accusa il magnate di origine ungherese di essere la mano occulta delle campagne contro il celebre socialnetwork. E la destra americana lo applaude.
Soros is “the new black”, ovvero come direbbero negli States, Soros è come il colore nero nell’abbigliamento: sta bene su tutto. Non fa eccezione neanche Facebook che, come ha rivelato un’inchiesta dettagliata del New York Times, avrebbe lanciato una vera e propria campagna contro il magnate di origine ungherese. George Soros è infatti indicato, dalla compagnia di Mark Zuckberg, come il mandante delle critiche al social network più famoso che negli ultimi tempi si sono registrate a livello internazionale.
In realtà il materiale per guardare Facebook con un occhio sospettoso esistono e sono molteplici. Si va dal caso Cambridge Analytica (cessione e manipolazione di milioni di profili), alla diffusione poco controllata di contenuti d’odio, teorie cospirazioniste, fino all’ attività di troll russi che avrebbero influenzato le elezioni in diversi paesi occidentali.
Il lavoro dei giornalisti del NY Times si basa sulle rivelazioni di almeno una cinquantina tra dirigenti, dipendenti dell’azienda, lobbisti, politici, funzionari governativi.
Quanto basta per far deflagrare una vera e propria bomba. Da quello che si è appreso, Facebook avrebbe usato un braccio “armato” mediatico per screditare i suoi oppositori. Si tratta di un’agenzia specializzata in questo tipo di lavori che agisce anche ai limiti della legalità.
Di base a Washington, ma con strutture anche nella Silicon Valley, la Definers Pubblic Affairs è ufficialmente una società di consulenza ma su commissione si occupa di orchestrare campagne denigratorie o a favore. In questo caso il bersaglio della Definers è stata un’associazione fortemente schierata contro “Zuck”: la Freedom from Facebook.FfF è stata fatta passare, attraverso la propaganda di notizie non verificate ma che in rete girano a velocità vorticosa, come un’associazione antisemita.
Per paradosso la campagna ha finito per coinvolgere anche la storica Anti Defamation League, organizzazione ebraica che negli Usa si occupa di diritti civili.Ma il lavoro maggiore della Definers è stato quello di cercare di collegare a tutti i costi Freedom from Facebook a Geroge Soros. Secondo la società di “consulenza” Color of Change, associazione collegata al network anti Facebook, sarebbe in realtà una centrale antisemita pagata proprio dal tycoon ungherese-americano.In realtà Color of Change ha come colpa quella di aver criticato Facebook per contenuti di odio razziale veicolati sulla piattaforma social.
Un colpo all’immagine al quale si è risposto con l’artiglieria pesante. In questo caso poi, ennesimo paradosso, a cavalcare le notizie della Definers sono stati siti conservatori come Breitbart che altre volte si erano schierate politicamente contro Zuckberg.
Ma l’inchiesta del New York Times mette in luce che, al di là dell’immagine, quelli che contano sono i dollari ovvero la lotta che si sta combattendo tra i colossi della rete. La Definers infatti si è anche incaricata di mettere a punto una strategia aggressiva per porre in cattiva luce i competitors di Facebook. Google e Apple sono state pesantemente bersagliati. La paura è che il momento di difficoltà potesse essere sfruttato dalle multinazionali concorrenti per scalzare il primato della piattaforma social. Si parla infatti di una possibile migrazione di utenti ai quali proporre prodotti ad hoc, tradotto: una perdita di miliardi di introiti.Ma perché usare proprio Soros?
In realtà il motivo è essenzialmente politico. La Open Society Foundation è vista, secondo le teorie cospirazioniste tanto care ai sovranisti di mezzo mondo, come il grimaldello attraverso il quale Soros orienta le decisioni strategiche mondiali. La società aperta, la fine delle frontiere con l’invasione di migranti, il liberismo delle elites politico- finanziarie del pianeta, sarebbero il fine ultimo ai danni delle nazioni e dei popoli.Il magnate è stato accusato praticamente di tutto, una specie di complotto pluto-demo-immigrazionista nel quale viene mischiata la crisi ucraina alle primavere arabe, fino alle proteste femministe o afroamericane.
Portavoce di tutto questo è la galassia ultraconservatrice. Siti, media e gruppi di destra o apertamente razzisti che hanno visto di buon grado la campagna organizzata da Facebook. Un boccone troppo ghiotto per non essere sfruttato. Zuckberg non ha fatto altro che sfruttare quest’onda, coprire il suo fianco destro screditando gli attacchi provenienti da sinistra e ingraziarsi il nuovo potere statunitense.Anche dalle parti di Washington infatti si sta facendo strada l’idea che lo strapotere delle grandi compagnie digitali sia ormai divenuto insostenibile.
Un monopolio immenso che giganti come Facebook ma anche Google o Amazon stranno usando per eliminare ogni concorrenza e condizionare il potere politico. La Casa Bianca potrebbe cedere alla tentazione di varare regole più restrittive e i Repubblicani vanno blanditi.
Alessandro Fioroni
20 novembre 2018
Lotta per il potere della rete: Zuckerberg all’attacco di Soros