Dopo la rapina nel negozio di Antonio Ferrara, morto poi d’infarto: l’unico gesto che disinnesca la miccia dell’odio è stato il riavvicinarsi del figlio del rapinatore e del figlio di Antonio.
Il salumiere Antonio Ferrara nel suo negozio dove un uomo per rapinarlo gli punta una pistola alla testa; lui cardiopatico si accascia a terra e muore d’infarto.
Giovedì 6 dicembre, antivigilia dell’Immacolata. A Napoli, quartiere Pignasecca, il salumiere Antonio Ferrara dopo una giornata di lavoro sta abbassando la saracinesca per far ritorno a casa. Avviene tutto all’improvviso: un uomo gli punta la pistola al volto, vuole i soldi, è una rapina. Antonio, cardiopatico, dallo spavento si accascia a terra e muore. Aveva 64 anni, era conosciuto e benvoluto da tutti. Nel quartiere al dolore si unisce la rabbia.
I problemi di sempre vengono ripresi e rilanciati. Necessitano più sicurezza, più telecamere, più vigili urbani. Occorre più lavoro per scoraggiare le rapine. Martedì nella parrocchia di San Liborio alla Carità don Michele Madonna, il giovane parroco, celebra i funerali. E durante l’omelia rivela un fatto di una bellezza estrema: il figlio del rapinatore, un ragazzo che fa un cammino di fede, scioccato e addolorato per quanto accaduto (suo padre è incensurato e niente avrebbe fatto prevedere che arrivasse a tanto) ha chiesto di incontrare Pietro, il figlio della vittima, per chiedergli perdono. Pietro ha accolto la richiesta e in sagrestia i due giovani, piangendo, si sono abbracciati.
Un abbraccio sincero, vero, immenso. Un abbraccio zeppo di speranza, che mette a tacere l’odio, lo affossa, lo distrugge, lo stermina. Un abbraccio che non ha la capacità di eliminare il dolore ma gli estirpa dalle viscere quel veleno amaro che lo rende disumano. Un abbraccio che dice più di mille parole e non deve rimanere chiuso nel segreto della sagrestia di San Liborio. È l’abbraccio di Natale.
È dono dello Spirito. Occorre mettere un freno al male, impedirgli di fare altro male. Al caro papà Antonio nessuno potrà ridare la vita. Nella casa di Pietro e in quella del rapinatore improvvisato quest’anno non si farà il presepe, i cuori a lutto continueranno a piangere. Che gioia, però, leggere che i figli di due persone accomunate in un destino atroce hanno saputo disinnescare la miccia dell’odio e accendere il fuoco dell’amore. Perdonare è l’unica possibilità che abbiamo per far morire il male, per non permettergli di continuare a farci e a fare male. Perdonare è l’unica arma che possiamo usare senza timore di sbagliare, il segno che non stiamo scherzando col Vangelo.
Grazie, ragazzi. Grazie, don Michele. Grazie perché avete permesso al dolore assurdo di trasformarsi in concime nel giardino della vita. La vostra sofferenza, addolcita e impreziosita dal perdono, porterà frutti oggi e nel futuro. In questi giorni in cui gli adulti si interrogano sul modo di agire nei confronti dei figli, ci avete fatto capire che è possibile essere testimoni credibili delle grandi cose che Dio va facendo in noi. Il peso che portate, identico e diverso, vi unisce e vi accomuna. Nella vita vi aiuterete, vi sosterrete, vi cercherete. Siete fratelli. Oggi più che mai siete fratelli. E ci insegnate che l’amore è più forte della stessa morte; che nell’amore è nascosta la ricetta del futuro; che nell’abbraccio del perdono si nasconde Dio, amante della vita.
Vi siamo grati. La Chiesa di Napoli vi è grata. La nostra città, bella, complessa e problematica, vi è grata. «Non è opera nostra, non è opera umana. Io ci credo che Cristo può cambiare i cuori. Io penso che per cambiare la città bisogna partire dal cuore. Se cambia il cuore cambieranno anche tante altre cose», ha detto don Michele. Facciamo nostre le sue parole.
Maurizio Patriciello
12 dicembre 2018
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