Rondine – Cittadella della Pace compie 20 anni, una ricorrenza che verrà celebrata con due momenti significativi: il 3 dicembre l’udienza con Papa Francesco, in Vaticano e il 10 dicembre, a New York, alle Nazioni Unite, per illustrare ai 193 Stati membri , riuniti in occasione delle celebrazioni del 70° Anniversario dei Diritti dell’Uomo all’Onu, il suo modello di trasformazione dei conflitti e lanciare un appello di pace. Oggi, questa intuizione di Franco Vaccari – professore e psicologo riconosciuto a livello internazionale per la sua opera di mediazione del conflitto – è considerata un laboratorio di educazione alla pace e un luogo dove i ‘nemici’ possono conoscersi per vedere la persona al di là di barriere e nazionalità.
“Tu mi vedi come un nemico?”: la domanda è secca e non lascia scappatoie, difficile pure eluderla o fare finta di non aver capito. Gaga, studente georgiano di 25 anni, se l’è sentita rivolgere da Dasha, una sua coetanea e collega di studi, di nazionalità abcasa. Georgia e Abcasia sono paesi la cui storia recente è stata segnata da due guerre (1991-1993 e 2008) e per questo motivo non hanno relazioni. L’Abcasia è un territorio caucasico autoproclamatosi repubblica indipendente, riconosciuta solo dalla Russia e pochi altri Paesi, nel luglio 1992 ma da sempre rivendicato dalla Georgia.
Ad acuire il disagio di Gaga anche il fatto che i suoi genitori sono di origini abcase sfollati in Georgia a causa della guerra. “Io sono nato in Georgia 15 giorni dopo la caduta della capitale abcasa Sukhumi e da allora non l’ho mai vista” dice il giovane che da un anno e mezzo vive a Rondine (Arezzo), nella Cittadella della Pace, un laboratorio a cielo aperto dove da 20 anni si sperimentano tentativi di riconciliazione civile, promozione del dialogo, di “diplomazia dal basso” e di “trasformazione creativa dei conflitti nei diversi contesti”. Un impegno di lunga gittata che troverà un ulteriore riconoscimento il 3 dicembre in Vaticano durante l’udienza concessa da Papa Francesco e il 10 dicembre prossimo a New York quando l’associazione Rondine interverrà al Palazzo di Vetro su invito della Farnesina per illustrare ai 193 Stati membri alle Nazioni Unite, riuniti in occasione delle celebrazioni del 70° Anniversario dei Diritti dell’Uomo all’Onu, il suo modello di trasformazione dei conflitti i cui risultati cominciano a vedersi. In Sierra Leone, per esempio, che dal 1991 al 2002 è stato teatro di una sanguinosa guerra civile che ha causato 50mila morti.
Parlare e non fuggire dai conflitti. Nel Paese africano lo scorso marzo si è votato per le presidenziali – le prime non monitorate dalla comunità internazionale – e Rondine si è attivata con il progetto “Initiative for democratic and peaceful elections”. Si tratta della “prima applicazione concreta del ‘Metodo Rondine’ nei luoghi del conflitto”, spiega la coordinatrice, Manuella Markaj. Manuella viene dal Kosovo e l’esperienza di guerra vissuta nel suo paese l’ha messa in condizione di essere utile anche per la Sierra Leone. “A Rondine impariamo a lavorare per tutti i conflitti, laddove c’è bisogno, cercando sempre di ottenere una soluzione da chi vive e subisce il conflitto. I nostri progetti si realizzano coinvolgendo tutte le parti in lotta. L’elemento tribale è stato un fattore di lavoro comune e non di divisione”. In Sierra Leone sono stati coinvolti 360 leader locali, politici, religiosi, giovani, giornalisti, studenti e società civile, formati e operativi in 14 distretti, anche rurali dove di solito i progetti non arrivano. Quattrocento giovani professionisti hanno partecipato a incontri pubblici nelle comunità e tavole rotonde nelle principali università del Paese, un milione di persone sono state raggiunte dalle attività di sensibilizzazione. È stata la vittoria della “politica dei piccoli passi” sancita dalla scelta di parlare del conflitto e non di “fuggire” dallo stesso. Come fanno Gaga e Dasha che a Rondine imparano che “il concetto di nemico è un inganno planetario, che, pur nelle diverse culture, s’insedia nella vita delle persone togliendo la fiducia nelle relazioni”.
Studiano scienze politiche all’università di Siena, nell’ambito del master executive in global governance and peace process management e, come i circa 200 giovani che in questi 20 anni li hanno preceduti, cercheranno una volta tornati in patria, di trasmettere ad altri quanto appreso. “Ascoltare e dialogare è la vera sfida per capire. La narrativa della guerra, infatti, è diversa da persona a persona, da popolo a popolo”, sottolinea il giovane georgiano che, dopo aver conosciuto altri coetanei abcasi, spera adesso di incontrarne altri ma di nazionalità russa. Solo così le relazioni si puliscono dai veleni dell’inimicizia, della rabbia e dal sangue delle ferite che le guerre producono. “Fra 8 mesi tornerò in Georgia e cercherò di testimoniare che è possibile far crescere semi di pace”.
