E’ trascorsa una settimana dalla tragedia avvenuta alla discoteca Lanterna Azzurra dove sono morti cinque adolescenti e una mamma, ma ormai anche questo tragico evento è stato archiviato. Si sono scritte pagine e pagine per raccontare come si sono svolti i fatti, si sono trasmesse ore di testimonianze dei presenti, si è molto discusso sulle responsabilità ma sulla “base” della tragedia si è detto quasi nulla. Quale è questa base? L’emergenza educativa, e il limitarci alle fattispecie causative del fatto, è “tradire” i nostri adolescenti e quelle povere vittime.
Ed io, pur correndo il rischio di essere definito retrogrado, voglio essere una voce fuori dal coro e mi chiedo: i genitori oggi che progetto educativo propongono ai loro figli, soprattutto ragazzi e adolescenti?
Non mi fermo su questioni che richiederebbero approfondite analisi: dall’età dei frequentatori del locale quella sera, all’ora in cui è avvenuta la tragedia, alla ambigua per non dire malevole personalità di Sfera Ebbasta, poiché nella società del “vietato vietare”, della seduzione a tollerare tutto, ogni cosa è permessa. Ma il problema educativo resta lampante, e se non sarà adeguatamente affrontato, l’episodio della Laterna Azzurra continuerà a ripetersi ogni sabato sera non con “morti fisici” ma con “morti esistenziali”, nel totale disinteresse societario, poiché la maggioranza dei genitori vivono una profonda crisi sulle loro capacità nel modellare nei figli solide personalità.
In troppi genitori, soprattutto tra i più giovani, sembrano assenti il “coraggio dell’autorevolezza” nei confronti dei principi civili, sociali e religiosi; l’attitudine a trasmettere l’identità valoriale e la memoria storica della nostra cultura e delle nostre tradizioni; il giusto equilibrio tra libertà e disciplina, di conseguenza non sanno più affermare nei modi più adeguati, dei “sì” e dei “no”, fermi, precisi, motivati, scordando la rilevanza delle regole nella formazione del carattere e nella preparazione dei ragazzi e degli adolescenti ad affrontare le sfide e le situazioni di disagio della vita. Una carenza che fa crescere “frotte di ragazzi insicuri, incapaci di gestirsi e totalmente ego-riferiti” (cfr M. Ungar, Troppo protetti per il loro bene, McClelland &Stewart 2009, 24). Inoltre, ho l’impressione, che i genitori, in molte situazioni, siano percepiti maggiormente come “amici” che come “educatori”, essendo faticoso mostrarsi autorevoli quando è carente la presenza, la competenza, il coinvolgimento personale e la credibilità. Nessun ragazzo o adolescente accetterà, quindi, norme prive di un volto e di una storia.
E allora, da retrograde, propongo come esempio e riferimento uno dei più autorevole educatori della storia, san Giovanni Bosco, che riassunse l’obiettivo educativo nel motto: “onesto cittadino e un buon cristiano”, così commentato dal cardinale C. M. Martini: “Con i due aggettivi – onesto (cittadino) e buon (cristiano) – si esprimono le opere della fede, i preziosi valori divini della giustizia e della carità, insegnati e incarnati da Gesù; mentre i due sostantivi – cittadino e cristiano – mettono in evidenza che l’umano e il divino devono essere in simbiosi profonda, costante e indissolubile” (Se tuo figlio ti chiede un pane, Centro Ambrosiano 1996, 78).
Per quanto riguarda il buon cristiano, sempre da retrograde, assumo come riferimento il versetto del Vangelo che descrivendo le caratteristiche di Gesù, ragazzo ed adolescente, notava: “cresceva in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc. 2, 52). Questa crescita armonica mostra che l’impegno educativo dei genitori, Maria e di Giuseppe, si rivolgeva contemporaneamente a tutte le dimensioni della persona: corpo-psiche-spirito. Poco conosciamo dei primi trent’anni di vita di Gesù; sappiamo che visse in una famiglia, la Santa Famiglia di Nazaret; nulla di rilevante e di straordinario, un’esperienza di normalità con i genitori, i parenti e i compaesani, di impegno lavorativo e di crescita nella fede poiché le giornate della famiglia ebrea erano scandite da atti religiosi e il sabato, il giorno di festa, assumeva notevole importanza. Ma da alcuni rilievi del Vangelo intuiamo che la personalità di Gesù era poliedrica: amabile, dolce e mite ma anche forte e ferma, aperta all’amicizia e alle emozioni. Senz’altro, acquisì un carattere ricco e straordinario in famiglia, seguendo l’esempio e l’insegnamento dei genitori.
Anche oggi, per l’educazione al buon cristiano gli strumenti sono quelli di sempre: la preghiera quotidiana in famiglia e la partecipazione insieme, genitori e figli, all’ Eucarestia domenicale; la conoscenza della Parola di Dio e dei fondamenti del cristianesimo da apprendere nella frequentazione del catechismo e dell’ora di religione cattolica, non tralasciamo l’esperienza parrocchiale ed oratoriale che concretizzano il legame tra valori e vita. Ma come premessa indispensabile dobbiamo porre la testimonianza di fede e la pratica religiosa dei genitori. L’ostacolo primario nel tramandare il fondamentale “senso religioso” risiede nell’insufficiente coerenza degli educatori, che accompagnata alla difficoltà di dialogo degli adolescenti con la Chiesa, precludono adeguate risposte alla sensibilità religiosa dei figli, interessati allo spirituale, anche se spesso non lo dimostrano esternamente.
Per quanto riguarda l’onesto cittadino il discorso è ancora ampio. Qui evidenziamo l’educazione alla gratuità, mostrando che la scala dei valori non si possono stabilire in base alla retribuzione, e che le relazioni tra le persone non sono monetizzabili. Insegnare la gratuità, è un’autentica scuola di civiltà e di vita e le esperienze di volontariato, svolte insieme dai componenti della famiglia, oltre che rafforzare i legami domestici, edificano negli adolescenti il senso della cittadinanza attiva, accrescendo la responsabilità e la convinzione che il domani è nelle loro mani.
I nostri figli, anche se non ce lo dimostrano, sognano di divenire adulti completi e maturi. Perciò implorano educatori preparati e motivati: genitori educatori, insegnanti educatori, sacerdoti educatori che costituiscano una rete di “complicità educativa” nella quale, ogni adulto, si ritenga responsabile della crescita dei propri figli e dei figli di tutti nell’ educare le coscienze al senso della vita e della responsabilità, al significato dell’impegno e del divertimento, al valore della famiglia.
In altre parole un educazione a tutto campo alla “vita buona” e alla “bontà della vita”.
Don Gian Maria Comolli