Il 29 marzo è la data del “recesso” della Gran Bretagna. Fra il 23 e il 26 maggio, invece, i cittadini di 27 Stati membri saranno chiamati a rieleggere l’Euroassemblea. Poi sarà la volta della formazione della nuova Commissione. Un calendario fitto, segnato dal diffondersi di forze antieuropee e dalla possibile mobilitazione dei cittadini.
I problemi legati all’unificazione dell’Europa e i rischi del suo fallimento segneranno profondamente il 2019. Nelle prime settimane e mesi dell’anno, con l’assurdo spettacolo in corso al parlamento britannico per il Brexit, vedremo le conseguenze di una propaganda anti-europea e nazionalista basata su bugie e calunnie rispetto al progetto europeo. Proprio i protagonisti del Brexit non hanno mai capito il vero significato dell’Unione europea portatrice di pace. Probabilmente non l’hanno voluto comprendere, per poter così portare avanti senza remore la loro politica distruttiva, dalla quale speravano di ottenere vantaggi nelle elezioni nazionali. Invece hanno portato il loro Paese e i loro elettori all’isolamento e ai problemi politici ed economici che il Regno Unito sta attraversando. A meno che la ragionevolezza non ritorni a Westminster nei prossimi giorni e venga tirato il freno di emergenza per impedire il Brexit con un secondo referendum, la Gran Bretagna lascerà l’Unione europea il 29 marzo, probabilmente senza una procedura regolamentata.
Saranno i cittadini britannici a pagarne il conto. Ovviamente, il Brexit avrà anche ricadute negative sull’Unione europea, sui suoi Stati membri e sui suoi cittadini, ma sarà compensato dal vantaggio per l’Unione di essersi liberata da un membro riluttante, che ha regolarmente ostacolato ogni sforzo per uno sviluppo necessario e sensato del processo di integrazione. L’uscita dall’Unione europea dopo quasi 50 anni di adesione è un evento profondamente sconvolgente per la Gran Bretagna. I cittadini probabilmente non sono pienamente consapevoli delle sue conseguenze che, in ogni caso, avranno effetti nel lungo periodo e per molto tempo peseranno ancora sulla relazione tra l’Unione e il suo ex Stato membro.
Più importante del Brexit per il futuro dell’Europa, sarà però l’elezione dei deputati al Parlamento europeo, che si svolgerà dal 23 al 26 maggio. Rispetto al riarmo delle forze populiste e nazionaliste, che in diversi Stati membri stanno diventando così forti da destare giustamente preoccupazioni, si dovrà capire se le forze democratiche che sostengono e promuovono il processo di unificazione saranno in grado di opporvisi e difendere le proprie posizioni e la “casa comune” europea. Nonostante gli annunci trionfanti dei populisti di destra che sostengono che con le elezioni europee otterranno il comando dell’Assemblea Ue, la previsione generale indica l’improbabilità che i rapporti di maggioranza mutino radicalmente. L’esempio scoraggiante che il populismo nazionalista mette in luce con il Brexit, potrebbe portare gli elettori a un giudizio più accorto.
La Democrazia cristiana (Ppe) e i Socialdemocratici (S&d) perderanno seggi a vantaggio dei populisti di destra e sinistra, ma è probabile che costituiranno ancora i gruppi parlamentari più forti; e nel difendere le posizioni cruciali della politica europea saranno sostenuti da alleati affidabili: i verdi e i liberali. La sfida interna per l’Unione europea, rappresentata dall’attacco nazionalista, e quella esterna dei cambiamenti geopolitici mondiali, e soprattutto delle discutibili linee politiche dell’alleato americano, questa volta potrebbero motivare gli elettori a esercitare il proprio diritto di voto più che in passato.Il risultato delle elezioni europee sarà la base per il rinnovo delle istituzioni Ue e delle persone che ne avranno la leadership. Questo processo avverrà nella seconda metà dell’anno, dopo che il Parlamento europeo si sarà insediato e avrà eletto il proprio ufficio di presidenza e i presidenti delle commissioni responsabili dei vari ambiti politici. Come presidente della Commissione europea, il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo proporrà di nuovo il candidato capolista del partito che ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti (spitzenkandidat). Dopo la conferma da parte del Parlamento europeo, in dialogo con i governi degli Stati membri, il candidato designato alla presidenza della Commissione formerà il collegio dei commissari e assegnerà competenze a ciascuno dei 27 membri (uno per Paese), che saranno sottoposti all’esame del Parlamento europeo, dovendone ottenere il voto di approvazione. È probabile che i capi di Stato e di governo poi rieleggano come presidente del Consiglio europeo l’ex primo ministro polacco Donald Tusk, che nel suo primo mandato (dal 2014) ha dato buona prova di sé.
In autunno, alla fine di questo processo democratico, il sistema politico dell’Unione europea sarà di nuovo funzionante per altri cinque anni, per far compiere un altro passo avanti all’unificazione del nostro continente e affrontare le sfide interne ed esterne, nel rispetto delle regole democratiche del suo ordinamento.
Thomas Jansen
10 gennaio 2019
Europa, agenda 2019: dal Brexit alle elezioni, quanto pesano i nazionalisti?