“A mio modo – aggiunge Gaga – sono un diplomatico, un mediatore che cerca di trovare punti di contatto per superare l’idea del nemico. Non voglio dire che il nemico non esisterà più. Sono pragmatico. Ma sono certo che si può lavorare per non soccombere sotto il conflitto”.
Sevag, 25 anni, viene da un Paese del Medio Oriente che preferisce non rivelare. A giugno del 2019 il biennio a Rondine finirà e lui, laurea in biologia con un master in management per la qualità dell’ambiente, avrà tutto il tempo di dedicarsi a ciò che lo attrae di più: “Occuparsi di estremismo e di discriminazione”. “Il Medio Oriente è una terra di conflitti difficili da risolvere perché vi si intrecciano interessi di più Paesi dell’area e non. A Rondine adesso siamo 26 studenti e potenzialmente potremmo essere tutti nemici. Ciò che cerchiamo di fare è conoscerci, capire chi siamo, cosa pensiamo. Chi arriva qui, si porta dietro un bagaglio di dubbi, convinzioni e pregiudizi. Non mancano momenti di scambio vivace” ma “è importante parlare, chiedere all’altro, fare domande, ascoltare”.
Come mi vedo in questa veste di studente del Metodo Rondine? “Direi quasi come un seme che una volta piantato nella mia terra vuole crescervi. Da Rondine escono leader dal basso che nel loro piccolo promuovono cambiamenti nella società. Dobbiamo cercare almeno di aprire una finestra per far entrare luce e aria nuova a cominciare da chi ci sta intorno, amici, conoscenti, familiari. Rondine è piccola ma produce grandi cambiamenti”.
I conflitti interiori. Clément ha 32 anni e viene dal Mali, Stephen ne ha 26 ed è di Lagos, in Nigeria. Entrambi sono arrivati a Rondine grazie al Progetto “Liberi di partire, liberi di restare” lanciato, più di un anno fa, dalla Cei per dare una risposta concreta al fenomeno delle migrazioni. Clément, una laurea in giornalismo in patria, a Rondine studia per conseguire il master in global governance and peace process management all’Università di Siena. Fra sei mesi tornerà in Mali dove l’attendono due grandi problemi: “La presenza nel nord di gruppi di etnia tuareg che vogliono l’indipendenza e che operano insieme a elementi jihadisti dediti al traffico di esseri umani e di droga e l’aumento di conflitti tra agricoltori e allevatori che rispondono a diverse etnie”.
L’esperienza a Rondine, racconta Clément, “si concentra sulla personificazione della pace che non è un concetto astratto. Essa si innerva sul bisogno di coesione sociale e di comunità che pervade la nostra cultura”.
“Da noi, infatti, vige una sorta di patto che chiamiamo ‘cousinage a plaisanterie’ che ci permette regolare eventuali dispute tra singoli o comunità senza vederci come nemici e senza causare scontri”. Sul tema della comunità insiste anche Stephen che a Siena studia biotecnologia ambientale. Da poco meno di 5 mesi alla Cittadella della Pace, Stephen crede che “i conflitti vanno risolti anche a livello interiore”.
“Perché sono le persone che formano la nazione. Educarle per trasformare il Paese. In Nigeria – spiega – abbiamo bisogno di un popolo unito per resistere alle pressioni esterne. A che serve avere un leader se poi non hai un popolo? Sono i giovani quelli che possono produrre i giusti cambiamenti dal basso. I giovani sono i leader di domani perché radicati tra la gente”.
Gli studenti del IV anno. Ma nella Cittadella della Pace non ci sono solo giovani delle zone di conflitto del mondo, ma da due anni, anche studenti delle scuole superiori che hanno scelto di vivere il loro IV anno scolastico all’insegna del dialogo e della legalità, che trasformano e superano i conflitti, come insegna il “Metodo Rondine”.
Viola Franci, di Roma, e Lorenzo Ferri, di Cesena, non sono pentiti della scelta, dicono in coro. “Siamo felici di ampliare le nostre conoscenze personali qui a Rondine dove si veicola un messaggio di ascolto e dialogo. Sapere e conoscere ciò che accade intorno a noi ci fa capire quanto siamo importanti come cittadini”. Ad alimentare questa “voglia di conoscere” ci pensa un team di tutor che affianca i docenti nel proporre agli studenti attività e percorsi di team building, gestione dei conflitti, dialogo interculturale e interreligioso, focus sulla comunicazione formale e informale.
“Da Rondine vogliamo portare via la voglia di conoscere” e “trasmetterla ai nostri compagni di classe che ritroveremo il prossimo anno in quinto”, dicono i due, che già pensano a organizzare incontri e attività con a tema l’esperienza vissuta nella Cittadella della Pace. “Nostro compito finale sarà elaborare un progetto di ‘ricaduta sociale’ utile per la nostra città e Paese. Non impariamo solo per noi ma per tutti”.
Daniele Rocchi
3 dicembre 2018
Pace: Rondine-Cittadella della pace compie 20 anni, dove i nemici imparano a conoscersi