Per Giovanni Ferri, ordinario di economia politica alla Lumsa di Roma, “mesi di polemiche muscolari con l’Europa non ci hanno fatto bene e il fatto che sia bastato un avvio di dialogo con la Commissione Ue per provocare una discesa dello spread ne è la controprova”.
La crescita economica che rallenta; il dibattito sulla manovra del governo, tra pensioni e reddito di cittadinanza; l’importanza del dialogo con l’Europa. Facciamo il punto della situazione con Giovanni Ferri, ordinario di economia politica alla Lumsa di Roma.
L’economia italiana dà segnali di frenata. Alcuni analisti ipotizzano addirittura che dietro l’angolo ci sia una nuova recessione. Lei che ne pensa?
Temo che delle avvisaglie ci siano. La mancata crescita del Pil nel terzo trimestre dell’anno è un segnale che non può essere sottovalutato, tanto più che anche la congiuntura internazionale sta peggiorando.
In Europa persino la locomotiva tedesca sembra essersi fermata.
Bisogna assolutamente scongiurare una nuova recessione perché il Paese è già sfibrato da un decennio terribile.
A suo avviso la manovra economica del governo, nel suo impianto di fondo, è adeguata a fronteggiare questo pericolo e a rimettere in movimento l’economia italiana?
Alla sua domanda la mia risposta è no. Ma non per questo voglio dare un giudizio sbrigativo sull’impianto di una manovra che nelle intenzioni tende anche a recuperare alcuni diritti sociali che si erano persi per strada e ad avere un’attenzione per le fasce più deboli della popolazione. Per una valutazione più approfondita bisognerà capire quale sarà il punto di arrivo delle modifiche di cui si sta parlando in questi giorni, dopo che si è finalmente ripreso il dialogo con la Commissione europea. Se si spostasse sugli investimenti in infrastrutture una parte delle risorse stanziate per la ‘controriforma Fornero’ e il reddito di cittadinanza, magari concepito anche come incentivo per le imprese ad assumere, allora il giudizio potrebbe cambiare in modo rilevante.
Lei ha citato quelli che politicamente sono i punti-chiave della manovra: reddito di cittadinanza e revisione della legge sulle pensioni. Che voto darebbe a queste due misure?
Comincio dall’intervento sulla legge Fornero che secondo me è un grosso errore politico. Il problema italiano non è risarcire i relativamente pochi anziani danneggiati dalle politiche di austerità, ma dare una prospettiva ai giovani. Vuole che dia un voto? Zero spaccato. Al reddito di cittadinanza, invece, darei un sei meno. Sotto un certo profilo, infatti, è una misura che rischia di cronicizzare delle situazioni di esclusione. E poi c’è una questione di dignità: le persone non possono essere rimesse in gioco solo come consumatori, per essere pienamente cittadini devono poter lavorare.
Allo stesso tempo, però, si tratta di una misura che riporta all’attenzione di tutti le conseguenze di una società che non cresce e in cui la ricchezza si polarizza. Una società in cui sono aumentate e aumentano le disuguaglianze. Molto dipenderà da come il reddito di cittadinanza sarà effettivamente disegnato e concretizzato.
Nel dibattito pubblico ora c’è chi minimizza gli effetti dello spread Btp-Bund, il divario di rendimento tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi. Un Paese ad alto debito pubblico come l’Italia è in grado di reggere lo spread ai livelli raggiunti in questa fase?
Uno spread alto per un periodo breve potrebbe anche non avere conseguenze significative. E’ un po’ come avere la febbre alta un giorno solo. Ma in questi mesi lo spread è salito troppo ed è rimasto su livelli elevati. I tassi dei mutui stanno già crescendo, per dire di una delle conseguenze di questo andamento. Mesi di polemiche muscolari con l’Europa non ci hanno fatto bene e il fatto che sia bastato un avvio di dialogo con la Commissione Ue per provocare una discesa dello spread ne è la controprova. Ora non so se la ragionevolezza emersa sia destinata a confermarsi o se si finisca per ritornare sul sentiero precedente. Ma ho l’impressione che da parte italiana si sia rimasti abbastanza scottati per poter tornare indietro a cuor leggero.
La reazione europea alla manovra economica dell’Italia le è parsa appropriata? Alcuni hanno rilevato un atteggiamento più severo di quello riservato ad altri Paesi…
Lasciamo alle cronache gli aspetti più epidermici della polemica tra Roma e Bruxelles e facciamo un passo indietro. Non dimentichiamo che prima delle elezioni le due forze politiche che ora governano in Italia avevano al loro interno gruppi e personaggi che teorizzavano esplicitamente l’uscita dall’Euro. Adesso questi soggetti sembrano minoritari e io mi auguro che restino tali: non riesco a vedere un futuro dell’Italia fuori dall’Europa.
Ma con questi presupposti culturali, di fronte a un Paese che sceglie una rotta che potrebbe portarlo all’insostenibilità finanziaria, la reazione della Commissione europea era inevitabile. Comunque, provi a pensare che cosa sarebbe successo se prima dell’estate non si fosse formato un governo e se fossimo tornati alle urne in autunno. Provi a immaginare in che situazione ci troveremmo. Dobbiamo sentire un grande debito di riconoscenza nei confronti del presidente Mattarella che è riuscito ad assicurare al Paese un governo e lo sta accompagnando con saggezza e con lo sguardo rivolto sempre al dialogo e al bene comune.
Stefano De Martis
27 novembre 2018